Fin da ragazzo ho visto nel cristianesimo e nella Chiesa una verità racchiusa in una realtà nella quale stavo bene, ma che non mi andava troppo di approfondire seriamente. La vita vera era separata da quello che sentivo negli ambiti cristiani. O forse non lo era, ma mi riusciva più facile pensarlo.

Il mio percorso di crescita non è stato proprio di quelli da definire senza intoppi e in discesa: caratterizzato da incontri con persone che non volevano il mio bene ma il loro interesse, che mi hanno fatto sentire sbagliato.

Da qui entrai in un mondo di eccessi, disordinato. Dovevo riempirmi la vita di qualsiasi cosa non mi facesse troppo riflettere su me stesso, su chi ero e chi volevo diventare e che mi portasse fuori da me, dal senso di colpa, per respirare attraverso la vita degli altri. Questo era l’unico modo per sentirmi migliore, o almeno accettato, mettendo al centro il mio piacere, il possesso e il mio io.

Conformarmi agli altri, che ritenevo più veri e sani di me, era la risposta ai miei dubbi.

Il mio cristianesimo era composto da una serie di valori imposti e di cose da fare per tenermi buono Dio e sentire che in qualche modo facevo qualcosa. Ma l’immagine che avevo di Lui era molto superficiale e distante. Vivevo una vita parallela: un bel vestitino da bravo ragazzo per famiglia e società e una stalla dentro, costruita da me, che non avevo il coraggio e nessuna voglia di affrontare seriamente.

E Dio se lo vivevo al di fuori, in superficie, diventava un Dio innocuo e facile da gestire. Più lo facevo entrare più diventava un Dio scomodo. Risaltava una realtà che faceva male: il mio peccato.

Sono stato un cristiano da poco con un sacco d’incoerenze, pensando che Dio vedesse solo quello che gli permettevo, ma in realtà era una fede senza un centro, senza Gesù, senza Dio, perlomeno quello vero, che è Amore.

Ho, poi, iniziato un percorso quasi senza rendermene conto, attraverso incontri con persone che ora definisco provvidenziali per il mio cammino. Sono andato a Madrid alla GMG grazie all’invito insistente di un’ amica e poi ho iniziato il percorso delle 10 parole capendo che potevano esserci strumenti per scoprire una verità nuova, almeno per me, un gusto e un profumo diverso da quello della società individualista nella quale ero immerso.

Ma c’era ancora qualcosa in sospeso che non riuscivo a chiarire al mio interno, alcuni angoli bui che preferivo nascondere da tutti e da tutto.

Qui l’arrivo ad Assisi, il 18 luglio 2014, grazie ad un’amica che mi ha consegnato il volantino del SOG. Mi aveva colpito molto l’entusiasmo e la gentilezza usata da lei nel consegnarmelo e la luce nei suoi occhi, la stessa che io da tempo ricercavo, ma che purtroppo avevo perso, restando per troppo tempo concentrato solo su me stesso. La speranza era che Gesù Cristo potesse essermi d’aiuto nell’ordinare la mia storia, con parole nuove, con la Sua storia. Ma credevo che in concreto non potesse fare niente per me, lo vedevo come un esempio ma lo sentivo troppo lontano per uscire dal circolo vizioso dei miei peccati. La realtà, però, è che mi stava preparando da tempo per incontrarmi e io non lo sapevo!

Il corso vocazionale mi ha permesso di dare una svolta concreta al mio punto di vista, allargando gli orizzonti del mio sguardo: non partiva più da me e non finiva solo su di me. Questa volta Dio mi guardava dall’esterno, mi diceva che mi amava facendomi capire che anche per me c’è un progetto per portare molto frutto, bastava orientare il mio cammino, con fiducia, verso l’unico e vero Centro.

Io non cercavo una guida, credevo di essere solo io la guida di me stesso. Cercavo solamente aiuto.

Ed Egli mi ha donato un padre per impostare una strada verso di Lui. Una grazia. Quel padre, fatto strumento, era molto di più di quel semplice aiuto che ricercavo.

Il vero splendido incontro col Signore è avvenuto nella penitenziale del 22 luglio 2014 dove, non sicuramente per merito, ma per grazia, ho potuto fare la prima confessione vera e completa della mia vita. Ricordo esattamente ogni singolo momento di quella sera. Dio voleva incontrarmi nelle mie infermità, nei miei mezzogiorni e mi aveva dato appuntamento. L’ansia prima della confessione. Un blocco all’altezza del petto e una suora che solo guardandomi negli occhi mi disse: “ dì una preghiera, invoca lo Spirito Santo”… Io, scettico, lo feci…e tutto fu più facile.

Sentivo in qualche modo che Qualcuno o Qualcosa si stesse prendendo cura di me, offrendomi una nuova possibilità e mi accompagnava a portare questo peso della croce verso il Signore.

Poco dopo la confessione ebbi un momento molto concreto di liberazione, di leggerezza, di pace, di gioia, di tranquillità e di conforto. Una sensazione che custodisco, stupenda. Mi venne detto che io non ero il mio peccato anche se il mondo attorno me lo faceva credere. E da qui ebbe inizio un percorso sano di conversione, di trasformazione. Da qui ho incominciato a vedere la misericordia come superamento della giustizia. Quel di più che solo l’Amore poteva farmi capire.

L’esserci col cuore pienamente e il fidarmi di Colui che da sempre mi conosce, ha fatto la differenza: ho iniziato a togliere il paraocchi e vedere tutta la bellezza dei doni da cui sempre sono stato circondato.

“Ecco Signore la mia croce più grande, aiutami a portarla”. E cosi è stato. Capii che Dio non è venuto ad eliminare la mia croce, le mie sofferenze, ma a dare loro un significato nuovo. Non c’è Amore senza croce.

Ho iniziato a desiderare questo Amore tanto folle che mi diceva di Amarmi mentre io col mio peccato continuavo ad inchiodarlo, ma la risposta è stata puntuale “ti amo cosi come sei, pacchetto completo, nella tua interezza, e proprio perché ti conosco completamente non ti permetto di non amarmi” e con le parole d’Isaia “tu sei prezioso ai miei occhi, tu sei degno di stima e io ti amo “(Is 43,4), che in quel momento sentivo particolarmente per me.

Da qui fu molto chiaro che tutta la verità è racchiusa in una persona e non in un’idea.

Un frate, con il quale ho intrapreso un cammino serio di fede, mi ha aiutato a dare un nome e a dar significato alla mia storia. Mi disse che la differenza l’ha fatta proprio chi in una “stalla”, in una mangiatoia per animali, ci è nato e probabilmente poteva anche nascere dentro di me se solo gli avessi permesso di entrare.

Così ho capito che il vangelo è una lettera d’amore scritta per me, per trovare consistenza e orientare il mio cammino verso una meta, un punto di arrivo, alla ricerca di una gioia, di una felicità nuova, di una vita piena e non mediocre. C’era una possibilità finalmente di fare le cose bene, di scegliere, nonostante il mio passato, con gioia, partendo da un nuovo giorno, da una nuova Pasqua che si rivela nel presente.

Ho riscoperto l’importanza di una dinamica di perdono nuova, verso le persone incontrate nella mia crescita; come a me è stato perdonato tanto anch’io ho voluto mettermi in gioco per portare il mio perdono a quelle persone, non senza difficoltà. Ma non ero più da solo.

Da qui ogni giorno di più cresce la voglia un po’ nostalgica di rifare quell’incontro iniziale, e di farlo crescere dentro di me, “il mai abbastanza” descritto da San Francesco. Quindi ho iniziato a ricercare quel Volto nella preghiera, nell’Eucarestia e nei poveri, iniziando un esperienza di servizio chiamata “ronda della carità”. Proprio qui ho riscoperto e ritrovato gli occhi di Gesù nel fratello bisognoso e la libertà e la gioia che c’è nell’ assaporare la bellezza di farsi dono per l’altro.

Un senzatetto una sera mi ha detto: “ grazie perché stasera hai scelto di essere qui per me!” e da quelle parole cosi semplici mi sono sentito amato e a casa, al mio posto. Non c’era calcetto o festa o hobby che valesse di più, non importava il mio passato e neanche il mio futuro ma era importante l’essere lì, presente, “stare” lì per lui e per me.

Capii perché Gesù ha scelto gli ultimi: questa gente senza apparentemente niente stava facendo tutto per me, io stavo dando un pasto, ma loro stavano prendendosi cura della mia crescita dandomi la possibilità di servirli. Subito mi fu chiaro che il fare esperienza di Dio, di questo annuncio, fa la differenza. Compresi il “venite e vedrete”.

La relazione col Vangelo è cresciuta sempre più ed ho riscoperto un’ umanità nuova dentro e attorno a me. Ho ritrovato una responsabilità e allo stesso tempo una voglia di annunciare una Parola che salva, pensando soprattutto a tutti miei coetanei e amici che non hanno avuto la possibilità di sperimentare esperienze simili, pur avendo uno sguardo che parla chiaramente di ricerca di gioia piena.

È esplosa la voglia di annunciare che Dio è presente nell’Amore dell’incontro, e che come ci ha ricordato Papa Giovanni Paolo II, è racchiusa in Lui tutta la felicità che da sempre tanto cerchiamo.

Marco

“Non è il Dio delle abitudini, è il Dio delle sorprese”
(Papa Francesco)

Alla marcia francescana Dio mi ha colto di sorpresa. Mi ha preparato un incontro che non immaginavo. Credevo che quei giorni sarebbero stati un nuovo tassello da aggiungere ad un cammino cristiano già ben consolidato, con delle fondamenta che ormai avevano trovato il loro equilibrio. Invece sono stati giorni che hanno scosso nel profondo tutta la mia vita di fede.

Una sorpresa il Signore già me l’aveva fatta: avevo 19 anni, era l’estate dopo la maturità e sono andato a Taizé, insieme a mia sorella con un pullman che partiva da Verona.

A Taizé, per la prima volta, ho scoperto l’Amore di Dio. Non so come; non so perché proprio in quel momento, ma nella semplicità di quel luogo la persona di Gesù mi ha toccato in fondo al cuore. Mi sono sentito amato in modo unico! L’Amore di Cristo mi aveva sorpreso e aveva lasciato un segno.

Poco tempo dopo mi sono iscritto all’università, a Padova . Questi anni sono stati tempo di grande gioia: avevo vivo dentro di me il desiderio di amare come Gesù, e questo desiderio dava una grande forza, una grande speranza. Verso la fine di quegli anni, però, questa felicità è andata pian piano diminuendo, quasi come se si consumasse. Molti amici “storici” un po’ alla volta si sono laureati e sono partiti. Ho concluso la storia con la mia ragazza dopo un periodo un po’ nero e infine io stesso stavo per finire la mia esperienza universitaria. Tutto questo ha portato un po’ di tristezza che lentamente si è trasformata in inquietudine. I grandi equilibri della mia vita non erano più così sicuri. Sono entrato in un momento di grande smarrimento.

In questo stato interiore sono arrivato alla marcia. Il cammino mi ha portato alla radice delle mie inquietudini. La fatica e l’ascolto hanno fatto breccia tra le mie resistenze. E così la sorpresa nuova è arrivata, lo stupore di un nuovo incontro. Era il giorno della penitenziale. Durante l’adorazione mi sono sentito interrogare da una domanda forte: “Emanuele, hai capito quanto ti amo? Io per te ho dato tutto! Ho dato mio figlio che ha donato la sua vita! Tu che cosa mi hai dato?

Questa domanda non è arrivata nella testa, ma ha raggiunto il cuore, perché ho pianto, ho pianto molto. Di fronte a quella domanda mi sono reso conto che nella vita mi ero sempre risparmiato. Che Dio era sempre stato importante, ma che io lo ero di più: al centro della mia vita c’ero io, non Lui. Ero sempre stato io a decidere come amare, chi amare, quanto amare, fin dove spingermi e dove invece fermarmi, perché diventava eccessivo. E ciò che mi ha fatto nascere quel pianto è stato capire che ogni volta che nella mia vita mi ero accontentato avevo messo Gesù in croce. E quante volte lo avevo fatto.

Ma come potevo io con tutti i miei limiti e le mie paure donarmi totalmente per gli altri? Quella sera alla marcia Dio ha risposto a questa domanda: mi mostrava una realtà nuova e molto grande: che la mia vita non era mia, ma era Sua. Mi chiedeva di cedergli il posto e lasciare Lui al centro, non per farmi da padrone, ma per amarmi, e soprattutto perché io mi lasciassi amare da Lui. Gesù Cristo aveva donato la sua vita per me; in un solo modo potevo rispondere: donare la mia vita per Lui. Donare la vita a Lui per ricevere tutto.

Quell’inquietudine che vivevo prima della marcia francescana era dovuta al fatto che a guidare la mia vita c’ero io e non Dio. La felicità pian piano si era consumata perché veniva da me e non da Dio. Il risparmiarmi nell’amore era una conseguenza di un amore limitato, perché veniva da me. Dio mi ha fatto una sorpresa: mi ha chiesto di lasciare fare a Lui. Di lasciarlo al centro della mia vita, di affidarmi a Lui per cancellare le inquietudini, per donarmi una felicità che non si consuma, per trasformare la mia vita in un dono da offrire agli altri.

Una bella sorpresa!

Emanuele

Due eventi hanno segnato la mia vita.

Il primo a sei anni. Un sabato io e mia sorella, uscite da scuola giocavamo a rincorrerci lungo il corridoio di casa. Ad un certo punto lei chiude la porta di una stanza ed io non riuscendo a fermarmi prima vado a finire nel vetro della porta. A soccorrermi viene mia madre. Lei non ha la macchina e sul pianerottolo non c’è nessuno, perché sono tutti a lavoro. Allora usciamo di casa e incontriamo l’infermiere che abita nel nostro palazzo, il quale sta andando a lavoro in ospedale. Grazie a lui vado in pronto soccorso . Il mio è il caso più urgente. Ricordo i momenti prima di ricoverarmi. A crudo mi ricuciono il muscolo per bloccare il flusso del sangue.

Mia madre è sempre lì accanto a me che piange. Dopo l’intervento, che sarà durato un paio d’ore, esco dalla sala operatoria e mio padre viene a sapere, da uno dei medici che mi ha operata, che non si sa per quale motivo io sia ancora viva in quanto è mancato un centimetro esatto per morire dissanguata.

Dopo questo incidente, non ricordo nulla della mia vita, dai 6 fino ai 14 anni. È come se si fosse bloccata lì. Dai 14 anni in poi sono stata la solita brava ragazza che va in chiesa, frequenta il gruppo della parrocchia, fa i campi scuola, convinta di credere in un Dio che è Amore. Ma in realtà credevo di credere.

Tutte queste certezze iniziano a crollare a 17 anni, quando muore un mio amico, fidanzato di una mia amica, in un incidente stradale. Lei quel giorno era con lui e si è salvata, mentre lui è morto. Anche questo evento mi ha segnata e da quel giorno ho creduto che il Dio amore, di cui avevo sentito sempre parlare, fosse solo una favola. Mi chiedevo sempre come mai Dio avesse fatto morire un ragazzo giovanissimo che si sarebbe dovuto sposare. Come mai avesse fatto soffrire famiglie intere, noi amici e soprattutto lei, la sua futura sposa. E mi chiedevo, ancora, come mai non mi avesse fatta morire a sei anni, dato che dovevo vivere e vedere intorno a me tanta sofferenza, tanta morte.

Domande alle quali nessuno è mai riuscito a rispondermi.

A dicembre 2012 mi viene data la possibilità, da un sacerdote che conoscevo, di andare ad Assisi a fare il corso vocazionale. Io accetto subito credendo che quei cinque giorni sarebbero stati come uno dei tanti campi scuola che avevo fatto e che i miei problemi e le mie domande sarebbero rimasti lì a casa e Dio, ancora una volta, lontano da tutto ciò che per me era morte e dolore.

In realtà è stato tutto il contrario. In quei giorni mi era stato ripetuto più volte che con questo Dio che è Padre, noi possiamo avere una relazione e che Lui non salva dalla morte, ma nella morte. E il Signore infatti entra nella mia storia in modo delicato, non invadente, parlando il mio linguaggio.

Il 30 dicembre 2012 alle ore 22:30 incontro Dio. Mi parla attraverso la Parola del profeta Isaia: “ti ho scelto, non ti ho rigettato”; e attraverso le parole di un frate si fa carne, dicendomi: “Sei bella, non farti fregare da nessuno la bellezza che hai dentro”.

Da quel giorno c’è stato un cambiamento radicale.

Tornata a casa la morte e il dolore erano lì e inizia un cammino di benedizione. Col tempo ho maturato la certezza che il Signore si è servito di queste “morti” per farmi incontrare un Amore più grande, un punto di riferimento più grande: Lui.

Il suo amore mi ha aspettata lì, dove non ho mai fatto entrare nessuno, dove soffrivo, dove ero morta. Mi ha aspettata lì, perché desiderava che vivessi tutto con occhi diversi, con gli occhi di una persona amata, desiderata, scelta da sempre, consapevole di vivere la morte, ma una morte vinta solo con Lui; con gli occhi di una persona risorta.

Sono passata dalla morte alla Vita Vera e porto sulla carne cicatrici che mi ricordano il giorno in cui il Signore ha cominciato a salvarmi. E oggi sono una ragazza felice, piena di una gioia che solo Lui può donare e amata da un Padre che desidera fare di me una meraviglia stupenda.

Ornella