Lo scorso marzo, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda ( dopo l’esperienza di Giovani e Missione), nel progetto francescano di Giorgio e Marta, Ewe Mama, che prevede una scuola per bambini disabili e un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Sono partita con un po’ di insicurezza, con il pensiero di non essere all’altezza dei compiti che mi avrebbero affidato e con il timore di non riuscire a entrare in una relazione profonda con i bambini, così diversi da me per cultura e situazioni di vita. Fin dai primi giorni però mi sono accorta come queste preoccupazioni fossero veramente vane: non mi veniva chiesto nient’altro se non essere me stessa fino in fondo. Mi sono ritrovata a essere Ilaria, senza maschere e sovrastrutture, e questi piccoli mi hanno fatto capire l’importanza delle cose semplici e autentiche.

Dal primo giorno sono rimasta colpita e affascinata dall’Amore che traspariva da questi bambini, che, pur avendo poco, riuscivano a donarsi attenzioni e sostegno l’un l’altro; l’aiuto reciproco e le cure verso i più bisognosi venivano prima di tutto dai bambini stessi. Con il passare del tempo ho capito che, più che essere io quella che donavo, erano loro che donavano a me vita e verità.

Sono partita con il desiderio di fare esperienza di Dio e di conoscerLo in maniera più profonda e posso affermare che questi bambini sono espressione del Suo volto. Si fa esperienza di Dio attraverso i bambini della scuola per disabili e le bambine dell’orfanotrofio, che davvero rappresentano i “piccoli”, gli ultimi, inconsapevoli della preziosità che donano; attraverso i loro sorrisi e i loro occhi, nell’amore che cercano e che danno. Ho compreso con più facilità le parole della Serva di Dio Chiara Corbella, la quale afferma che “l’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare”. In questo mese, sono stata testimone di come solo l’Amore resta e conta: non si è amati per quello che si fa o per le nostre abilità, si è amati per quello che si è. I nostri limiti e le nostre debolezze diventano davvero luogo privilegiato per l’incontro con Dio.

Ho fatto esperienza di Dio non solo attraverso i bambini, ma anche attraverso i volontari con i quali ho condiviso questo tempo: ognuno di loro mi ha donato qualcosa di unico. La condivisione dell’esperienza con dei fratelli ha reso queste settimane più belle, perché è vero che le fatiche, se condivise, diventano più leggere e la gioia si moltiplica.

Quando penso alla missione penso a come raffiguri davvero un piccolo grande pezzo del regno dei cieli, che è simile al lievito o al granellino di senapa che, se seminato, si arricchisce. Prima di partire, mai avrei potuto immaginare la ricchezza e la bellezza che mi sono portata a casa. Grazie a Giorgio e Marta, che si dedicano anima e corpo a questo progetto, desiderosi di fare la volontà di Dio e fiduciosi nella Sua Provvidenza. La loro fiducia nell’amore e nel progetto di Dio per loro rappresenta per me un esempio grande di come i figli si abbandonano con fede nelle mani del Padre.

Sono tornata con la consapevolezza che si può continuare a vivere la missione anche a casa e che è possibile trovare il volto di Dio in ogni persona che incontriamo sul nostro cammino. Grazie a questa missione, ho fatto esperienza di come Dio agisce nella nostra vita, nonostante i nostri limiti e i nostri dubbi; l’unica cosa di cui necessita è il nostro “sì”, la nostra fiducia nel fatto che Lui conosce ciò di cui abbiamo davvero bisogno e ci resta accanto sempre, passo dopo passo.

Ilaria

Quando mi è stata proposta l’esperienza della missione ho accettato senza sapere bene cosa sarei andato a fare a San Martino Buon Albergo. Conoscevo già i frati e il loro modo di fare, di coinvolgere le persone, mi aspettavo sì tanta festa, ma ho scoperto in quei dieci giorni la gioia di portare Cristo agli altri; non me stesso o le mie parole, non la mia esperienza o le mie convinzioni, ho imparato che anche solo la presenza, un sorriso, anche solo ascoltare nel silenzio le sofferenze di una persona che si apre a te, tutto questo può essere strumento meraviglioso nelle mani di Dio.
Innanzitutto mi ha sorpreso sapere che saremmo stati ospitati nelle case di alcune famiglie di San Martino, non me l’aspettavo e non è scontato aprire la propria casa ad un estraneo, ho ricevuto un’accoglienza che difficilmente potrò ripagare!
I primi giorni sono serviti soprattutto ad entrare in fraternità con le persone che mi hanno accompagnato, i frati, le suore e gli altri ragazzi della missione; questo mi ha ricordato che ogni persona è tempio di Dio, ha una storia, delle sofferenze e una complessità che non può essere banalizzata. Ho capito che non ero lì per insegnare qualcosa a qualcuno, nè per comportarmi come un amante fugace, che ti parla di Dio, ti rapisce il cuore per un momento e poi ti lascia con l’amaro in bocca quando se ne va.
“Il missionario non deve convincere, ma far vedere, non deve spiegare Gesù ma mostrarlo attraverso la propria vita, perchè è molto più forte l’attrazione, il fascino generato da una vita in Cristo rispetto al senso logico che possono avere certe argomentazioni.”
Su queste parole ho potuto incontrare le persone di San Martino, lasciando agire lo Spirito Santo piuttosto che preoccuparmi di avere la risposta pronta o quella giusta. Più che un fare la missione si è rivelata per essere un lasciar fare, permettendo alla parola e allo Spirito di guidarmi, non solo nell’incontro con gli altri ma anche nel mio percorso personale di crescita e nella relazione con il Signore.
Questa missione mi ha riavvicinato molto alle persone, ad un amore che ha scelto di dare tutto, di essere coinvolto e compassionevole, e mi ha aiutato a vedere la bellezza nell’altro, anche all’interno di un mondo frenetico in cui non ho mai tempo neanche di pensare a me stesso. Da questa esperienza porto
a casa un insegnamento importante, quello di non sentirsi protagonisti dell’evangelizzazione e di rimettere ogni azione nelle mani del Signore.

Giacomo