In questo quinto incontro di Forza dall’Alto, incontriamo Paolo ad Atene, intento ad annunciare la bella notizia. A quel tempo ad Atene si trovavano persone provenienti da tutto il bacino del mediterraneo per studiare: un luogo significativo dal punto di vista culturale e religioso. Infatti nella città non mancavano statue, templi, altari, riti…e Paolo, dicono gli Atti, che “…fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli”.

Leggiamo il discorso che Paolo fa ad Atene, precisamente all’areopago.

Lettura At 17, 22-34

Se avete ascoltato bene, il discorso di Paolo davanti agli ateniesi non ha tanto successo. Però, cogliamo subito la prima cosa importante: Gesù Cristo ha una parola da dire anche ad Atene. Perché? Te lo dice papa Francesco nell’Evangelii Gaugium: “se abbiamo incontrato Gesù Cristo non possiamo più rimanere tranquilli dentro le nostre chiese…perché la vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio”.

Perciò Paolo arriva all’areopago di Atene in questo stato e cosa vede? Uomini religiosi. Chi sono questi uomini? Sono tutti quelli che pensano di dover fare qualcosa per meritarsi l’amore di Dio. E nella Bibbia quando non ci si rivolge al vero Dio, ci si affida a qualche idolo. Cioè qualcosa a cui chiedi vita, ma non te la dà, anzi te la chiede lui. Allora il centro sta proprio lì: a chi stiamo chiedendo vita? A Dio o degli idoli?

Per questo Paolo deve piantare dei segnali stradali, grandi, luminosi, per riportare in carreggiata questa città, ma non annunciando una religione, bensì una fede, che non è uno sforzo, ma è accogliere un amore che viene per primo anche quando non lo meritiamo.

Primo segnale stradale: “Dio…Non abita nei templi costruiti da mani d’uomo”

Che significa? Vuol dire che finalmente Dio è stato liberato e può tornare per le strade. Ha finito la quarantena: può mettersi alla ricerca dell’uomo. Gesù Cristo ha preso cittadinanza tra i malati, tra i poveri, nelle case, in strada…per dirti che non c’è più nessun posto dove lui non può abitare, non c’è più niente di profano.

Secondo segnale stradale: “Dio…dalle mani dell’uomo non si lascia servire”

Lo schiavo si compra ed ha una mentalità chiara: sopravvivo se faccio il mio dovere. Cristo vorrebbe farti scoprire semplicemente che tu sei figlio: che puoi pensare da figlio, volere da figlio, respirare da figlio… San Paolo dirà in Galati: Tu non sei più schiavo ma figlio. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio, il quale grida “Abbà Padre”. C’è una prospettiva da aggiornare: far morire lo schiavo che sopravvive obbedendo e liberare il figlio che chiama Dio Padre.

Terzo segnale stradale: “Non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento, alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano”

Nel libro dell’Esodo gli israeliti avevano già provato a farsi un bel vitello d’oro fuso da onorare come Dio… Quando i posti vengono confusi, la creatura fa il suo creatore, ognuno inizia a costruirsi il proprio Dio, sé stesso, il denaro, un progetto… Dio non ci lascia una statua da lucidare, Dio ci lascia il corpo di Gesù, l’Eucarestia.

Infine Paolo spiega dove portano i segnali, qual è la direzione. Lo dice in due frasi bellissime:

“…è Lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa”

Cosa demolisce un tempio, cosa distrugge la logica della schiavitù, cosa banalizza l’oro: incontrare un Dio che dà la vita per te. Il tempio è demolito quando scopri che “dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”; sei riscattato dalla logica della schiavitù quando ti viene detto che tu sei prezioso, che per te Dio darebbe l’Egitto; l’oro perde valore quando ti accorgi finalmente che Dio non si compra ma si accoglie.

Paolo continua: “…in Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”.

Bellissimo. Paolo qui ti dice una cosa molto seria: che Dio non solo è vicino, che noi non solo possiamo incontrarlo, ma ci siamo dentro. Da quando Gesù ci ha donato il suo Spirito, la vita cristiana è questione di restare dentro di Lui.  “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4). Ma quando Paolo sta arrivando al nucleo dell’annuncio cristiano, alla verità più profonda, che Gesù Cristo è risorto…resta solo. Perché la fede /annuncio include anche il fallimento. Restare fedeli alla propria vocazione e missione a volte ti lascia solo, ti fa morire, a volte sei anche deriso, preso in giro…ma ti accorgi che più Lo doni più sei vivo. Allora Perché farlo? Perché annunciare Gesù Cristo? Perché tu hai incontrato uno che ha dato la vita per te e questa cosa la devi raccontare e quando non puoi raccontarla si deve vedere. Lo fai perché ti abita lo stesso desiderio del Padre: che nessuno vada perduto; Lo fai perché l’amore di Cristo ti spinge: ti sta dietro, ti dice dai, vai… Lo fai perché certe persone hanno solo te per sapere che sono amate; Lo fai perché certe persone hanno te per sapere che sono figli; Lo fai perché hanno solo te per sapere che sono già perdonate; È come l’agricoltore che semina: quello che accade sotto terra lui non lo sa, ma l’importante è prendersi cura di quel terreno, sapendo che è stato amato, vangato, curato.

Il mondo va sorpreso con l’Amore che va oltre la morte perché dal giorno del battesimo sei stato innestato in questa vita. Quanti giovani, sono stati sorpresi da un amore così perché hanno visto persone morire in un modo diverso, perché hanno conosciuto Chiara Luce, perché hanno incontrato Chiara Corbella, Carlo Acutis…che hanno detto con la loro vita una verità semplicissima: Nell’amore non c’è timore (1Gv 4,18).

Papa Francesco dice proprio questo: Più della paura di sbagliare, dice il papa, spero ci muova la paura di rinchiuderci in strutture, norme, abitudini…mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ripete senza sosta: voi stessi date loro da mangiare…voi stessi, voi stessi (Evangelii Gaugium).

Domande

-Se la fede aumenta donandola, cosa voglio donare a chi mi sta accanto?

-Se sono responsabile della vita del fratello, come essere luce e sale per la sua vita?

 

Dalle Fonti Francescane

Nell’anno del Signore 1219 e decimo della sua conversione, frate Francesco, nel Capitolo tenuto presso Santa Maria della Porziuncola, mandò alcuni frati in Francia, in Germania, in Ungheria, in Spagna e in quelle altre province d’Italia in cui i frati non erano ancora giunti. I frati che giunsero in Francia, interrogati se fossero Albigesi, risposero di sì non capendo cosa significasse “Albigesi”; non sapendo, per altro, che erano eretici, e così furono reputati eretici […].

In Germania, poi, furono mandati… Giovanni da Penna con circa sessanta frati o forse più. Questi, penetrando nelle regioni della Germania e non conoscendo la lingua, richiesti se volessero alloggio, vitto o altre cose del genere, risposero “ia” e così furono da alcuni benignamente ricevuti. E, notando che con questa parola “ia” venivano trattati umanamente, decisero di rispondere “ia” a qualsiasi cosa che veniva loro richiesta. Per questo accadde che, interrogati se fossero eretici e se fossero venuti appunto per contaminare la Germania, così come avevano pervertito anche la Lombardia, di nuovo risposero “ia”. Alcuni allora vennero incarcerati, altri, spogliati, furono condotti in giro nudi e fatti spettacolo comico per la folla. Vedendo dunque i frati che non potevano produrre frutto in Germania, se ne ritornarono in Italia. Per questo fatto la Germania fu reputata dai frati tanto inumana, che non osavano ritornarvi se non animati dal desiderio di martirio.

I frati invece mandati in Ungheria vi furono condotti, via mare, per interessamento di un vescovo ungherese. E mentre, canzonati, si introducevano per quelle pianure, i pastori li assalirono con i cani e, senza pronunciare parola, senza tregua li percuotevano con le loro lance, dalla parte non appuntita. E poiché i frati si domandavano tra loro il perché di tali maltrattamenti, uno disse: “Forse perché vogliono avere le tonache che portiamo sopra”. Gliele diedero, ma quelli non desistevano dal bastonarli. Aggiunse allora: “Forse vogliono avere le nostre tonachette che portiamo sotto”. Ma, datele, neppure allora quelli smisero di percuoterli. Allora disse: “Forse vogliono avere anche i nostri mutandoni”. E lasciarono loro anche quelli. Allora smisero di bastonarli e li lasciarono andare nudi. E a me uno di questi frati riferì che così ben 15 volte ci aveva rimesso le mutande; e, poiché vinto dal pudore e dalla vergogna, si doleva più per i mutandoni che per le altre vesti, imbrattò i suoi mutandoni con lo sterco dei buoi e con altra sporcizia di modo che, gli stessi pastori, provandone disgusto, gli concessero di tenerli. E dopo aver subìto queste e altre offese, ritornarono in Italia. Dei frati, poi, che passarono per la Spagna, cinque furono coronati del martirio […].

 

«Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare […]». (Papa Paolo VI, Evangelii Nuntiandi n. 14)

I frati minori sono già arrivati all’estremo della pazzia, perché vanno vagando per le città e i paesi e i luoghi solitari (Buoncompagno da Signa, Retorica antica, in FF 2239)

Ai tempi di Francesco, si possono notare tre tipi di “distanze, lontananze, esclusioni” che generano tre tipi di lebbra: fisica, morale e spirituale.

a) Il bacio di Francesco al lebbroso fisico è ben conosciuto. In quel bacio Francesco compie il suo primo cammino di conversione: ora egli è pronto ad ascoltare Cristo che nella chiesetta di San Damiano gli affida la sua missione: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa” … spingersi al largo dell’umanità!

b) I lebbrosi morali. Coloro che scelgono di allontanarsi dal bene, o dalla ricerca del bene, ma pur sempre fratelli e con umiltà e buon umore vanno incontrati e amati per ciò che sono: “figli dell’unico Padre”.

c) I lebbrosi spirituali, chi si affida agli idoli di ogni tempo, quelli che la Scrittura definisce i “pagani”, ma anche coloro non ancora raggiunti dalla grazia del Vangelo o chi vive la fede ancora in modo intimistico, poco audace.

Francesco, sa superare confini geografici con lo zelo per il Vangelo nel cuore… Un momento di passaggio avviene nel momento in cui l’orizzonte della predicazione oltrepassa i confini della penisola italiana: «Nell’anno del Signore 1219 e decimo della sua conversione, frate Francesco, mandò alcuni frati in Francia, in Germania, in Ungheria, in Spagna e in quelle altre province d’Italia in cui i frati non erano ancora giunti» e Francesco descrive cosa accadde in ogni territorio in cui giunsero. All’inizio tutte esperienze di apparente fallimento… L’unico posto forse che non fu un fallimento fu l’Oriente dove Francesco incontrò il sultano al-Malek al-Kamil.

Pian piano si assiste al passaggio dalla “fraternità evangelica” all’ordine dei frati Minori e anche l’invio dei frati divenne più cauto. Vi sarà così una selezione soprattutto riguardo alla conoscenza della lingua e la preparazione culturale e la missione avrà uno sviluppo importante per l’Ordine minoritico. L’entusiasmo delle prime spedizioni – compresa quella dei frati uccisi in Marocco – lascia lo spazio alla ponderatezza; ma se iniziò qualcosa fu proprio grazie a quelle prime avventure! Passaggio fondamentale è tra “Intuizione e forma”. Se la propulsività inziale non lascia spazio al prendere una forma diventa distruttiva. Come in un fidanzamento, si può dire che se l’innamoramento è importante non lo è da meno il passaggio all’amore maturo… Come diceva san Bernardo è bene essere mossi dall’amore ma guai alla stupidità, altrimenti è un caos, un fare male il bene che al posto di edificare distrugge. E Benedetto XVI in Deus Caritas Est n. 20 afferma che “l’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato […] compito della Chiesa, quello dell’amore ben ordinato del prossimo”.

Quali le tappe del percorso spirituale di Francesco e quale traccia per noi?

1.Dallo spirito della cavalleria all’amore appassionato per il Signore Gesù.

2.Dalla mentalità della conquista alla mentalità dell’incontro.

3.Dallo spirito delle crociate allo spirito della fraternità.

Francesco ci insegna un nuovo modo per “andare incontro” agli uomini: è il punto di vista dell’ospite, cioè colui che si dispone a lasciarsi accogliere, a lasciarsi trasformare dall’accoglienza altrui. Per San Bonaventura l’intentio (intenzione/proposito) di Francesco è il desiderio di essere trasformato dal fuoco dell’amore. Egli non si reca in altre terre per cambiare l’altro, ma per cambiare sé stesso! Il cristiano, in terre “lontane”, impara ad essere “segno efficacie, vivo” del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. In questo spirito, troviamo dei fratelli maggiori che ci mostrano la via, perché con la loro vita hanno testimoniato che questo è possibile, una “misura alta” che ci sfida e ci stimola.

In cosa veniamo provocati e scomodati?

«La memoria diviene attualità. La storia diventa maestra. Pone un confronto fra queste lontane figure di frati idealisti, imprudenti, ma esaltati da un amore positivo e trascinante verso Cristo e persuasi della necessità missionaria propria della fede: martiri; e la nostra mentalità moderna, che nasconde sotto un mantello di evoluto scetticismo, una comoda e transigente viltà, e che, priva di principi superiori ed interiori, trova logico il conformismo alle idee correnti…Sorge in noi un certo sentimento di disagio: noi ci sentiamo al tempo stesso distanti da quei campioni della fede, ma insieme avvertiamo, per tante ragioni, che essi ci sono vicini. Essi non sono figure anacronistiche e per noi irreali: essi anzi troppo ci dicono, e quasi ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile volubilità, il nostro relativismo, che talora preferisce alla fede la moda. Lontani e vicini essi sono pur nostri, e ci ammoniscono e ci esortano con parole simili: bisogna avere il coraggio della verità!» (San Paolo VI).

Domande

-Noi oggi che cosa rischiamo per la nostra fede? Come ci mettiamo in gioco per incontrare il fratello che ancora si esclude da questa fraternità universale che Cristo ci ha guadagnato dalla croce?

-In questi giorni proverò a mettermi in gioco in una relazione difficile che vivo…

Atti degli Apostoli (9, 1-19)

Nuovo compagno di viaggio: San Paolo. Nasce a Tarso all’inizio del I secolo, capitale della Cilicia (Turchia), è una città di grande importanza commerciale e culturale (At 9,11; 21,39; 23,3; 23,34).  Egli proviene da una famiglia giudaica, discendente dalla tribù di Beniamino, che osserva le tradizioni del suo popolo, è circonciso l’ottavo giorno (Fil 3,5; 2Cor 11,22; Rom 11,1). La sua educazione, in famiglia è rigorosamente giudaica e viene allevato secondo l’interpretazione farisaica della legge (Fil 3,5); per completare la sua formazione è mandato a Gerusalemme, alla scuola del Rabbi Gamaliele (At 22,3). Lo incontriamo come persecutore dei cristiani, per la prima volta:

a) Durante il martirio di Stefano al capitolo At 7, 58b; e 8, 1.3;

b) Dove si sottolinea che ne approvava l’uccisione e…

c) Cercava di distruggere la Chiesa.

Ma la sua vicenda è introdotta/ripresa in modo solenne al capitolo 9, 1-19.

Brano comunemente conosciuto come la conversione di san Paolo, ma in realtà il testo degli Atti ci parla di “illuminazione” e di “vocazione”. Sarà lo stesso S. Paolo ricordando questo evento a sottolinearne un altro aspetto: quello di “rivelazione del Figlio di Dio”.

Tutti i dettagli del brano si riferiscono al centro dell’avvenimento: il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita ed è lo splendore del Risorto che lo rende cieco: cioè appare così anche esteriormente ciò che era la sua realtà interiore, la sua cecità nei confronti della verità, della luce che è Cristo.

La chiamata di Saulo è narrata per ben tre volte negli Atti:

– all’inizio, (9, 1-19).

-poi quando Paolo va verso Gerusalemme dove è stato ucciso Gesù (22,5-16).

-poi quando deve partire per Roma (26, 9-18, ripresa in Gal 1, 12-17).

Perché riproporre a intervalli la sua chiamata (9, 1-19, 22,5-16, 26, 9-18, ripresa in Gal 1, 12-17)? Per ricordare e sottolineare che è iniziativa di Dio, e soprattutto per capirne meglio la portata: Dio è veramente padre di tutti e suo Figlio è fratello di ogni uomo.

La trasformazione Paolo, di tutto il suo essere venne dall’esterno: fu il frutto dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto.

Come Paolo è stato conquistato da Cristo? Paolo è il prototipo degli apostoli, colui che ha portato il Vangelo a tutti, colui che ha compreso il mistero di Cristo nascosto dall’eternità e l’ha capito subito, folgorato in un istante “grazie” alla sua esperienza di persecutore, amato non perché buono e bravo, come pensava di essere, ma perché perseguitava Gesù che ha dato la vita per lui. Paolo è il seme del sangue del martirio di Stefano…la realtà che stai distruggendo quella ti genera all’uomo nuovo…Come una folgore, una stella cadente illumina nella notte il cielo, Paolo in questa folgorazione ha visto davvero tutta la bellezza di Dio e di Cristo in un istante.

Il testo un po’ più da vicino:

«Spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore»: uno vive dell’aria che mette dentro e l’aria, la vita che Paolo mette dentro, è la minaccia e la strage contro i discepoli di Gesù. Lui vive per ammazzarli, non per cattiveria, ma per zelo di Dio, perché questi distruggono la religione dei padri, distruggono la sua cultura nella quale era il più bravo. Come Gesù dà la sua eredità ai lontani, il primo a riconoscerlo sulla croce è il centurione, colui che lo ha ammazzato, così il primo grande apostolo sarà quello che voleva far fuori la Chiesa.

«All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo»: “gli sfolgorò intorno una luce dal cielo” e una voce gli chiede «Perché mi perseguiti»: gli ha chiesto il perché…il vero problema è quello del perché, la questione del senso. In ciò che dici di amare trovi il tuo compimento? La tua pienezza? Qui Paolo ha capito tutto il senso della sua vita e cioè che: Gesù che perseguita è vivo, non è quello morto, si identifica con i discepoli, è presente in tutti gli uomini che credono in lui, e ora è presente anche in lui che era colui che voleva ucciderli tutti, chiamava anche lui alla vita.

«Chi sei Signore?» … «Io sono Gesù»: sono quel Signore che è presente nella storia, in tutti gli uomini, in particolare in coloro che tu vai perseguitando e che vuole essere presente anche in te; io sono per tutti. Paolo in un istante capisce che Gesù, il Crocifisso, non è maledetto da Dio, ma la rivelazione dell’amore di Dio per tutti i lontani, per tutti i perduti e anche per l’universo intero. «Cristo che mi ha amato e ha dato sé stesso per me». È la scoperta che quel Gesù non è solamente vivo, ma ha il volto di coloro che lui sta andando a catturare per portare a Gerusalemme. È questo il bagliore: questa luce sfolgorante è l’identificazione di Gesù con la sua Chiesa…identificazione accecante, da non consentire a Paolo di stare in piedi…Gesù non gli dice quello che deve fare, glielo dirà un altro. Il diventare ciechi, sapere di essere ciechi è la vera luce.

«Per tre giorni non vedente, non mangiò e né bevve»: sono i tre giorni della morte e del sepolcro di Gesù…nel sepolcro c’è il Signore della vita! E così in lui, nella sua cecità, c’è ormai questa luce interiore. Ha già dentro tutto, il resto si è oscurato momentaneamente, poi vedrà in modo diverso anche la realtà.

«Anania» = «Dio è misericordia». È bella questa mediazione che viene da un altro, che è perseguitato e che è chiamato a cercare Saulo. «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». Quindi va a comunicargli, come fratello, la vista. Paolo ha già la vista interiore, ha già capito tanto; ora attraverso il gesto del fratello, gli si aprono gli occhi sulla fraternità.

Come per Paolo, l’incontro con il Risorto mi fa scoprire il più profondo mistero di me stesso. E fa sì che io venga fuori chiaramente dal caos dei miei molteplici pensieri e sentimenti, dalla confusione dei miei ruoli e delle mie maschere, dei miei infiniti progetti (“Sono più i progetti che ho che la vita che ho a disposizione per realizzarli” (Leopardi, dice nel so diario, “Lo Zibaldone”) e acquisti sempre più la mia vera identità, la chiamata alla pienezza del mio essere.

La vocazione è “il progetto” che Dio ha pensato perché ognuno di noi arrivasse alla pienezza del proprio essere ed è solo nel rapporto con Dio possiamo “renderla vera” perché in gran parte dipende da Lui che ce la rivela. Infatti:

a)Vocazione come “aderire a un progetto”: per Paolo è stato riconoscere Gesù come “Signore” della vita e della morte. Incontrare il Risorto. Per Paolo l’originalità del rapporto con il Signore sta nell’essere trovato in Lui (cf. Is 49, 1).

b)Vocazione come “entrare nella comunione”: Paolo da persecutore “solitario” della Chiesa diviene autentico figlio e membro della Chiesa. La vocazione ti fa uscire dall’individualismo, dall’egocentrismo e ti fa vivere in un “Corpo”, nel “Corpo di Cristo” dove Egli fa fiorire appieno i tuoi carismi (cf. Mt 25, 14-30).

c)Vocazione come “entrare nella libertà e generosità dell’uomo nuovo: riconoscenza e gratitudine perché “Cristo ci ha liberati per la libertà” (cf. Gv 6, 68).

Ognuno ha una “storia vocazionale”: diventa importante la figura di un mediator che aiuti in un buon cammino di discernimento:

Papa Francesco dà indicazioni concrete per un discernimento vocazionale:

1.Silenzio che non è isolamento ma ascolto orante della Parola;

2.Disponibilità a rinunciare “alle proprie certezze e sicurezze”;

3.Disponibilità a “porsi delle domande”, a chiedersi come posso servire meglio in questo mondo (cfr. CV 283-285). «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati “Per chi sono io?» (Francesco, Christus vivit, 286).

Domanda: Cosa abita il tuo cuore in questo tempo? Prova a rispondere alla domanda “Per chi sono io?”. Scegliti un’ora in questa settimana per recarti nella Chiesa più vicina e stare davanti a Gesù Eucarestia.

 

Fonti Francescane (1403) -1411-1412 

E da quell’ora smise di adorare sé stesso, e persero via via di fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era totale, perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane. Ma svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del cuore, e nascondendo allo sguardo degli illusi la perla evangelica, che intendeva acquistare a prezzo di ogni suo avere, spesso e quasi ogni giorno s’immergeva segretamente nell’orazione […]. Aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l’elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose […]. Trascorsero pochi giorni. Mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, fu ispirato a entrarvi. Andatoci prese a fare orazione fervidamente davanti all’immagine del Crocifisso, che gli parlò con commovente bontà: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va dunque e restauramela”. Tremante e stupefatto, il giovane rispose: “Lo farò volentieri, Signore” […]. In seguito a questa visione, il suo cuore si struggeva, come ferito, al ricordo della passione del Signore. Finché visse ebbe sempre nel cuore le stimmate di Gesù il che si manifestò mirabilmente più tardi, quando le piaghe del Crocifisso si riprodussero in modo visibile nel suo corpo […].

C’è anche per Francesco di Assisi una via di Damasco? Come stava il cuore di Francesco prima dell’incontro con Gesù? Francesco è un uomo che desidera, un cercatore; cuore che non si accontenta, vuole di più. Il cuore di Fra è inquieto: il tuo? Lo è ancora? Togli i desideri e un uomo è morto. A Francesco capita la cosa più bella che potesse accadergli: di colpo si è accorto che le cose non gli bastano più. Ma nel cuore non ci sono solo desideri: nel cuore dell’uomo parla il peccato (Sal. 35,1) c’è una radice-matrice del peccato e si chiama amore sbagliato a sé stessi, philautia: cioè adorare se stessi! Io al centro. Self made men!

Cuore di Francesco: lui è figlio di mercante (stoffe-abiti) ma desidera essere cavaliere: vuole vestire i panni di un altro! Vuole un’altra storia, vuole vestire i panni del cavaliere, recitare una parte di vita più interessante. Sta sbagliando? Nooooo anzi…Dio è alleato dei suoi sogni. Nel cuore di Fra desideri e sogni di grandezza si impastano! Il cuore tribolato è una grazia! Ti ricordi Lucia, l’addio ai monti? “Dio non turba mai la gioia dè suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande”.

Come per Saulo così per Francesco, così per te: una caduta a terra! Presa di contatto con la realtà. Dai sogni di grandezza alla grandezza di un sogno. Questa caduta si chiama lebbroso: da loro Fra conosce l’abito vero dell’uomo à le ferite; conosce l’abito mortale della condizione dell’uomo. Ferite dell’esistenza; ferite morali, le tenebre del cuore; ferite della psiche, di chi non fida più di niente e nessuno. Crollo doloroso di un ideale di vita staccato dalla realtà: che Grazia se ti è successo in questo tempo e hai aperto gli occhi, le orecchie, la mente e il cuore.

Ciò che si converte non è Francesco ma il gusto di Francesco: la pasqua del gusto! Da amaro in dolce, dolcezza di animo e di corpo. Incomincia a usare misericordia cioè a dare loro il suo cuore, la verità che lo abita! Inizia a uscire da sé stesso, vincere se stesso perché nel povero, nel lebbroso, nella vita in rovina, c’è una parola per lui; una calamita che lo attira e non sa perché. Quali sono i due giorni più importanti della vita? Quando nasci e quando scopri il per chi sei nato! Di colpo ti accorgi che le cose non ti bastano: ma certo, le cose non hanno un volto! Tu cerchi un volto, da sempre. 1° volto per Francesco à lebbroso.

Ma tutto questo in Francesco è graduale: non è immediato, come per Saulo. L’incontro è puntuale ma il seguirlo è graduale. C’è il tempo della incertezza, del “mi sto facendo un film”, “forse esagero”,…; c’è nel cuore il fascino per le cose di sempre e l’attrazione nuova che mi ha innamorato, che mi sta cambiando i gusti!

Qui si colloca l’incontro di Francesco con il Crocifisso di San Damiano. Ispirato, entra e prega con passione: che bello questo cuore che arde, che brucia, espressione di desideri che cercano casa, che chiedono verità; ma i desideri sono anche espressione di una libertà che vuole legarsi perché sta scoprendo, grazie alla caduta, che la libertà non è fare quello che voglio ma volere ciò che faccio. La libertà è legame e non solo sentimento e emozione: è trovare il volto, 2 occhi e un volto da amare! Le cose a metà non vanno più, con la data di scadenza. Francesco prega, parla con il Crocifisso dagli occhi stupendamente aperti perché è Vivo, è vittorioso sulla morte: parla e si intrattiene come con un amico, entra in dialogo! Non si concepisce più uomo che basta a se stesso, non si concepisce più come un uomo che và verso se stesso, il suo progetto: inizio del brano è la chiave di un vero cammino vocazionale à “smise di adorare se stesso!”.

Qui accada l’evento: dagli occhi impauriti del lebbroso, dal volto dell’uomo in rovina, agli occhi e il volto di Gesù! Cosa c’è in un colpo d’occhio?! Cosa si racchiude in un attimo! Cos’è una scintilla che fa nascere un incendio! Cos’è un contagio di luce e di bellezza! È iniziata in Francesco l’unica cosa necessaria per entrare nella vocazione e missione: un dialogo intimo, personale, profondo. Come per Saulo. Questo dialogo è un evento di Grazia e di libertà che trasforma dal di dentrocosì l’uomo impara a vivere all’altezza dei suoi desideriDio alleato dei tuoi desideri si….ma te li dilata sulle Sue misure! “Francesco vuoi essere cavaliere? Ti faccio diventare cavaliere, l’araldo del Re dei Re. È troppo poco quello che sogni da innamorato: io ti faccio conoscere e percorrere la via dell’amore”.

Il contenuto delle parole del Crocifisso dagli occhi aperti: Francesco non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela. Il contenuto della vocazione e missione di Francesco sono le ferite dell’umanità, la salvezza dell’uomo, la passione per l’umanità perduta, le macerie! La casa di Dio è il dolore dell’uomo; abita il tempio santo che è ogni persona. “Francesco ma non vedi? Cosa vedono i tuoi occhi? Hai iniziato ad accorgerti del lebbroso: ecco la mia casa che crolla è da restaurare. Come sto facendo con te, tu fai con loro”.

Lui dirà semplicemente: lo farò volentieri. Che dono….stare volentieri nella tua vocazione e missione dove è brillata la scintilla tra la Grazia di Dio e il desiderio profondo, muovendo la libera decisione. Di 2 occhi e un volto ti innamori perché ti ha preso il cuore! Ecco la vocazione. Il cuore di Fra si struggeva come ferito al ricordo della passione del Signore. Il dolore dell’uomo, le ferite del mondo restano, sono roveti che bruciano e non finiscono mai per chiamarti fuori da te, per spenderti nell’amore che costa, non solo dispiacerti.

La bellezza dei santi sta nel fatto che sono stati se stessi in quel momento. L’imitazione più alta dei santi è la loro originalità cioè la loro non imitabilità, cioè non sono imitabili.  Come se ci dicessero: “Fate come noi: non imitateci!”; cioè non ripetete solo il già visto ma partite dal già visto per essere nuovi, unici, originali. Aprite strade, provateci e avrete la Forza dall’alto: la Grazia di Dio non ammette indugi (S. Ambrogio).

Domanda: Sai stare davanti a Dio in verità e libertà? Cosa cercano i tuoi occhi? Sono ancora puntati su di te? Dai, cerca i Suoi occhi e parlatevi, chiaritevi!

 

Atti 12, 1-11

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. E l’angelo a lui: «Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Avvolgiti il mantello, e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva infatti di avere una visione. Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si dileguò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei».

 

Questa sera vi incontriamo all’altare secentesco di S. Pietro in Vincoli realizzato nella nostra Basilica di Santa Maria della Porziuncola da un giovane collaboratore del Bernini. Uscendo dalla porta laterale della Porziuncola, una volta ricevuto il Perdono, rigenerato dal grembo della Misericordia di Dio, l’uomo perdonato si trova davanti l’altare che rappresenta l’apostolo Pietro liberato miracolosamente dal carcere da parte dell’Angelo di Dio (CFR foto altare): il sacramento della confessione continua l’opera di liberazione dal male.

Pietro davanti alla folla, dopo essere stato investito dalla Pentecoste, esce allo scoperto, sulla piazza e si gioca la vita, si compromette con la storia: comincia a donare la vita per il Vangelo! Lo aveva già fatto ma in modo sempre trattenuto, sotto scacco dalla paura, grandi slanci e veloci tradimenti: ma arriva il momento di fare i conti con il male che ingabbia. La vita a volte ti fa questo servizio: ti mette alle strette e occorre lasciarti salvare e liberare dall’Amore di Dio per te. Tu non potrai mai fare nulla per convincere Dio a non amarti: arrenditi davanti a questo verità! O ti innamori della verità o farai l’amore con ogni vizio!

Pietro in Atti 3 guarisce lo storpio con la potenza del Nome Gesù, guarisce con ciò che ha nel cuore, la Persona di Gesù. E annuncia con franchezza ciò che ha visto e ascoltato. Per questo andrà in carcere, ben tre volte.

In Atti 12 è la 3° volta che Pietro si trova in carcere. C’è un luogo dove è chiaro che la forza non conta: il carcere. Anzi, spesso diventa rabbia e poi violenza. Per esempio quando cerchi di fare qualcosa con le tue forze, vincere un vizio o superare una paura, quando sperimenti il fallimento ti arrabbi e diventi violento, e spesso ne fanno le spese gli altri. In carcere serve la mitezza. Finite le tue possibilità, cominciano quelle di Dio! Pietro viene portato in carcere, condotto in un luogo profondo. Accettare di farsi condurre in profondità da ciò che accade. Non vivere superficialmente. Il carcere è il sepolcro di Pietro, dove Pietro diventa sempre più cristiano; per diventare cristiano occorre imparare a morire, occorre entrare in un sepolcro. In un luogo dove non c’è via d’uscita. E lasciare che qualcun altro ti ridoni la vita. Pietro viene arrestato nei giorni di Pasqua. Le Pasque che vivi ti formano cristiano. Ciò che ti forma non sono i corsi che fai o i libri o lo studio o le esperienze, ma le Pasque che passi, i sepolcri che accetti di attraversare. Cabasillas, riferito al Battesimo, diceva che “veniamo come versati in uno stampo”. La Pasqua libera dall’essere sformato, senza forma, o con tante forme: Pietro ha sempre più la forma di Gesù! Come Francesco di Assisi: non solo il saio a forma di croce ma la sua stessa carne con le Stimmate. Avere la forma del Vangelo…quale bellezza.

In carcere Pietro si rende conto che non è vero che è forte. La grazia che Pietro accoglie è quella di non scappare, non cerca di evadere (le evasioni per far passare il tempo); non tenta di trovare un modo per salvarsi la pelle, ma dorme. Il sonno è la cosa, nella vita, più simile alla morte …perché è il momento della nostra vita dove siamo più deboli. Pietro entra nella paura più grande, quella di morire, fa i conti con la sua debolezza. Accetta che non ce la fa. Quando sono debole allora sono forte, dice Paolo (2Cor 12,7-10), la forza arriva dall’alto, quando smetto di usare la mia forza e mi apro alla forza di un altro.

3 passaggi secondo Solov’ev:

  1. Rifiutare il male che non è fuori di noi, è in noi stessi: il problema non è la realtà ma il cuore, quello che abbiamo dentro non quello che c’è fuori di noi. Quanta fatica per cambiare la realtà per poi accorgersi che il problema non è fuori di noi ma è dal nostro cuore che escono pensieri malvagi
  2. Lo sforzo, provarci e qui accorgersi dell’impotenza della nostra buona volontà. Chissà quanti in attesa della “fase 2 ..3” abbiamo fatto la lista dei buoni propositi, delle cose che “adesso ho capito, delle cose che “adesso cambio” e forse ci siamo già accorti che non basta: da solo non ce la fai
  3. In noi sorge la necessità di cercare un’altra volontà che non solo voglia il bene, ma pure lo possegga e dunque possa comunicare anche a noi la forza del bene. Una tale volontà esiste, e prima che noi la rintracciamo, essa ci ha già trovato.

Questa forza Pietro la riceve “dall’alto”, la forza del bene e possiamo soltanto riceverla. La vittoria dipende non da quello che hai, ma da quello che sei disposto a ricevere. Se pensi di avere tanto, riceverai poco. Se pensi di non avere nulla riceverai tutto. L’uomo non raggiunge veramente se stesso tramite ciò che fa, bensì tramite ciò che riceve. Non si può divenire integralmente uomini fuorché venendo amati, lasciandosi amare (Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo).

Arriva un Angelo che non lo fa scappare in fretta, ma lo fa vestire con calma: uscire dalla paura che ti tiene in carcere attraverso l’obbedienza. Per uscire dalle tue prigioni-paure occorre fidarti di quello che un altro ti dice. Una volta uscito Pietro si rende conto di essere libero; davvero Pietro vive nella scia del Maestro.

Ma il segreto di questo brano è nel v. 5: Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per Lui. La Forza dall’alto arriva grazie all’intercessione, alla preghiera e offerta dei fratelli che forse non vedrai mai, ma davanti a Dio tengono alzate le mani come Mosè per le battaglie dell’uomo di ogni tempo! Questo segreto dell’amore gratuito ha conquistato il cuore di Francesco e Chiara perché hanno scoperto che il sogno di Dio è la fraternità!

 

Leggenda dei tre compagni

FF1398

Tra Perugia e Assisi si erano riaccese le ostilità, durante le quali Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili. Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro Uno dei compagni allora gli disse che era matto a fare l’allegrone in carcere. Francesco ribatté con voce vibrata: “Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”. Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto. Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia.

 

Come sapete lui esercitava il mestiere del padre, ed era dedito ad una vita da spendaccione. Tuttavia era da tutti amato perché sempre gioviale, cordiale, generoso…

In quel tempo c’era la guerra tra Assisi e Perugia e Francesco, da bravo giovane baldanzoso vi partecipa: inizia ad avere un motivo per cui combattere. Non è solo il figlio che deve portare avanti l’azienda del padre, che deve conservare l’immagine della famiglia… ma Francesco sta mettendo le fondamenta della sua storia: che passa dall’iniziare a giocarsi per qualcosa. Allora il carcere non diventa il luogo che ha l’ultima parola sul santo. È piuttosto un luogo di passaggio, uno snodo importante, come un grembo, come la Porziuncola, dove si entra in una maniera e si esce diversamente, vieni rifatto.

Per usare un’immagine, il carcere per Francesco è come un seme che viene piantato a terra, sotto 10 cm di terra, e per venire alla luce ha bisogno di fare certi passaggi, ma quello che viene alla luce non è il seme, è qualcosa di nuovo. Ed i primi passi verso la comprensione della sua identità e missione Francesco li muove nella solitudine. Spesso si ritirava in una grotta, sui monti di Assisi, lasciando fuori l’amico, perché era impaziente di “impadronirsi del tesoro”. Ma nessuno sapeva cosa facesse, tranne Dio solo. Perciò quando usciva dalla grotta, all’amico appariva mutato in un altro uomo (FF 1409).

Ma come sai c’è grande differenza tra solitudine e isolamento. La solitudine fa parte della tua vita, anzi devono esserci degli spazi interiori dove entri solo tu, altrimenti ti ritroverai un cuore piazza dove abitano tutti e non conosci nessuno. Chi si conosce, cioè chi sa stare con sé stesso, saprà anche donarsi all’altro. L’isolamento invece è il tentativo di nascondersi dal mondo e dalle relazioni. L’isolato non incontrerà mai nessuno, non sa innamorarsi, l’isolamento è il contrario della relazione.

Il cammino di questa sera riguarda:

  1. Quale forza dall’alto ci occorre per non perdere noi stessi quando capitano i momenti di carcere, di solitudine? Cioè, nel nostro cammino personale, come possiamo andare oltre il fallimento?
  2. Come ripristinare il gusto della libertà? 3 chiavi.

L’episodio del carcere è da collocare dentro i fallimenti di Francesco. La delusione del fallimento porta sempre con sé la domanda: ma allora ho sbagliato tutto? Era solo un’illusione? Allora come si esce dal fallimento? C’è un episodio del vangelo, quando Gesù al Giordano si fa battezzare mettendosi in fila, in mezzo ai peccatori, in mezzo a chi capiva che da solo non ce la faceva. Cristo non si separa da te e dai tuoi fallimenti, ma si mette in fila. E quando vede questo, i cieli si aprono e il Padre apre bocca: “Questi è il figlio mio l’amato”. L’umanità peccatrice, fallita, delusa è già amata da Dio: Gesù Cristo lo trovi lì in fila, non nella Sky priority. Allora questo può essere un punto nuovo di partenza che libera il cuore dall’ansia di prestazione: ogni cammino non parte da quanto sono bravo per meritare l’amore di Dio, si parte dal dono di Dio per me. Dio mi ama già anche se ho fallito. Francesco ti direbbe: Quanto vale un uomo? Tanto quanto vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Cioè? La vita di Gesù Cristo. Questa è la forza dall’alto che permette di non perdere noi stessi anche quando restiamo imprigionati nei fallimenti: ricordarci che Dio ci ama già!

E poi ci sono tre chiavi che Francesco ci consegna che aprono 3 porte. 3 chiavi che aprono 3 porte: ogni porta è un passaggio per la libertà.

“Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili… Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono. Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto”

 La prima chiave apre la porta che va: Dal combattere gli altri alla cura degli altri:

Da una parte c’è chi decide delle vite degli altri e dall’altra c’è chi decide di curare le vite.

  • Chi combatte gli altri starà sempre nella categoria: giusto. Ed il giusto non può essere un caso sospetto di fallimento, il giusto non finisce in carcere. Il giusto può permettersi di s-cordare il compagno di prigionia perché lui non sbaglia. Se vi ricordate in Lc7, Gesù a casa di Simone il fariseo, il giusto. Ad un certo punto entra una donna, di nota fama in quella città, iniziò a bagnare di lacrime i piedi di Gesù, a baciarli e a cospargerli di profumo. Nella casa troviamo il puro e l’impuro, il giusto che si fa giustizia e la donna che deve essere giustiziata dai giusti. E Gesù a Simone, che osservava tutti i precetti: sai perché gli sono perdonati i peccati? Perché ha molto amato.
  • Francesco in quel carcere comprende che può permettersi di non essere tra i giusti e può continuare ad amare come sapeva fare, “continua ad essere amico” e lo ri-corda, lo porta al cuore… era signorile, gioviale, non cancella la sua storia solo per un fallimento. Francesco perciò ri-corda il compagno di prigionia, cioè lo riporta al cuore.

“Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro”

 Dalla lamentela alla letizia:

  • La lamentela che cos’è? È una brutta bestia ed ha una figlia che si chiama rancore. È la lettura triste della realtà: quando, quello che doveva essere il tuo piedistallo, la possibilità di emergere… diventa la tua condanna. La lamentela incattivisce. Prigioniero-captivus: noi ci incattiviamo quando siamo prigionieri di qualcosa: quando pretendiamo che l’altro debba farci felice, prigionieri di una mentalità vecchia, modi di stare nella vita che non portano frutto…
  • La letizia invece è la forma nuova di gioia: passa dal rifiuto, dal fallimento, al sentirsi amati nonostante tutto. È conosciuto l’episodio della perfetta letizia: quando Francesco stanco, d’inverno, bussa alla porta del convento e i frati cosa gli rispondono? Vattene, noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te. E Francesco: se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questa è la vera letizia. In quella notte, stanco tornando da Perugia, Francesco sperimenta un’altra volta la fatica della fragilità. Quando sei denudato di tutto, anche dei tuoi compagni, del rispetto, sei è costretto ancora a verificare qual è la logica che guida il suo cuore. Allora se la lamentela è imparentata col rancore, la letizia è compagna della gratitudine.

“Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”

Dal già visto alla visione:

  • Quando siamo intasati dalla fretta tutto sembra già visto, lo stesso quando abbiamo l’ansia di prestazioni, di obbiettivi da raggiungere (come i prigionieri di Perugia) … non ci stupiamo più. Perché ci siamo abituati ad essere avari. L’avaro impedisce a Dio di fare cose nuove con la tua vita? Egli non accetta di lasciare qualcosa e resta prigioniero del suo progetto.
  • La visione invece è una domanda: secondo voi che cosa diventerò io nella vita? Francesco si vede già fuori dal carcere. Non sa cosa diventerà ma ha allargato l’orizzonte dal carcere al mondo. Francesco dirà questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore, quando ascolterà il vangelo del mandato degli apostoli: di andare per il mondo a predicare. Francesco quando sente la parola mondo si attiva, esplodono i confini e parte. Francesco colloca già i suoi desideri fuori. L’uomo senza orizzonte si ammala di claustrofobia.

Tre chiavi che usa Francesco per non rimanere prigioniero: la cura del fratello, la letizia e la visione. E nel momento in cui diventiamo liberi da…siamo tenuti a scegliere di…

Francesco, tornato a casa dal carcere parte per Spoleto…si accende il desiderio di diventare cavaliere. Allora c’è un’eredità che il santo ci lascia: l’ultima parola sulla nostra vita non è il carcere, il fallimento, non è la lamentela, che non viviamo per una vita mediocre e pigra, ma per una novità. Francesco, il vangelo non ti invitano a ritirarti in isolamento ma ti sfidano, ti consegnano un orizzonte molto più ampio del tuo.

Don Oscar Romero, vescovo del Salvador, ucciso mentre celebrava l’eucarestia diceva: Cristo è il vero liberatore che non distrugge ma rifà. Come il vasaio che riutilizza la stessa creta, e rifà qualcosa di bello, ma con la stessa.

La forza dall’alto che arriva da Gesù Cristo ci libera dalla prigionia della vita bloccata, piccola, versione Bignami, semplificata, dove l’imperativo è non osare e ci restituisce una vita nuova.

Da cosa ti ha liberato il Signore e continua a liberarti? Quale desiderio ti porta fuori dai confini che rendono “claustrofobico”? Dove puoi trovare la vera gioia, la letizia, quella che permette di ringraziare Dio nonostante tutto?

Atti degli Apostoli (2, 22-24.32.36-38)

222 Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazareth – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, 23 consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. 24 Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. 32 Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. 36 Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”.37 All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. 38 E Pietro disse loro: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo.

 

Misericordia e pace i contenuti della predicazione francescana da 800 anni: dalla Porziuncola esce questo invito…

La percezione di un pericolo incombente e la paura che sottilmente si insinua e agita da sempre il cuore dell’uomo è la paura di morire: ci ritroviamo oggi confrontati all’improvviso con la fragilità e l’impotenza davanti ad un dramma che ognuno è chiamato ad interpretare da ‘protagonista’ per riuscire a cogliere sempre l’appello a vivere ed amare, in ogni circostanza della vita.

Davanti all’evento della morte, solo una prospettiva ci consente di affrontarla: la Pasqua. La fede in una vita che continua oltre la morte è il fondamento della speranza, del coraggio di credere, del perdono…Affrontare la morte, le morti che sperimentiamo ogni giorno con la fede nella Resurrezione! Bisogna annunciarla senza timori, anche se vi sarà, come ad Atene (cfr. Atti 17,4), chi riguardo a questo se ne andrà scuotendo il capo.

«Ascoltate queste parole». Il discorso di Pietro invita alla relazione con Dio; questo è la salvezza dell’uomo! Pietro vuole spiegare questo: il “fatto” fondamentale del cristianesimo è che abbiamo la vita stessa di Dio: lo Spirito Santo.

«Gesù di Nazareth – uomo accreditato da Dio presso di voi». Al centro del discorso di Pietro c’è il Signore, l’uomo Gesù. Cosa ha fatto quest’uomo, nella sua umanità? Dio lo ha accreditato, lo ha reso attendibile, credibile, come voi ben sapete, con «potenze, prodigi e segni».

  1. La potenza della sua parola che ha il potere stesso di Dio di darci un cuore nuovo.
  2. I prodigi servono per scuotere la mente, per farci capire qualcos’altro.
  3. I miracoli, sono segni che sostengono la fede (come la guarigione dei lebbrosi, dei paralitici, dell’uomo dalla mano chiusa, di muti, dei sordi, dei ciechi…), e rimandano all’unico “grande segno” che è “la croce”. Qui Dio rivela il suo potere di amore assoluto: dà la vita per chi lo uccide e libera totalmente l’uomo dalle sue false immagini di Dio. Il miracolo è che Lui porta su di sé tutti i nostri mali. Il miracolo è la croce: l’unica testimonianza che vince la morte è un amore più forte della morte. Gesù non spiega come uscire dalla morte, non dà le soluzioni, viene Lui! Non ti spiega la sofferenza la assume. Dalla croce Gesù dice soltanto: dammi le tue ferite! I tuoi pensieri feriti, i tuoi investimenti falliti/delusi, i tuoi affetti feriti, il tuo cuore indurito, la tua incapacità di camminare, di fare scelte, le tue sofferenze…: le tue morti! Lui continuerà a dare la vita per te, sempre! Amore grande, gratuito, gratis, senza misura. Tu sei figlio amato! Tu vali il sangue di Gesù Cristo! Se l’uomo fa esperienza di una vita per la morte, Gesù è venuto a rivelarci una morte per la vita. Questo amore ti libera e ti rende uomo nuovo!

«Questo Gesù». L’insistenza di Pietro sull’uomo Gesù che così è vissuto, che è finito in croce: è questo Gesù che ci libera, è questo Gesù che Dio risuscitò, non un altro.

«Quel Gesù che voi avete crocifisso». “Voi” siamo noi col nostro peccato.

«Ora Dio lo ha risuscitato». Il ‘mestiere’ di Dio è dare la vita: e siccome dà la vita, allora risuscita il Figlio. Il credente che incontra e accoglie questo amore, vive ormai una vita libera dalla paura della morte.

«E noi tutti ne siamo testimoni». Essere testimoni del Risorto significa vivere da risorti, cioè testimoniare una vita che ha già vinto la morte e «sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli» (1Gv 3, 14). È questa la testimonianza: amare Dio e amare il prossimo veramente, essere passati dalla morte alla vita e vivere da figli di Dio e da fratelli; parlare il linguaggio dell’amore e della comprensione…della “cura”.

«Dunque sappia tutta la casa di Israele». Israele è luce delle genti…tutti devono sapere che «Lui mi ha amato e ha dato sé stesso per me».

«All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore». Chi vede e accoglie questo amore “trafitto”, si sente trafitto: finalmente non ha più un cuore di pietra, ha un cuore nuovo che ha capito l’amore, la gioia, la pace, sa distinguere il bene dal male e saprà passare dal bene al meglio.

«Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». Il discorso da qui ricomincia: qui nascono Pietro e la comunità, come Chiesa che sa testimoniare l’amore di Dio ai fratelli; come ha fatto Gesù con loro, ora loro lo fanno con gli altri.

«Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare». È la risposta di Pietro alla precedente domanda: cambiare modalità, cambiare modello. Immergersi nella vita di Gesù. Immedesimarsi con Lui è possibile perché ci si immedesima sempre con chi ci ama e con chi amiamo. Il battesimo/immersione nella vita di Gesù ci dà la riconciliazione che è il grande desiderio dell’uomo: una vita riconciliata con Dio, sé stessi, gli altri, il creato.

Come vivi la quotidianità? Medita i frutti della vita nuova donata dallo Spirito Santo (Galati 5, 22).

In questi giorni scegli e dona un gesto concreto di carità in famiglia.

 

Fonti Francescane 322 e ss. 585 (Vita prima di Tommaso da Celano)

Ecco dunque quest’uomo vivere nel peccato con passione giovanile! Trascinato dalla sua stessa età, dalle tendenze della gioventù e incapace di controllarsi, poteva soccombere al veleno dell’antico serpente (Cfr Ap 20,2). Ma […] la misericordia divina, all’improvviso richiama la sua coscienza traviata mediante angustia spirituale e infermità corporale, conforme al detto profetico: Assedierò la tua via di spine, la circonderò con un muro (Os.2,6). Colpito da una lunga malattia […] egli cominciò effettivamente a cambiare il suo mondo interiore. […]. Un giorno uscì, ammirando con più attenzione la campagna circostante; ma tutto ciò che è gradevole a vedersi: la bellezza dei campi, l’amenità dei vigneti, non gli dava più alcun diletto. Era attonito di questo repentino mutamento e riteneva stolti tutti quelli che hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta. Da quel giorno cominciò a far nessun conto di sé e a disprezzare ciò che prima aveva ammirato ed amato. Non tuttavia in modo perfetto e reale […]. Abbandonare le consuetudini è infatti molto arduo: una volta impiantatesi nell’animo, non si lasciano sradicare facilmente […]. […] quindi divenne più compassionevole con i bisognosi. Propose anzi di non respingere nessun povero, chiunque fosse e gli chiedesse per amor di Dio. Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amor di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava […].

 

Francesco viveva avvelenato dal peccato (amor proprio…) ma c’è un momento zero in cui le cose cambiano rapidamente: una malattia, “un’angustia spiritual e corporale”, cioè qualcosa che non vuoi. Questo è il lokdown di Francesco, è la sua quarantena, da qui deve passarci. Le cose non cambiano evitando le quarantene, se la eviti aumenta il contagio, occorre attraversarla.

Ti annunciamo questo in Porziuncola perché questo è come un grembo che continuamente fa figli nuovi e ti ricorda la verità fondamentale della tua vita: tu sei amato perché sei figlio. Tu/Francesco sei il paziente zero di Dio: ti sta cercando per consegnarti la cura, vita abbondante. In Francesco parte da quella malattia, per te? La forza di Dio, lo diceva papa Francesco, è volgere al bene ogni cosa. Perciò niente ti chiama a tornare alla normalità, piuttosto ad entrare in una novità: diventa protagonista della tua storia.

Abbandonare le consuetudini infatti è molto arduo”, Francesco lo sa, tanto che sempre ripeterà, lui che era mercante e conosceva il guadagno, ripeterà di vivere “sine proprio”, perchè le consuetudini sono ardue da estirpare. Che significa? Vuol dire che per paura di perdere vita noi ci attacchiamo a tante sicurezze.

Nella quarantena o invecchi dentro, resti paralizzato, attaccato al miraggio della normalità, o diventi creativo, cosa che fa Dio dalla prima pagina della Bibbia, creare cose nuove.“Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Isaia 43, 19)

C’è un ultimo passaggio che compie Francesco. Lui abbandona le consuetudini e “divenne più compassionevole”. Che significa? La compassione: è la fine delle fasi 1,2,3…è l’annullamento del metro di distanza (cf. la motliplicazione dei pani (Mc 6,30-44)…Gesù intercetta, quello che è nascosto oltre il loro volto, intercetta quello che abita il cuore dell’altro). Allora vedi, la novità, inizia quando rischi di comprometterti con la vita dell’altro.

Don Oreste Benzi, un sacerdote bellissimo, diceva questo: “l’altro guarirà non perchè gli hai detto il suo errore, ma perchè mentre parlavi ha sentito il tuo amore e gli è venuta nostalgia anche a lui di amare”. Questo fa Dio con te: ti ama per primo, ti perdona per primo, perchè possa tornare in te la nostalgia di amare. “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2Cor 5,17).

Allora l’angustia spirituale e corporale diventa il tempo per incontrare un Dio che forse non conoscevi. Questo Dio ti interpella, ti propone un vita nuova. Questa vita nuova passa per l’abbandono delle consuetudini e nella compassione per il fratello, la nostalgia di amare.

 

Quali consuetudini posso abbandonare per entrare in una vita nuova? Da quale “normalità” devo staccarmi per non restare bloccato nel ricordo del passato? Individua tre cose per cui dire grazie a Dio nonostante questo tempo di sofferenza: il ringraziamento libera!