Archivio per mese: Giugno, 2015
Sono partita per cercare Gesù nel tempio, sono tornata con il cuore colmo di meraviglia: Gesù non è lì. Ma avevo bisogno di controllare.
Ecco il mio viaggio in Terra Santa. Questa terra è piena di tutto. È piena di colori, piena di odori, piena di gente, piena di diversità, piena di cercatori di Dio. Questo luogo descrive l’assurdo dell’umanità, è l’impensabile, l’irraggiungibile, è la culla da cui proveniamo, è la descrizione della nostra umanità.
Entrare in questo paese è come entrare in una mappa che descrive il crogiuolo umano che abita la terra, è come un racconto colorito per bambini per descrivere l’assurdo del mondo, un racconto i cui personaggi sono esasperati, in cui tutto è caricaturale. Arrivare in Terra Santa è come tornare nel ventre materno, è come guardare un luogo che si è sempre conosciuto e riconoscerlo. Si rimane ad occhi spalancati, pensando che sia impossibile che sia davvero così, eppure lo è.
In Terra Santa ogni uomo cerca Dio. Gli ebrei per Gerusalemme corrono veloci, hanno sempre una meta. Stanno attendendo, eppure non attendono passivi, continuano a cercare, affannati, angosciati. I musulmani cercano Dio, sì, anche loro hanno sete, sono arrabbiati, sono frustrati dalla sua mancanza, si contendono Dio con gli ebrei, come se fosse un possesso. Gerusalemme è una città che non vive nel tempo, è una città congelata in un istante della storia, terrorizzata di cambiare, impaurita da un Dio che ancora non ha compiuto il suo annuncio, che guarda minaccioso il suo popolo dall’alto, tenendo in mano le tavole della legge. Gerusalemme è una donna che attende di partorire, vive quell’attesa della venuta al mondo del figlio, ma è anche una madre con le mani sporche di sangue, che nel suo inconscio soffre dello spargimento di cui è stata responsabile.
A Gerusalemme tutto è ad alto volume, tutto urla. Urlano i commercianti nel suk, urlano i musulmani al passaggio dei pellegrini, perfino il corpo degli ebrei oranti è un urlo. È inquietante, è di una bellezza paurosa, di una luce troppo forte per essere vera. Gerusalemme è una fortificazione che ha imprigionato sé stessa. Il centro della città è il tempio, le cui pareti sembrano crollare su sé stesse a causa della luce sfolgorante emanata dalla cupola della moschea che sorge sulla base del tempio.
È una Babele, in cui tutti rivendicano con lingue diverse la propria appartenenza a Dio. Il popolo israelo-palestinese si azzuffa su un corpo già ucciso, quello di Gesù, si combatte su qualcosa che non è più lì. Il popolo non si accorge che insultandosi, sta insultando Dio, non si accorge che trattenendolo, lo sta perdendo, l’ha già perso.
A Gerusalemme tutti pregano, ma non si riesce a pregare. Nessuno vuole sentire gli altri pregare, e nessun luogo permette a Dio di parlare, perché l’uomo pretende di dire tutto di Dio. Qui ciò che parla di Dio è l’assenza: l’assenza di pace, l’assenza di silenzio, l’assenza di ascolto, l’assenza di amore. Quanta inquietudine si vive in questa città, nel cercarlo.
Mi aspettavo un Gesù in carne ed ossa di fronte a me, con il quale parlare apertamente, e ho trovato un sepolcro vuoto. Che delusione. Ogni luogo di questo pellegrinaggio era intriso di attesa. L’attesa del sì di Maria, l’attesa della nascita, l’attesa dell’incontro con un Gesù adulto, cercatore di uomini. E ogni luogo che narra di lui, non ha senso senza il luogo successivo. Perché la storia di Dio non ha senso senza il suo finale. Per tutto il tempo ho pensato: ma dov’è??? E per tutto il tempo ho pensato ai momenti in cui ci siamo incontrati, in cui sono stata cuore a cuore con lui, ai momenti in cui mi sono sentita amata. E non lo riconoscevo. Quanta inquietudine essere nella sua terra e non trovarlo. Ma è come cercare qualcuno nella casa d’infanzia, entrare nella sua camera con ancora i pupazzi sul letto e non trovare altro che della nostalgia.
Il centro nevralgico della storia di Dio è nel calvario e poi nel sepolcro, dove l’uomo l’ha voluto relegare, incapace di accettarlo. E in questo luogo aspettavo un’enorme commozione. Ho passato una notte intera a cercarlo là dentro, senza trovarlo. Lui non c’era. Vi urlo davvero questa notizia: Gesù non è nel sepolcro!
Davvero non è più lì. Mi sono disperata di non trovarlo. Non ci potevo credere. Quante volte ne ho fatto esperienza, quanto amo sentirmi nel suo Amore, e non trovarlo in quella che credevo la sua “casa” era per me inconcepibile. Pensavo di sbagliare qualcosa, di non conoscere più Dio, di dover ricominciare tutto da capo. Ma non mi sbagliavo: Gesù non è davvero più lì.
Il corpo di Gesù è asceso al cielo, assieme al suo spirito. E Gerusalemme questo non l’ha capito.
Gerusalemme non ha capito che ogni giorno, rifiutando i fratelli, sta rifiutando Dio. Perché Dio è dentro di noi. Io ve lo voglio dire. Ve lo voglio urlare. Voglio che tutti lo sappiano. Io ho visto uomini che lo cercano senza trovarlo, uomini per cui Dio è diventata una guerra, uomini per cui Dio è un’ideologia, una teoria, una filosofia. No, vi voglio dire, Dio è amore!
È vivo in noi, e vive di ogni volta che amiamo qualcuno.
Dio è un mistero, è la cosa più piccola del mondo, è nato e vissuto proprio lì, in quella terra che non l’avrebbe mai accettato.
Dio chiede l’umiltà di non poterlo conoscere fino in fondo, di non poterlo chiudere tra delle mura, ma di custodirlo in ciò che di più prezioso, bello ed affascinante abbiamo: il nostro corpo. Il suo corpo è diventato il nostro. Ecco perché non c’era in quel sepolcro. Dio è risorto da quel sepolcro, per fortuna!
Sono tornata a casa, a fatica, temendo ciò che mi aspettava, il pauroso quotidiano. Eppure camminando per le strade della mia città questa certezza d’amore si è fatta carne in me. In quel luogo non c’è più, ma noi l’abbiamo visto. Io voglio che lo sappiate, Dio vive nella nostra fede in Lui, nel nostro scommettere che in ogni passo faticoso nell’amore, nel rifiutare il male, nel fidarsi di Lui, c’è la vita. Io sono piccola, ma ogni volta che ci ho creduto, l’ho visto.
Non ci viene chiesto altro che di lasciarci amare e farci portatori di questo amore. Dalla Terra Santa è bello tornare, perché la vita è qui, nel nostro tempo, nel nostro spazio, non si può fermare, non si può congelare, si può solo intessere di bellezza, con la vita di Dio. Ed è in questa certezza di amore, che nasce il desiderio che tutti sappiano, che tutti sappiano che la brezza leggera che soffia per quelle strade, quasi impercettibile, è l’amore, voglio che tutti sappiano che l’uomo è degno di stima, di rispetto, perché è l’amato, perché è il luogo in cui Dio oggi vuole abitare. E non posso sopportare che qualcuno muoia senza saperlo, perché conosco il dolore di una vita spesa così.
E questo desiderio sfocia nell’impotenza di fronte alla libertà dell’altro di non accoglierlo. E di nuovo riapprodiamo all’amore. Perchè Dio ha scelto questo per mostrarsi: la possibilità del rifiuto per lasciarci liberi.
Io tutto questo non lo riesco a capire, e forse nemmeno a credere fino in fondo, ma è la mia fede, che ho ricevuto senza alcun merito, capacità o volontà, è un immeritato dono che ho ricevuto, e per questo ve la voglio donare.
Emilia
“FRANCESCO, QUANTO RESTA DELLA NOTTE?”
Il pellegrinaggio consiste in cammino sui passi di Francesco nei luoghi della sua giovinezza e della sua conversione.
Il Canto nella Notte quest’anno sarà strutturato diversamente: non cammineremo tutta la notte ma solo per una parte, per poi permettere a tutti di riposare.
La domenica mattina ci ritroveremo per concludere la nostra esperienza con la celebrazione eucaristica che si terrà alle ore 10 nel Bosco della Casa di accoglienza Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli.
L’iniziativa è rivolta ai giovani dai 18 ai 33 anni.
Sabato 20 giugno 2015
- Accoglienza dalle ore 14 alle ore 16 alla DOMUS PACIS
- Ritrovo ore 17 alla Rocca Maggiore di Assisi
- Prove di canto – Catechesi – Cena al sacco
- Partenza del pellegrinaggio
- Arrivo alla Porziuncola (previsto alle ore 2.00)
- Riposo nei luoghi di alloggio
Domenica 21 giugno 2015
- Celebrazione eucaristica ore 10.00 al Bosco della DOMUS PACIS
- Saluti e partenze
È necessario portare sacco a pelo e stuoino (per la notte), cena al sacco, kway (o qualcosa per ripararsi dall’eventuale pioggia) e cappellino.
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