Cari amici, pace a voi.

Quest’anno il capodanno è stato decisamente “sui generis”. Tuttavia la parola di Dio non si ferma ed ha fatto grazia anche in questo capodanno.

Ecco il link della catechesi: CATECHESI CAPODANNO 2020/2021

Carissimi amici,

il Signore vi dia pace.

Col desiderio di condividere con voi gli ultimi giorni del 2020 ascoltando insieme una Parola che sa di Vita, abbiamo pensato di organizzare un piccolo corso dal 29 al 31 dicembre, il cui titolo è IL TEMPO E’ COMPIUTO. Il 2020 non è solo l’anno della pandemia, c’è molta più vita che virus!

Il corso sarà on line ed inizierà il 29 dicembre alle ore 21.00.

Il 30 dicembre vivremo un altro momento di ascolto nel pomeriggio e nella sera.

Infine il 31 dicembre sera, concluderemo il corso davanti alla Porziuncola, lodando Dio e ringraziandolo per le grazie che non sono mancate anche quest’anno.

Per partecipare a IL TEMPO E’ COMPIUTO occorre iscriversi chiamando al numero 0758051528

Vi aspettiamo, a presto

I Frati del SOG

Carissimi amici,

il Signore vi dia pace.

Quest’anno come avrete già immaginato, non sarà possibile organizzare la 40° MARCIA FRANCESCANA.

Però desideriamo starvi vicino in quei giorni di grazia in modo semplice, così come la realtà di oggi ci da la possibilità di fare.

Insieme ad altri frati minori di tutta Italia, abbiamo pensato per te 3 appuntamenti da vivere IN DIRETTA STREAMING sui Canali Social FRATI ASSISI.

1 AGOSTO: ore 17.00, Catechesi Penitenziale

2 AGOSTO: ore 20.30, Veglia in Porziuncola

3 AGOSTO: ore 11.30, Celebrazione Eucaristica presieduta da Mons. Rodolfo Cetoloni

 

Atti 2,1-12

Sventura grande nella scrittura non avere profeti, non sapere leggere ciò che accade con il pensiero di Dio. Lo Spirito Santo, ti trova così come sei: stanco, impaurito, cieco, zoppo ma se sei aperto alla Grazia, alla Forza dall’alto, la vita te la restituisce come Lui la sogna, felice, libera, consegnato, nuovo, eterna.  Il corpo del Risorto è grondante di Spirito Santo: per 50 giorni incontra, parla, mangia con i suoi: Gesù è venuto a liberare la nostra libertà e vuole che restiamo liberi. Quando se ne và, non ci lascia orfani, ma figli di Dio, invasi dallo Spirito Santo, riempiti dal vento Santo. Invasione, pienezza che è liberante perché dove c’è lo Spirito, c’è libertà, come dice Paolo. Invasione, pienezza che ci rende dedicati al Vangelo, ai fratelli, al Regno di Dio! È lo Spirito il grande protagonista della storia della salvezza. È lo Spirito che vuole invadere te, riempire la tua storia di figlio amato: allora “lascia che la grazia del tuo battesimo fruttifichi in un cammino di santità, lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine, scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo” (Gaudete et Exultate 15).

Bellissima la domanda finale del brano ascoltato: Cosa significa questo? Che cosa significa tutto questo per noi? Dio vuole stringere una alleanza con te, un patto d’amore e lo fa attraverso lo Spirito Santo: come? Lo Spirito Santo dona doni!

SAPIENZA: “Questo, però, non nel senso che ha una risposta per ogni cosa, che sa tutto, ma nel senso che «sa» di Dio, sa come agisce Dio, conosce quando una cosa è di Dio e quando non è di Dio. Il cuore dell’uomo saggio in questo senso ha il gusto e il sapore di Dio” (Papa Francesco). Che belli i cristiani così! Sapienza non è erudizione ma è il sapere mettere insieme le perlelegandole, per evitare che vadano a perdute. Leggere questo tempo (ma sempre) con la sapienza di Dio e unificare con un filo d’oro le perle che Dio ci ha regalato, imparando da tutto. Il cuore di Maria è un cuore sapiente perché è un laboratorio della fede: mette insieme una ad una le perle, custodendo anche ciò che non comprende ora! Chi ha perso la sapienza? Adamo perché il serpente ha tagliato i fili che tenevano insieme le perle e quindi perdendo l’amicizia con Dio, perde la felicità e diventa saccente à crede di sapere lui ciò che è bene e male. Sapienti sono Pietro e Paolo che si fermano per verificare e pregare dove andare, cosa fare, il senso di un fallimento. INTELLETTO: il dono dell’intelletto permette di “intus legere”, cioè di “leggere dentro”, leggere nelle profondità: questo dono ci fa capire le cose come le capisce Dio. Noi sempre volgiamo capire: capisco, quindi controllo, quindi sto tranquillo! Ma alcune cose non le capiremo mai: Papa Benedetto parlava di intelletto d’amore e la scuola francescana non lasciava mai alla sola ragione umana la comprensione delle verità. Ci vogliono insieme ragione, fede e affetti! Come diceva bene Pascal: “Le cose umane bisogna capirle per amarle: le cose di Dio bisogna amarle per capirle”. Noi conosciamo quello che impariamo ad amare. Pietro e Paolo sono stati formati nelle loro interiorità a conoscere in un altro modo, con la Forza dall’alto: tutti vedevano persecuzione e fine, loro vedevano fecondità, possibilità, occasione. CONSIGLIO: Questo dono dello Spirito Santo aiuta l’arte della decisione. È il dono necessario per saper scegliere: scegliere è preferire e, dunque, saper perdere qualcosa. La vita è gioia di cose che ricevi e di cose che ti prepari a perdere. L’avaro è colui che non vuole perdere nulla, è l’immagine di chi non si decide mai. S. Francesco era povero per lucidità, per esercitare il consiglio, per essere libero e non dover difendere nulla. “Il consiglio è il dono con cui lo Spirito Santo rende capace la nostra coscienza di fare una scelta concreta in comunione con Dio, secondo la logica di Gesù e del suo Vangelo” (Papa Francesco). Chiedi a Dio il dono di un accompagnatore spirituale perché ti aiuti a guarire la memoria, ad allargare lo sguardo, a perdere per trovare e imparare a riconoscere-interpretare-decidere: è un processo per non rimanere in eterno nella rotonda. Le paure del futuro rivelano spesso le ferite del passato. Pietro e Paolo ascoltano la realtà, la valutano a partire dall’esperienza di Gesù e scelgono come far lievitare la Chiesa. Stai attento: oggi tanti che ti dicono la loro opinione, idea…il dono del consiglio per come stare oggi dentro questo tempo per sceglierlo e non subirlo: le cose accadono ma tu puoi scegliere come starci dentro! Che libertà! FORTEZZA: Lo Spirito Santo ti mette dentro la forza per vivere con coraggio e audacia; non trascinandoti. La fortezza è per tirare fuori la tua bellezza. Dio cerca il tuo aspetto più alto, più nobile perché è la tua verità. Come fai a vedere se hai fortezza? Affrontando i problemi: le fatiche ci sono e sono date per crescere, per tirare fuori il meglio di te. Ciò che ti resiste ti è utile, ciò che ti resiste ti struttura! Perché tu viva una vita alta, nobile, bella tu puoi essere riempito di parresia (franchezza, il coraggio, la verità con carità!). Lo Spirito Santo è il nostro allenatore. Ti chiede di fare fatica, ti incita al sacrificio ma per una gran bella vittoria! Giovanna d’Arco: Bisogna dare battaglia perché Dio doni vittoria!       Serve la fortezza per portare ardore e fuoco dove c’è grigiore. Chi ha la parresia non segue solo la pista ma la inventa, accoglie la sfida della la porta stretta. La debolezza di Pietro e Paolo vissuta per Cristo, con Cristo e in Cristo è diventata passione missionaria: perché “Tutto posso in Colui che mi dà la forza!” (Fil 4,13). SCIENZA: questo dono ci apre alla contemplazione del creato, della casa comune, allo sguardo di Dio che vede in tutto bellezza. “Il dono della scienza ci pone in profonda sintonia con il Creatore e ci fa partecipare alla limpidezza del suo sguardo e del suo giudizio” (Papa Francesco). Vedere nella bellezza del creato le tracce del Bellissimo. C’è un fine grandioso e nobile nelle cose: l’uomo immagine di Dio à riuscire a vedere in te, nell’altro, nella creazione il piano segreto di Dio, il suo sogno: la fraternità universale. Il mondo creato nato dalla creatività di Dio. Nella Laudato si’ Papa Francesco 5 anni fa richiamava tutti a una conversione ecologica che non è solo essere green ma è un metodo per abitare la realtà; è ciò che ci ha poi detto il 27 marzo 2020 in Piazza San Pietro, sotto la pioggia in quella serata unica: “In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Non ci salviamo da soli! È lo sguardo di Pietro e Paolo sulle persone malate, ferite, tribolate dalla vita: dare loro quello che hai; dare con qualità! PIETA’: è il dono che suscita un affetto filiale con il Signore, un’amicizia intima. È una tenerezza che provi per Dio, un senso di dolcezza e di gioia nel pensare a Gesù, il sentirti onorato di essere Suo figlio. Porta ad avere il senso della figliolanza. “Si tratta di una relazione vissuta col cuore: è la nostra amicizia con Dio, donataci da Gesù, un’amicizia che cambia la nostra vita e ci riempie di entusiasmo, di gioia. Per questo, il dono della pietà suscita in noi innanzitutto la gratitudine e la lode” (Papa Francesco). Ma se siamo figli, siamo fratelli tra noi. Pietro e Paolo non possono più pensarsi senza le comunità dei fratelli e sono molte le lacrime versate mentre seminano la Parola, ma più grande è la gioia nel raccogliere i covoni! Il card. Comastri racconta di aver chiesto a Madre Teresa: “Perchè i suoi occhi sorridono tanto?”. La risposta fu semplice: “Perché le mie mani hanno asciugato molte lacrime!”. Vuoi avere un cuore di carne, vuoi avere la pietas? Sporcati le mani con le lacrime, le sofferenze e i sorrisi dei poveri. E fallo presto prima che la durezza del cuore ti prenda tutto. Alda Merini scrisse: “Chi regala le ore agli altri vive in eterno”. Perché: Tutto ciò che è fatto nell’amore, non muore mai! TIMOR DI DIO: non è la paura di Dio ma l’abbandono alla bontà del Padre che ci vuole tanto bene. È il dono dello Spirito che ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore e che il nostro bene sta nell’abbandonarci con umiltà, con rispetto e fiducia nelle sue mani. L’abbandono è la fine di tutte le paure mi dice sempre il mio padre spirituale! Commossi e conquistati dal suo amore Pietro e Paolo, sono figli della Luce pasquale, splendono e fanno splendere la luce della fede, la gioia del Vangelo. È irresistibile la forza dell’amore e ti porterà dove tu non andresti mai: ma l’amore di Dio fa fare follie oltre il proprio interesse! Avrete forza dall’altro e mi sarete testimoni fino ai confini della terra. In Gaudete et Exultate, c’è un passaggio che ti consegniamo: Più vivi, più umani. G.E. 32. Non avere paura della santità. Non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario, perché arriverai ad essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere….33. Ogni cristiano, nella misura in cui si santifica, diventa più fecondo per il mondo. 34. Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy, nella vita «non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi».

Domanda. Al termine di questo percorso Forza dall’alto, riconosci e interpreta cosa questo tempo di pandemia ha evidenziato come potenzialità e limite in te. Covid 19, come un evidenziatore, può farti un servizio per diventare più adulto nella umanità e nella fede. Alla luce di questo discernimento personale, decidi con il tuo accompagnatore, cosa lasciare e cosa coltivare per entrare nella tua vocazione e missione.

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Siamo nel 1224. Sul monte della Verna Francesco aveva ricevuto nella carne le stimmate che lo rendevano del tutto somigliante a Cristo crocifisso. Spossato dai digiuni e dalle malattie, cieco e quasi agonizzante, Francesco soffriva in tutto il corpo e forse ancor più nell’anima. I valori evangelici che aveva cercato di vivere, venivano contestati a volte perfino tra i suoi frati. Nella vita di Francesco, scende la sera.

Tornando dalla Verna, Francesco si fermò nel monastero di San Damiano. Le sofferenze non davano tregua a Francesco. Una notte, riflettendo alle tante tribolazioni che aveva, Francesco disse in cuor suo: “Signore, vieni in soccorso alle mie infermità, affinché io sia capace sopportarle con pazienza!”» (F.F. 1614). E nel corso di tanta agonia «subito gli fu detto in spirito: “Fratello, dimmi: se uno, in compenso delle tue malattie e sofferenze, ti donasse un grande prezioso tesoro, come se tutta la terra fosse oro puro e tutte le pietre fossero pietre preziose e l’acqua fosse tutta balsamo: non considereresti tu tutte queste tribolazioni come un niente, come cose materiali, terra, pietre e acqua, a paragone del grande e prezioso tesoro che ti verrebbe dato? Non ne saresti molto felice?”. Rispose Francesco: “Signore, questo sarebbe un tesoro veramente grande e inestimabile, prezioso e amabile e desiderabile”. E gli disse: “Allora, fratello, rallegrati e giubila pienamente nelle tue infermità e tribolazioni; d’ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già nel mio Regno”» (F.F. 802). Una gioia soprannaturale invade in un istante l’anima di Francesco: la gioia della certezza del regno […]» (F.F. 90). La mattina seguente, Francesco chiamò i compagni e, non stando più in sé dalla gioia, si mise a cantare loro il Cantico delle Creature che aveva appena composto.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria
e l’honore et onne benedizione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
e nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato si’, mi’ Signore,
cum tutte le Tue creature,
spezialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno
et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante
cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore,
per sora Luna e le stelle:
in celu l’ai formate
clarite e preziose e belle.

Laudato si’, mi’ Signore,
per frate Vento
e per aere e nubilo
e sereno e onne tempo,
per lo quale a le Tue creature
dai sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore,
per sor’Acqua,
la quale è multo utile et humile
e preziosa e casta.

Laudato si’, mi’ Signore,
per frate Focu,
per lo quale ennallumini la notte:
et ello è bello e iocundo
e robustoso e forte.

Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta e governa,
e produce diversi frutti con coloriti fiori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore,
per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
e sostengo infirmitate e tribulazione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengraziate
e serviateli cum grande humilitate.

Grazie a questo guardare negli occhi ogni cosa e ogni persona, nel 1224 comincia con il Cantico delle creature la nostra letteratura: comincia bene-dicendo, all’opposto del nostro spesso quotidiano dire-male di cose e persone, o male-dirle di continuo. Dal Cantico impariamo che chi loda non odia, chi stima ama. Il Cantico delle creature è il recupero in profondità di quello che le cose sono: segni che manifestano Dio: nasce da una contemplazione del cuore. Francesco canta la creazione sentendola con gli occhi interiori, gli occhi dello Spirito. La creazione più che vivere fuori, vive dentro di lui…che bellezza! Il Cantico di Frate Sole celebra una riconciliazione totale dell’uomo con il mondo, con sé stesso e con Dio. E il segreto di tale riconciliazione è una fraterna comunione con le cose più umili, quelle alle quali siamo legati in maniera vitale e che “vivono a portata di mano e di sguardo”: l’acqua, il fuoco, l’aria, la luce… Francesco entra nella fraternità delle creature. Diventa egli stesso “uomo di sole, d’acqua…”

Proviamo a mettere in relazione i doni dello Spirito Santo e questo divenire di Francesco un tutt’uno col creato, in una comprensione unificante del reale.

Sapienza. È la grazia di poter vedere ogni cosa con gli occhi di Dio. Vedere il mondo, vedere le situazioni, le congiunture, i problemi, tutto, con gli occhi di Dio. Francesco è tutto proteso verso l’Altissimo, unificato in una sola direzione (quante volte noi ci disperdiamo). Quello diventa il suo punto di vista!
Intelletto. È la capacità di scrutare le profondità del pensiero di Dio e del suo disegno di salvezza. Dono strettamente connesso alla fede. Francesco discende nel grembo di Madre Terra che custodisce il segreto della sua fecondità. Come il seme, Francesco marcisce, sa aspettare, si lascia curare…per diventare frutto per gli altri.
Consiglio. Attraverso il dono del consiglio, è Dio stesso, con il suo Spirito, a illuminare il nostro cuore e rende capace la nostra coscienza di fare una scelta concreta in comunione con Dio Francesco è il sole: la sua anima è il punto di irradiazione della luce divina che lo abita. Francesco è il vento: la sua vita è una danza tra il cielo e la terra. È aperto all’imprevedibilità della vita e ai suoi continui mutamenti…
Fortezza. Il dono che libera il cuore dal torpore, dalle incertezze, dagli impedimenti e da tutti i timori che possono frenarlo. Francesco è il fuoco: si accende di passione e zelo per tutto ciò che vive, una passione che scalda e illumina.
Scienza. Fa cogliere, attraverso il creato, la grandezza e l’amore di Dio e la sua relazione profonda, traboccante, con ogni creatura. Francesco è l’acqua: il suo cuore è una sorgente traboccante di quell’amore prezioso e casto che accoglie dall’Alto, trasformandolo in un corso d’acqua capace di irrigare il mondo…
Pietà. È il nostro legame profondo con Dio, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati. Rende capaci di gioire con chi è nella gioia, di piangere con chi piange… Francesco è la luna: accetta le fasi di decrescenza e di buio. Francesco sa rallegrarsi con semplicità nel contemplare la luce riflessa nel volto delle altre creature e ne accetta con umiltà la mediazione. Francesco è perdono: attraverso il mistero della croce, vede in ogni prova, sofferenza e lacerazione, la possibilità di protendere le braccia al di là delle ferite, per ristabilire la comunione e offrire la rigenerazione.
Timore di Dio. Fa prendere coscienza che la nostra vera forza sta unicamente nel seguire il Signore Gesù e nel lasciare che il Padre possa riversare su di noi la sua bontà e la sua misericordia: siamo figli infinitamente amati. Francesco nella morte è come il sole al tramonto: si abbandona nell’attesa serena del nuovo giorno che non muore: il giorno senza fine, la vita eterna!

 L’essere umano che rinasce dallo Spirito, dalla “forza dall’alto”:

1.Sa fraternizzare con tutte le creature con tutta la sua umanità. Ha cura e responsabilità verso la natura (cf. papa Francesco, Laudato si). È sensibile alla bellezza e libero da atteggiamenti di consumo, dominio, sfruttamento.

2.Sa lodare e ringraziare e si apre al perdono e alla pace. Scomparsi ogni disprezzo e ogni aggressività e perfino il turbamento, non si turba né si irrita per nulla, neppure per l’errore altrui. Anche in mezzo alle tensioni egli custodisce la pace. È qualcosa che non si ottiene a comando non basta deciderlo con la volontà: sgorga dal profondo: dalla relazione intima con Dio.

3.È guarito dalla cecità. La testimonianza cristiana ha più che mai oggi bisogno di “un’ecologia dello sguardo” per rileggere la realtà come luogo della solidarietà di Dio col mondo, col creato.

 

A laude di Cristo e del poverello di Assisi!

Perchè c’è qualcosa che resta nonostante tutto.
C’è qualcosa di nuovo, profumato di risurrezione, che è immune ai virus.

Si può ancora dire
grazie
Si può ancora vivere di
grazia
E tutto questo è
gratis

Atti 18, 1-11

Paolo viene dal fallimento di Atene: il fallimento ci fa accorgere che la realtà non corrisponde alle nostre idee ma è necessario per imparare il principio di realtà. Il tempo di crisi mondiale che viviamo va ascoltato e interpretato: peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi o in letture superficiali. “Ci voleva un male comune per dirci cosa è il dimenticato e deriso bene comune” (L. Bruni).

Paolo a Corinto: è una città popolosa, ricca di commerci, multietnica, diversa da Atene; sembrerebbe poco disponibile, scarsa predisposizione a ricevere l’annuncio del Vangelo, tanti culti religioso che sembrano togliere la ricerca della verità. Eppure qui Paolo con la forza dall’alto, mette in piedi una delle comunità cristiane più numerose! I nostri piani-progetti pastorali: lo Spirito Santo è oltre!

Questa sera vediamo il Vangelo nel vissuto quotidiano attraverso 3 parole: lavoro, casa, famiglia. Paolo riprende il contatto con la realtà, dopo il fallimento di Atene, attraverso il suo lavoro. Fabbricare tende. Paolo non perde tempo a fare analisi per capire dove ha sbagliato, che serve ma non è il punto di arrivo, ma attraverso il lavoro cerca di sanare la ferita che si è creata tra: come sarebbero dovute andare le cose e come sono andate veramente! Più stai sulle immagini di vita perfetta che la tua testa produce, più ti allontani dalla vita vera: ma la realtà è l’unico posto dove puoi essere felice.

Paolo per sanare questa ferita lavora. Affronta una fatica: serve a Paolo per aderire alla realtà. Se ti capita di fallire, la tentazione sarà ritirarsi nei perché; invece obbedisci alla realtà, fai quello che sei chiamato a fare, lo studio, il lavoro, il servizio ai poveri: questo non solo ti riconnette alla realtà ma ti da la fibra e la connessione ultra veloce. Chiedi al tuo parroco di sporcarti le mani. Attento a non essere pieno di propositi e vuoto di scelte!

Paolo va a casa di tizio Giusto, cioè entra in relazione con lui. Quello che ha fatto Gesù con Zaccheo, con me e con te: che bello il nostro Dio, sempre fedele all’Incarnazione! Andare dietro a Cristo è tornare a casa, sempre: la Pentecoste, è aria di casa perché ti porta a casa, nella relazione con il Padre e comprendi ogni lingua del fratello.

Gesù dice a Paolo “continua a parlare, non tacere”. Non più a spiegare o convincere ma parlare; la cosa più importante è la narrazione. In questi mesi ti sarai accorto che dopo il quarto Tg la narrazione di numeri, curve di contagi e percentuali con i quali ti veniva raccontata la pandemia non ti bastava? Allora magari un bel libro, una canzone, una poesia, una pagina del Vangelo è riuscita ad arrivare lì a colmare quel vuoto. Abbiamo bisogno di una narrazione diversa. Nelle dittature c’è la narrazione unica. La vita a senso unico, con una sola spiegazione è l’inganno più grande nel quale puoi cadere. La Parola di Dio è pericolosa, per questo in tante parti del mondo i cristiani vengono uccisi, perché dà un’altra lettura, alta e profonda, delle cose, come Gesù fa con i discepoli di Emmaus. C’è la prosa e la poesia: servono entrambe! Accanto a Paolo, a Corinto, è insieme a una famiglia: Aquila e Priscilla. Una coppia che da colleghi di lavoro di Paolo, diventano amici, fratelli e poi collaboratori del Vangelo. Per contagio di bellezza, si evangelizza; essere sale, luce, lievito, profumo a partire dalla tua famiglia. Bastano gesti semplici ma non scontati o dovuti: quelli che stupiscono, quelli che dicono cura e attenzione. Che bella questa Chiesa che è sempre più comunione di stati di vita, di carismi, di espressioni che insieme collaborano per portare la Gioia del Vangelo!

Tre immagini per essere testimone della Forza dall’alto nel tuo quotidiano!

1.Soldato: “ho combattuto la buona battaglia, ho mantenuto la fede”; la descrizione del soldato in Ef 6,10-20. Paolo sa di essere dentro una lotta tra il vecchio e il nuovo e sceglie di lottare, di combattere per la fede, unica ricchezza.

2.Atleta: Paolo corre. “dimentico del passato, proteso verso il futuro, corro…”; Paolo descrive il cristiano come uno sportivo che partecipa alla gara, riceve la corona, il premio che non si corrompe. Ma la vittoria non è per merito ma per Grazia!

3.Contadino. Il cristiano come Paolo, mette il seme della Parola ovunque, in ogni situazione per non cadere nel peccato di omissione, non averci provato. “Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà” (2Cor 9,6-7).

Corinto: una missione impossibile secondo la logica umana. Ma non c’è nulla di impossibile per Dio! Nessuno, dico niente e nessuno può impedire all’amore di Dio di trasformare l’impossibile per gli uomini, possibile per Dio. Ascoltiamo cosa scriverà anni dopo Paolo alla comunità di Corinto: “Fratelli, considerate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio” (1Cor 1,26-29).

Sai perché Dio ti sceglie? Perché ti chiede di essere, soldato, atleta e contadino. Perché il Suo Cuore, il Cuore di Dio ha a Cuore il popolo numeroso di questo mondo disperso nei pensieri del proprio piccolo cuore indurito e fragile: ho un popolo numeroso su questa terra! Ascolta il Suo Cuore, poi il tuo! Il Suo Cuore batte per ogni fratello e sorella che abita sulla faccia della terra. La salvezza dell’uomo, di ogni uomo: questo sta a Cuore a Dio! Fai silenzio e ascolta.

SI CERCA PER LA CHIESA UN UOMO

Don Primo Mazzolari

“Si cerca per la Chiesa un uomo capace di rinascere nello Spirito ogni giorno. Si cerca per la Chiesa un uomo, senza paura del domani, senza paura dell’oggi, senza complessi del passato. Si cerca per la Chiesa un uomo che non abbia paura di cambiare, che non cambi per cambiare, che non parli per parlare. Si cerca per la Chiesa un uomo capace di vivere insieme agli altri, di lavorare insieme, di piangere insieme, di ridere insieme, di amare insieme, di sognare insieme. Si cerca per la Chiesa un uomo capace di perdere senza sentirsi distrutto, di mettere in dubbio senza perdere la fede, di portare la pace dove c’è inquietudine, e inquietudine dove c’è pace. Si cerca per la Chiesa un uomo che sappia usare le mani per benedire e indicare la strada da seguire. Si cerca per la Chiesa un uomo senza molti mezzi, ma con molto da fare, un uomo che nelle crisi non cerchi altro lavoro ma come meglio lavorare. Si cerca per la Chiesa un uomo che trovi la sua libertà nel vivere e nel servire e non nel fare quello che vuole. Si cerca per la Chiesa un uomo che abbia nostalgia di Dio, che abbia nostalgia della Chiesa, abbia nostalgia della gente, nostalgia della povertà di Gesù, nostalgia dell’obbedienza di Gesù. Si cerca per la Chiesa un uomo che non confonda la preghiera con le parole dette d’abitudini, la spiritualità col sentimentalismo, la chiamata con l’interesse, il servizio con la sistemazione. Si cerca per la Chiesa un uomo capace di morire per lei ma ancora più capace di vivere per la Chiesa, un uomo capace di diventare ministro di Cristo, profeta di Dio, un uomo che parli con la sua vita”.

Domanda.

Dio con pazienza ti cerca e ti dona la Chiesa per formarti come cristiano: cosa significa ad oggi per te essere soldato, atleta e contadino?

Dalle Fonti Francescane

Francesco ricordò che il Signore aveva detto di andare per il mondo a due a due, per predicare la buona Novella. Così Bernardo e Pietro andarono in Toscana; Francesco ed Egidio vennero nelle Marche. Ad Assisi da pochi anni il Console Tancredi aveva fatto scrivere su Porta dell’Archetto: QUESTA E’ LA PORTA PER LA QUALE SI VA NELLE MARCHE…Intanto crescevano, nei piccolini di Cristo, le virtù e i meriti, diffondendo tutt’intorno il profumo della loro buona fama. Perciò molti accorrevano dalle varie parti del mondo, nel desiderio di vedere di persona il padre santo. Fra gli altri, un estroso compositore di canzoni secolaresche, che era stato incoronato poeta dall’imperatore e da allora veniva chiamato RE DEI VERSI si propose di recarsi dall’uomo di Dio, così noto per il suo disprezzo degli onori mondani. Lo trovò nel castello di San Severino, mentre predicava in un monastero; e allora la mano di Dio venne su di lui (Ez 1,3) mostrandogli in visione quel medesimo Francesco, che stava predicando sulla croce di Cristo, segnato da due spade splendentissime, disposte in forma di croce: una delle spade si estendeva dalla testa ai piedi e una da una mano all’altra, attraverso il petto. Egli non conosceva di faccia il servo di Cristo, ma lo riconobbe immediatamente, quando gli fu indicato da un così grande prodigio. Stupefatto per quella visione, si propose subito di intraprendere una vita migliore e, infine, convertito dalla forza delle sue parole e come trafitto dalla spada dello spirito che usciva dalla sua bocca, si unì al beato padre mediante la professione, rinunciando totalmente agli onori vani del mondo. Il Santo, vedendo che si era perfettamente convertito dall’inquietudine del mondo alla pace di Cristo, lo chiamò frate Pacifico.

Sta crescendo in maniere sempre più evidente il desiderio di stare tra la gente ed annunciare la notizia bella del Vangelo. L’abbiamo ascoltato anche lo scorso martedì con le prime esperienze di missione, ed ora lo vediamo anche in un squarcio di quotidianità, il desiderio dei frati di essere LIEVITO.

Perciò quello che accade a Pacifico è qualcosa di molto ordinario: Francesco era andato a predicare in un paese delle Marche, San Severino, si era sparsa la voce che lui era lì, così accorrono dai paesi vicini per ascoltarlo. Se noi incontrassimo oggi frate Pacifico e gli chiedessimo, ma cosa ti ha portato a lasciare tutto e andare dietro un poveraccio?

Se avete letto bene, lui Pacifico, non ha nome, era per tutti il re dei versi, cioè quello che sapeva fare. Finisce il brano con il re dei versi che prende il nome di Pacifico, quello che lui era, la versione 2.0. Come sarebbe liberante essere cercati non per quello che sappiamo fare ma per quello che siamo: problematici, complicati, ansiosi…come ti pare, ma forse va bene anche se siamo così.

Perciò se Pacifico dovesse risponderti alla domanda di prima, cosa hai trovato di speciale in Francesco, ti direbbe che ha scoperto di avere un nome. E come l’ha scoperto? Cosa ha usato Francesco? La parola di Dio. La stessa che usava Paolo. Perché semplicemente dice la verità.

Francesco predica virtù e vizi. Le virtù ti ricordano che c’è del bello per cui spendersi. Il vizio ti ricorda che c’è del marcio, che ti fa brutto, e per questo puoi diventare bello. Virtù e vizi ti spiegano che ci sono due poli che magnetizzano il cristiano? Misericordia e Bellezza.

1.La misericordia da chiedere sui propri vizi, i propri ritardi nell’amare…

2.La bellezza, per intrattenersi con i regali di Dio

Questa è la nuova cosmesi che usa Francesco per rimettere in ordine le persone. Qualcuno lo seguiva, altri restavano lì e fondavano nuovi conventi, nuovi poli attrattivi, cosmetici. E lì dove arrivava questo annuncio, fatto di gesti piccoli ma che ricordavano l’essenziale, nasceva qualcosa di nuovo.

E che potenza doveva avere la parola annunciata? Bhè Pacifico te lo dice bene, è come una spada. Nella lettera agli Ebrei al capitolo 12, è scritto che la Parola è come una spada a doppio taglio “Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.

 Allora quando incontri una parola che dice la verità, che ti ricorda la misericordia di Dio, che ti intrattiene con la bellezza ti ricordi che sei fatto per il meglio. Don Oreste nella sua semplicità diceva: Gesù Cristo non è venuto a portare una devozione ma una rivoluzione. Ed è così. Quando le persone incontravano Francesco, al vederlo e all’ascoltarlo venivano rivoluzionate. Ed ancora, queste spade avevano la forma della croce. Dio ti tratta da persona seria e ti racconta la verità, non propone vite scontate, con i saldi a metà prezzo. Non dice che toglierà il pianto, l’angoscia, l’oppressione, ma ti promette che non finisce lì la tua storia perché c’è una vita beata preparata. La vita migliore, che sceglie Pacifico, non passa per maggior agio, per un compromesso, per convenienza, ma per un di più. Ti accorgi che sei nel meglio, quando trovi il di più anche dentro il di meno.

C’è un ultimo passaggio che compie Pacifico, si converte dall’inquietudine del mondo alla pace di Cristo. Possiamo dirla in questa maniera: il mondo ti lascia l’amaro, Cristo di lascia la dolcezza.

Il mondo con la sua scenografia, ti dice che se non possiedi, se non sai fare qualcosa…se non sei il re dei versi, non sei adatto. Francesco, dice ai suoi frati “nulla di voi trattenete per voi”…provaci, c’è una dolcezza dietro.

Il mondo ti dice che devi essere adeguato. Francesco ti dice che “l’uomo vale tanto quanto vale davanti a Dio”… prova a crederci, scopri che dolcezza.

Il mondo ti dice che la libertà passa anche nel mettere da parte la fede, Dio etc..Francesco, che mi sembra un tipino abbastanza libero, diceva “Mio Dio, mio tutto”.

Qui dalla Porziuncola parte un’epoca nuova, una rivoluzione, perché un giovane ha dato spazio a Dio. È iniziato tutto da un ragazzo che si è fidato di Dio. La Porziuncola partorisce vangelo. Perdono, pace, bellezza da portare ovunque. Il filo rosso della storia di Dio passa tra gli uomini, per questo nessuno cammina da solo, per questo Francesco pensa la fraternità…Perciò come ricorda papa Francesco, “Voglia il cielo che tu possa riconoscere qual è la parola che Dio desidera dire al mondo con la tua vita”.

Domanda

Quale Vangelo, notizia bella, nuova, viva, vuoi portare al mondo con la tua vita?

Cari giovani,

il Signore vi dia pace!

Ci è stato chiesto di condividere con voi quanto lo Spirito Santo ha suggerito e operato in questo tempo di pandemia da un luogo di particolare grazia, l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, dove, insieme ad altri tre confratelli, svolgiamo il servizio di cappellani.

E mi piace poterlo fare nel giorno in cui la Chiesa ricorda il centenario della nascita di San Giovanni Paolo II, uomo e santo con una predilezione speciale per i giovani. Predilezione che ha usato a me personalmente diventando strumento puntuale della rivelazione di Dio Padre nella mia vita di giovane in ricerca della felicità: “Cari giovani, è Gesù Cristo che cercate quando sognate la felicità!” (GMG Roma 2000).

“Responsabilità, solidarietà, sacrificio” sono stati i moniti giunti da ogni dove ad ogni singola persona in questo tempo di pandemia, ma a noi popolo e ministri di Dio anche “creatività pastorale” come suggeriva Papa Francesco!

Sono sicuro che ciascuno di noi ci abbia quantomeno provato, ognuno a modo suo nelle singole realtà che ci identificano: famiglie, parrocchie, movimenti, conventi…e di questo rendo grazie a Dio Padre insieme con voi per il dono della Perseveranza e della Fortezza!

“Ho scritto a voi, giovani,

perché siete forti

e la parola di Dio rimane in voi

e avete vinto il Maligno.” (1Gv 2, 14b)

Sono state settimane concitate qui in ospedale, specie agli  inizi, dove Perugia era l’unico ospedale covid in Umbria, arrivando ad avere un centinaio di persone positive ricoverate.

Lo smarrimento e l’apprensione sui volti del personale sanitario, sempre accompagnato da una tenace disponibilità al servizio; lo stravolgimento della organizzazione interna dell’ospedale nei reparti e nella assegnazione del personale, il non sapere “con cosa avevamo a che fare”; mascherine, camici di protezione, guanti, visiere, il non potersi avvicinare, toccare… solo la possibilità di intravedere gli occhi della persona che hai di fronte…

Già, lo sguardo…questo ha attirato la mia attenzione. Occhi profondi e attenti, occhi stanchi e impauriti, occhi che chiedono e gridano aiuto, vicinanza, preghiera, presenza, occhi che versano lacrime, occhi che sorridono e sperano!

Giorno dopo giorno la sensazione che in quegli sguardi ci si sostenesse a vicenda, consapevoli di avere un bisogno “naturalmente umano e divino” di non sentirsi soli, di restare in relazione, anche solo attraverso uno sguardo…compassionevole, amicale, solidale, profondamente umano e divino! Spesso nei Vangeli si sottolinea come lo sguardo di Gesù si posa su chi incontra o, viceversa, lo sguardo di uomini e donne che anelano scorgere, vedere Gesù di Nazareth, Gesù vero Uomo e vero Dio, per questo così attraente, che attrae a sé… “il cristianesimo funziona per attrazione” (Benedetto XVI).

Ho chiesto allo Spirito di donarmi “occhi nuovi”, di purificarli, a costo di molte lacrime versate, di poter essere io, umile e inutile servo Suo, il Suo sguardo che si posa su quanti incontro nei corridoi, nei reparti e nei letti dell’Ospedale…

Forse mai come in questo tempo lo Spirito ha suggerito di comunicare, di entrare in relazione, in comunione attraverso gli sguardi…anche per questo noi cappellani abbiamo deciso di intensificare lo sguardo contemplativo nella cappella dell’Ospedale: due ore di adorazione eucaristica quotidiana che diventano quattro il martedì e il giovedì con la possibilità anche di accostarsi al sacramento della Riconciliazione…

Spesso sono state ore di silenzio e solitudine, condizioni necessarie per deporre “sotto lo sguardo” di Gesù Cristo quanti incontriamo personalmente e quanti ci chiedono di presentarli e ri-cordarli, portarli al cuore Suo…

Solo così “andrà tutto bene”, solo così la Vita continua, con la “V maiuscola” che dice non solo la vita biologica ma La Vita nello Spirito, e continua anche, anzi soprattutto, al tempo della pandemia…e noi cappellani abbiamo il privilegio di sperimentarlo in uno dei luoghi di maggior grazia, dove la vita e la morte “ogni giorno gridano tra i vagiti e gli spasimi”, per dirci la gravità e il mistero della nostra esistenza… pro-vocandoci a riconoscere che il tempo presente è dono e occasione per scorgere i segni della Passione – Morte – Risurrezione di Gesù Cristo, Pasqua definitiva alla quale ciascuno è chiamato per entrare nella Vita che non ha fine e godere pienamente l’incontro, occhi negli occhi, col Padre e il Figlio e lo Spirito Santo! Amen!

Vi abbraccio e benedico di cuore, affinché il Signore volga su di voi il Suo sguardo,

fra Gianpaolo.

In questo quinto incontro di Forza dall’Alto, incontriamo Paolo ad Atene, intento ad annunciare la bella notizia. A quel tempo ad Atene si trovavano persone provenienti da tutto il bacino del mediterraneo per studiare: un luogo significativo dal punto di vista culturale e religioso. Infatti nella città non mancavano statue, templi, altari, riti…e Paolo, dicono gli Atti, che “…fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli”.

Leggiamo il discorso che Paolo fa ad Atene, precisamente all’areopago.

Lettura At 17, 22-34

Se avete ascoltato bene, il discorso di Paolo davanti agli ateniesi non ha tanto successo. Però, cogliamo subito la prima cosa importante: Gesù Cristo ha una parola da dire anche ad Atene. Perché? Te lo dice papa Francesco nell’Evangelii Gaugium: “se abbiamo incontrato Gesù Cristo non possiamo più rimanere tranquilli dentro le nostre chiese…perché la vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio”.

Perciò Paolo arriva all’areopago di Atene in questo stato e cosa vede? Uomini religiosi. Chi sono questi uomini? Sono tutti quelli che pensano di dover fare qualcosa per meritarsi l’amore di Dio. E nella Bibbia quando non ci si rivolge al vero Dio, ci si affida a qualche idolo. Cioè qualcosa a cui chiedi vita, ma non te la dà, anzi te la chiede lui. Allora il centro sta proprio lì: a chi stiamo chiedendo vita? A Dio o degli idoli?

Per questo Paolo deve piantare dei segnali stradali, grandi, luminosi, per riportare in carreggiata questa città, ma non annunciando una religione, bensì una fede, che non è uno sforzo, ma è accogliere un amore che viene per primo anche quando non lo meritiamo.

Primo segnale stradale: “Dio…Non abita nei templi costruiti da mani d’uomo”

Che significa? Vuol dire che finalmente Dio è stato liberato e può tornare per le strade. Ha finito la quarantena: può mettersi alla ricerca dell’uomo. Gesù Cristo ha preso cittadinanza tra i malati, tra i poveri, nelle case, in strada…per dirti che non c’è più nessun posto dove lui non può abitare, non c’è più niente di profano.

Secondo segnale stradale: “Dio…dalle mani dell’uomo non si lascia servire”

Lo schiavo si compra ed ha una mentalità chiara: sopravvivo se faccio il mio dovere. Cristo vorrebbe farti scoprire semplicemente che tu sei figlio: che puoi pensare da figlio, volere da figlio, respirare da figlio… San Paolo dirà in Galati: Tu non sei più schiavo ma figlio. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio, il quale grida “Abbà Padre”. C’è una prospettiva da aggiornare: far morire lo schiavo che sopravvive obbedendo e liberare il figlio che chiama Dio Padre.

Terzo segnale stradale: “Non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento, alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano”

Nel libro dell’Esodo gli israeliti avevano già provato a farsi un bel vitello d’oro fuso da onorare come Dio… Quando i posti vengono confusi, la creatura fa il suo creatore, ognuno inizia a costruirsi il proprio Dio, sé stesso, il denaro, un progetto… Dio non ci lascia una statua da lucidare, Dio ci lascia il corpo di Gesù, l’Eucarestia.

Infine Paolo spiega dove portano i segnali, qual è la direzione. Lo dice in due frasi bellissime:

“…è Lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa”

Cosa demolisce un tempio, cosa distrugge la logica della schiavitù, cosa banalizza l’oro: incontrare un Dio che dà la vita per te. Il tempio è demolito quando scopri che “dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”; sei riscattato dalla logica della schiavitù quando ti viene detto che tu sei prezioso, che per te Dio darebbe l’Egitto; l’oro perde valore quando ti accorgi finalmente che Dio non si compra ma si accoglie.

Paolo continua: “…in Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”.

Bellissimo. Paolo qui ti dice una cosa molto seria: che Dio non solo è vicino, che noi non solo possiamo incontrarlo, ma ci siamo dentro. Da quando Gesù ci ha donato il suo Spirito, la vita cristiana è questione di restare dentro di Lui.  “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4). Ma quando Paolo sta arrivando al nucleo dell’annuncio cristiano, alla verità più profonda, che Gesù Cristo è risorto…resta solo. Perché la fede /annuncio include anche il fallimento. Restare fedeli alla propria vocazione e missione a volte ti lascia solo, ti fa morire, a volte sei anche deriso, preso in giro…ma ti accorgi che più Lo doni più sei vivo. Allora Perché farlo? Perché annunciare Gesù Cristo? Perché tu hai incontrato uno che ha dato la vita per te e questa cosa la devi raccontare e quando non puoi raccontarla si deve vedere. Lo fai perché ti abita lo stesso desiderio del Padre: che nessuno vada perduto; Lo fai perché l’amore di Cristo ti spinge: ti sta dietro, ti dice dai, vai… Lo fai perché certe persone hanno solo te per sapere che sono amate; Lo fai perché certe persone hanno te per sapere che sono figli; Lo fai perché hanno solo te per sapere che sono già perdonate; È come l’agricoltore che semina: quello che accade sotto terra lui non lo sa, ma l’importante è prendersi cura di quel terreno, sapendo che è stato amato, vangato, curato.

Il mondo va sorpreso con l’Amore che va oltre la morte perché dal giorno del battesimo sei stato innestato in questa vita. Quanti giovani, sono stati sorpresi da un amore così perché hanno visto persone morire in un modo diverso, perché hanno conosciuto Chiara Luce, perché hanno incontrato Chiara Corbella, Carlo Acutis…che hanno detto con la loro vita una verità semplicissima: Nell’amore non c’è timore (1Gv 4,18).

Papa Francesco dice proprio questo: Più della paura di sbagliare, dice il papa, spero ci muova la paura di rinchiuderci in strutture, norme, abitudini…mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ripete senza sosta: voi stessi date loro da mangiare…voi stessi, voi stessi (Evangelii Gaugium).

Domande

-Se la fede aumenta donandola, cosa voglio donare a chi mi sta accanto?

-Se sono responsabile della vita del fratello, come essere luce e sale per la sua vita?

 

Dalle Fonti Francescane

Nell’anno del Signore 1219 e decimo della sua conversione, frate Francesco, nel Capitolo tenuto presso Santa Maria della Porziuncola, mandò alcuni frati in Francia, in Germania, in Ungheria, in Spagna e in quelle altre province d’Italia in cui i frati non erano ancora giunti. I frati che giunsero in Francia, interrogati se fossero Albigesi, risposero di sì non capendo cosa significasse “Albigesi”; non sapendo, per altro, che erano eretici, e così furono reputati eretici […].

In Germania, poi, furono mandati… Giovanni da Penna con circa sessanta frati o forse più. Questi, penetrando nelle regioni della Germania e non conoscendo la lingua, richiesti se volessero alloggio, vitto o altre cose del genere, risposero “ia” e così furono da alcuni benignamente ricevuti. E, notando che con questa parola “ia” venivano trattati umanamente, decisero di rispondere “ia” a qualsiasi cosa che veniva loro richiesta. Per questo accadde che, interrogati se fossero eretici e se fossero venuti appunto per contaminare la Germania, così come avevano pervertito anche la Lombardia, di nuovo risposero “ia”. Alcuni allora vennero incarcerati, altri, spogliati, furono condotti in giro nudi e fatti spettacolo comico per la folla. Vedendo dunque i frati che non potevano produrre frutto in Germania, se ne ritornarono in Italia. Per questo fatto la Germania fu reputata dai frati tanto inumana, che non osavano ritornarvi se non animati dal desiderio di martirio.

I frati invece mandati in Ungheria vi furono condotti, via mare, per interessamento di un vescovo ungherese. E mentre, canzonati, si introducevano per quelle pianure, i pastori li assalirono con i cani e, senza pronunciare parola, senza tregua li percuotevano con le loro lance, dalla parte non appuntita. E poiché i frati si domandavano tra loro il perché di tali maltrattamenti, uno disse: “Forse perché vogliono avere le tonache che portiamo sopra”. Gliele diedero, ma quelli non desistevano dal bastonarli. Aggiunse allora: “Forse vogliono avere le nostre tonachette che portiamo sotto”. Ma, datele, neppure allora quelli smisero di percuoterli. Allora disse: “Forse vogliono avere anche i nostri mutandoni”. E lasciarono loro anche quelli. Allora smisero di bastonarli e li lasciarono andare nudi. E a me uno di questi frati riferì che così ben 15 volte ci aveva rimesso le mutande; e, poiché vinto dal pudore e dalla vergogna, si doleva più per i mutandoni che per le altre vesti, imbrattò i suoi mutandoni con lo sterco dei buoi e con altra sporcizia di modo che, gli stessi pastori, provandone disgusto, gli concessero di tenerli. E dopo aver subìto queste e altre offese, ritornarono in Italia. Dei frati, poi, che passarono per la Spagna, cinque furono coronati del martirio […].

 

«Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare […]». (Papa Paolo VI, Evangelii Nuntiandi n. 14)

I frati minori sono già arrivati all’estremo della pazzia, perché vanno vagando per le città e i paesi e i luoghi solitari (Buoncompagno da Signa, Retorica antica, in FF 2239)

Ai tempi di Francesco, si possono notare tre tipi di “distanze, lontananze, esclusioni” che generano tre tipi di lebbra: fisica, morale e spirituale.

a) Il bacio di Francesco al lebbroso fisico è ben conosciuto. In quel bacio Francesco compie il suo primo cammino di conversione: ora egli è pronto ad ascoltare Cristo che nella chiesetta di San Damiano gli affida la sua missione: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa” … spingersi al largo dell’umanità!

b) I lebbrosi morali. Coloro che scelgono di allontanarsi dal bene, o dalla ricerca del bene, ma pur sempre fratelli e con umiltà e buon umore vanno incontrati e amati per ciò che sono: “figli dell’unico Padre”.

c) I lebbrosi spirituali, chi si affida agli idoli di ogni tempo, quelli che la Scrittura definisce i “pagani”, ma anche coloro non ancora raggiunti dalla grazia del Vangelo o chi vive la fede ancora in modo intimistico, poco audace.

Francesco, sa superare confini geografici con lo zelo per il Vangelo nel cuore… Un momento di passaggio avviene nel momento in cui l’orizzonte della predicazione oltrepassa i confini della penisola italiana: «Nell’anno del Signore 1219 e decimo della sua conversione, frate Francesco, mandò alcuni frati in Francia, in Germania, in Ungheria, in Spagna e in quelle altre province d’Italia in cui i frati non erano ancora giunti» e Francesco descrive cosa accadde in ogni territorio in cui giunsero. All’inizio tutte esperienze di apparente fallimento… L’unico posto forse che non fu un fallimento fu l’Oriente dove Francesco incontrò il sultano al-Malek al-Kamil.

Pian piano si assiste al passaggio dalla “fraternità evangelica” all’ordine dei frati Minori e anche l’invio dei frati divenne più cauto. Vi sarà così una selezione soprattutto riguardo alla conoscenza della lingua e la preparazione culturale e la missione avrà uno sviluppo importante per l’Ordine minoritico. L’entusiasmo delle prime spedizioni – compresa quella dei frati uccisi in Marocco – lascia lo spazio alla ponderatezza; ma se iniziò qualcosa fu proprio grazie a quelle prime avventure! Passaggio fondamentale è tra “Intuizione e forma”. Se la propulsività inziale non lascia spazio al prendere una forma diventa distruttiva. Come in un fidanzamento, si può dire che se l’innamoramento è importante non lo è da meno il passaggio all’amore maturo… Come diceva san Bernardo è bene essere mossi dall’amore ma guai alla stupidità, altrimenti è un caos, un fare male il bene che al posto di edificare distrugge. E Benedetto XVI in Deus Caritas Est n. 20 afferma che “l’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato […] compito della Chiesa, quello dell’amore ben ordinato del prossimo”.

Quali le tappe del percorso spirituale di Francesco e quale traccia per noi?

1.Dallo spirito della cavalleria all’amore appassionato per il Signore Gesù.

2.Dalla mentalità della conquista alla mentalità dell’incontro.

3.Dallo spirito delle crociate allo spirito della fraternità.

Francesco ci insegna un nuovo modo per “andare incontro” agli uomini: è il punto di vista dell’ospite, cioè colui che si dispone a lasciarsi accogliere, a lasciarsi trasformare dall’accoglienza altrui. Per San Bonaventura l’intentio (intenzione/proposito) di Francesco è il desiderio di essere trasformato dal fuoco dell’amore. Egli non si reca in altre terre per cambiare l’altro, ma per cambiare sé stesso! Il cristiano, in terre “lontane”, impara ad essere “segno efficacie, vivo” del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. In questo spirito, troviamo dei fratelli maggiori che ci mostrano la via, perché con la loro vita hanno testimoniato che questo è possibile, una “misura alta” che ci sfida e ci stimola.

In cosa veniamo provocati e scomodati?

«La memoria diviene attualità. La storia diventa maestra. Pone un confronto fra queste lontane figure di frati idealisti, imprudenti, ma esaltati da un amore positivo e trascinante verso Cristo e persuasi della necessità missionaria propria della fede: martiri; e la nostra mentalità moderna, che nasconde sotto un mantello di evoluto scetticismo, una comoda e transigente viltà, e che, priva di principi superiori ed interiori, trova logico il conformismo alle idee correnti…Sorge in noi un certo sentimento di disagio: noi ci sentiamo al tempo stesso distanti da quei campioni della fede, ma insieme avvertiamo, per tante ragioni, che essi ci sono vicini. Essi non sono figure anacronistiche e per noi irreali: essi anzi troppo ci dicono, e quasi ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile volubilità, il nostro relativismo, che talora preferisce alla fede la moda. Lontani e vicini essi sono pur nostri, e ci ammoniscono e ci esortano con parole simili: bisogna avere il coraggio della verità!» (San Paolo VI).

Domande

-Noi oggi che cosa rischiamo per la nostra fede? Come ci mettiamo in gioco per incontrare il fratello che ancora si esclude da questa fraternità universale che Cristo ci ha guadagnato dalla croce?

-In questi giorni proverò a mettermi in gioco in una relazione difficile che vivo…

Atti degli Apostoli (9, 1-19)

Nuovo compagno di viaggio: San Paolo. Nasce a Tarso all’inizio del I secolo, capitale della Cilicia (Turchia), è una città di grande importanza commerciale e culturale (At 9,11; 21,39; 23,3; 23,34).  Egli proviene da una famiglia giudaica, discendente dalla tribù di Beniamino, che osserva le tradizioni del suo popolo, è circonciso l’ottavo giorno (Fil 3,5; 2Cor 11,22; Rom 11,1). La sua educazione, in famiglia è rigorosamente giudaica e viene allevato secondo l’interpretazione farisaica della legge (Fil 3,5); per completare la sua formazione è mandato a Gerusalemme, alla scuola del Rabbi Gamaliele (At 22,3). Lo incontriamo come persecutore dei cristiani, per la prima volta:

a) Durante il martirio di Stefano al capitolo At 7, 58b; e 8, 1.3;

b) Dove si sottolinea che ne approvava l’uccisione e…

c) Cercava di distruggere la Chiesa.

Ma la sua vicenda è introdotta/ripresa in modo solenne al capitolo 9, 1-19.

Brano comunemente conosciuto come la conversione di san Paolo, ma in realtà il testo degli Atti ci parla di “illuminazione” e di “vocazione”. Sarà lo stesso S. Paolo ricordando questo evento a sottolinearne un altro aspetto: quello di “rivelazione del Figlio di Dio”.

Tutti i dettagli del brano si riferiscono al centro dell’avvenimento: il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita ed è lo splendore del Risorto che lo rende cieco: cioè appare così anche esteriormente ciò che era la sua realtà interiore, la sua cecità nei confronti della verità, della luce che è Cristo.

La chiamata di Saulo è narrata per ben tre volte negli Atti:

– all’inizio, (9, 1-19).

-poi quando Paolo va verso Gerusalemme dove è stato ucciso Gesù (22,5-16).

-poi quando deve partire per Roma (26, 9-18, ripresa in Gal 1, 12-17).

Perché riproporre a intervalli la sua chiamata (9, 1-19, 22,5-16, 26, 9-18, ripresa in Gal 1, 12-17)? Per ricordare e sottolineare che è iniziativa di Dio, e soprattutto per capirne meglio la portata: Dio è veramente padre di tutti e suo Figlio è fratello di ogni uomo.

La trasformazione Paolo, di tutto il suo essere venne dall’esterno: fu il frutto dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto.

Come Paolo è stato conquistato da Cristo? Paolo è il prototipo degli apostoli, colui che ha portato il Vangelo a tutti, colui che ha compreso il mistero di Cristo nascosto dall’eternità e l’ha capito subito, folgorato in un istante “grazie” alla sua esperienza di persecutore, amato non perché buono e bravo, come pensava di essere, ma perché perseguitava Gesù che ha dato la vita per lui. Paolo è il seme del sangue del martirio di Stefano…la realtà che stai distruggendo quella ti genera all’uomo nuovo…Come una folgore, una stella cadente illumina nella notte il cielo, Paolo in questa folgorazione ha visto davvero tutta la bellezza di Dio e di Cristo in un istante.

Il testo un po’ più da vicino:

«Spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore»: uno vive dell’aria che mette dentro e l’aria, la vita che Paolo mette dentro, è la minaccia e la strage contro i discepoli di Gesù. Lui vive per ammazzarli, non per cattiveria, ma per zelo di Dio, perché questi distruggono la religione dei padri, distruggono la sua cultura nella quale era il più bravo. Come Gesù dà la sua eredità ai lontani, il primo a riconoscerlo sulla croce è il centurione, colui che lo ha ammazzato, così il primo grande apostolo sarà quello che voleva far fuori la Chiesa.

«All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo»: “gli sfolgorò intorno una luce dal cielo” e una voce gli chiede «Perché mi perseguiti»: gli ha chiesto il perché…il vero problema è quello del perché, la questione del senso. In ciò che dici di amare trovi il tuo compimento? La tua pienezza? Qui Paolo ha capito tutto il senso della sua vita e cioè che: Gesù che perseguita è vivo, non è quello morto, si identifica con i discepoli, è presente in tutti gli uomini che credono in lui, e ora è presente anche in lui che era colui che voleva ucciderli tutti, chiamava anche lui alla vita.

«Chi sei Signore?» … «Io sono Gesù»: sono quel Signore che è presente nella storia, in tutti gli uomini, in particolare in coloro che tu vai perseguitando e che vuole essere presente anche in te; io sono per tutti. Paolo in un istante capisce che Gesù, il Crocifisso, non è maledetto da Dio, ma la rivelazione dell’amore di Dio per tutti i lontani, per tutti i perduti e anche per l’universo intero. «Cristo che mi ha amato e ha dato sé stesso per me». È la scoperta che quel Gesù non è solamente vivo, ma ha il volto di coloro che lui sta andando a catturare per portare a Gerusalemme. È questo il bagliore: questa luce sfolgorante è l’identificazione di Gesù con la sua Chiesa…identificazione accecante, da non consentire a Paolo di stare in piedi…Gesù non gli dice quello che deve fare, glielo dirà un altro. Il diventare ciechi, sapere di essere ciechi è la vera luce.

«Per tre giorni non vedente, non mangiò e né bevve»: sono i tre giorni della morte e del sepolcro di Gesù…nel sepolcro c’è il Signore della vita! E così in lui, nella sua cecità, c’è ormai questa luce interiore. Ha già dentro tutto, il resto si è oscurato momentaneamente, poi vedrà in modo diverso anche la realtà.

«Anania» = «Dio è misericordia». È bella questa mediazione che viene da un altro, che è perseguitato e che è chiamato a cercare Saulo. «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». Quindi va a comunicargli, come fratello, la vista. Paolo ha già la vista interiore, ha già capito tanto; ora attraverso il gesto del fratello, gli si aprono gli occhi sulla fraternità.

Come per Paolo, l’incontro con il Risorto mi fa scoprire il più profondo mistero di me stesso. E fa sì che io venga fuori chiaramente dal caos dei miei molteplici pensieri e sentimenti, dalla confusione dei miei ruoli e delle mie maschere, dei miei infiniti progetti (“Sono più i progetti che ho che la vita che ho a disposizione per realizzarli” (Leopardi, dice nel so diario, “Lo Zibaldone”) e acquisti sempre più la mia vera identità, la chiamata alla pienezza del mio essere.

La vocazione è “il progetto” che Dio ha pensato perché ognuno di noi arrivasse alla pienezza del proprio essere ed è solo nel rapporto con Dio possiamo “renderla vera” perché in gran parte dipende da Lui che ce la rivela. Infatti:

a)Vocazione come “aderire a un progetto”: per Paolo è stato riconoscere Gesù come “Signore” della vita e della morte. Incontrare il Risorto. Per Paolo l’originalità del rapporto con il Signore sta nell’essere trovato in Lui (cf. Is 49, 1).

b)Vocazione come “entrare nella comunione”: Paolo da persecutore “solitario” della Chiesa diviene autentico figlio e membro della Chiesa. La vocazione ti fa uscire dall’individualismo, dall’egocentrismo e ti fa vivere in un “Corpo”, nel “Corpo di Cristo” dove Egli fa fiorire appieno i tuoi carismi (cf. Mt 25, 14-30).

c)Vocazione come “entrare nella libertà e generosità dell’uomo nuovo: riconoscenza e gratitudine perché “Cristo ci ha liberati per la libertà” (cf. Gv 6, 68).

Ognuno ha una “storia vocazionale”: diventa importante la figura di un mediator che aiuti in un buon cammino di discernimento:

Papa Francesco dà indicazioni concrete per un discernimento vocazionale:

1.Silenzio che non è isolamento ma ascolto orante della Parola;

2.Disponibilità a rinunciare “alle proprie certezze e sicurezze”;

3.Disponibilità a “porsi delle domande”, a chiedersi come posso servire meglio in questo mondo (cfr. CV 283-285). «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati “Per chi sono io?» (Francesco, Christus vivit, 286).

Domanda: Cosa abita il tuo cuore in questo tempo? Prova a rispondere alla domanda “Per chi sono io?”. Scegliti un’ora in questa settimana per recarti nella Chiesa più vicina e stare davanti a Gesù Eucarestia.

 

Fonti Francescane (1403) -1411-1412 

E da quell’ora smise di adorare sé stesso, e persero via via di fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era totale, perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane. Ma svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del cuore, e nascondendo allo sguardo degli illusi la perla evangelica, che intendeva acquistare a prezzo di ogni suo avere, spesso e quasi ogni giorno s’immergeva segretamente nell’orazione […]. Aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l’elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose […]. Trascorsero pochi giorni. Mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, fu ispirato a entrarvi. Andatoci prese a fare orazione fervidamente davanti all’immagine del Crocifisso, che gli parlò con commovente bontà: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va dunque e restauramela”. Tremante e stupefatto, il giovane rispose: “Lo farò volentieri, Signore” […]. In seguito a questa visione, il suo cuore si struggeva, come ferito, al ricordo della passione del Signore. Finché visse ebbe sempre nel cuore le stimmate di Gesù il che si manifestò mirabilmente più tardi, quando le piaghe del Crocifisso si riprodussero in modo visibile nel suo corpo […].

C’è anche per Francesco di Assisi una via di Damasco? Come stava il cuore di Francesco prima dell’incontro con Gesù? Francesco è un uomo che desidera, un cercatore; cuore che non si accontenta, vuole di più. Il cuore di Fra è inquieto: il tuo? Lo è ancora? Togli i desideri e un uomo è morto. A Francesco capita la cosa più bella che potesse accadergli: di colpo si è accorto che le cose non gli bastano più. Ma nel cuore non ci sono solo desideri: nel cuore dell’uomo parla il peccato (Sal. 35,1) c’è una radice-matrice del peccato e si chiama amore sbagliato a sé stessi, philautia: cioè adorare se stessi! Io al centro. Self made men!

Cuore di Francesco: lui è figlio di mercante (stoffe-abiti) ma desidera essere cavaliere: vuole vestire i panni di un altro! Vuole un’altra storia, vuole vestire i panni del cavaliere, recitare una parte di vita più interessante. Sta sbagliando? Nooooo anzi…Dio è alleato dei suoi sogni. Nel cuore di Fra desideri e sogni di grandezza si impastano! Il cuore tribolato è una grazia! Ti ricordi Lucia, l’addio ai monti? “Dio non turba mai la gioia dè suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande”.

Come per Saulo così per Francesco, così per te: una caduta a terra! Presa di contatto con la realtà. Dai sogni di grandezza alla grandezza di un sogno. Questa caduta si chiama lebbroso: da loro Fra conosce l’abito vero dell’uomo à le ferite; conosce l’abito mortale della condizione dell’uomo. Ferite dell’esistenza; ferite morali, le tenebre del cuore; ferite della psiche, di chi non fida più di niente e nessuno. Crollo doloroso di un ideale di vita staccato dalla realtà: che Grazia se ti è successo in questo tempo e hai aperto gli occhi, le orecchie, la mente e il cuore.

Ciò che si converte non è Francesco ma il gusto di Francesco: la pasqua del gusto! Da amaro in dolce, dolcezza di animo e di corpo. Incomincia a usare misericordia cioè a dare loro il suo cuore, la verità che lo abita! Inizia a uscire da sé stesso, vincere se stesso perché nel povero, nel lebbroso, nella vita in rovina, c’è una parola per lui; una calamita che lo attira e non sa perché. Quali sono i due giorni più importanti della vita? Quando nasci e quando scopri il per chi sei nato! Di colpo ti accorgi che le cose non ti bastano: ma certo, le cose non hanno un volto! Tu cerchi un volto, da sempre. 1° volto per Francesco à lebbroso.

Ma tutto questo in Francesco è graduale: non è immediato, come per Saulo. L’incontro è puntuale ma il seguirlo è graduale. C’è il tempo della incertezza, del “mi sto facendo un film”, “forse esagero”,…; c’è nel cuore il fascino per le cose di sempre e l’attrazione nuova che mi ha innamorato, che mi sta cambiando i gusti!

Qui si colloca l’incontro di Francesco con il Crocifisso di San Damiano. Ispirato, entra e prega con passione: che bello questo cuore che arde, che brucia, espressione di desideri che cercano casa, che chiedono verità; ma i desideri sono anche espressione di una libertà che vuole legarsi perché sta scoprendo, grazie alla caduta, che la libertà non è fare quello che voglio ma volere ciò che faccio. La libertà è legame e non solo sentimento e emozione: è trovare il volto, 2 occhi e un volto da amare! Le cose a metà non vanno più, con la data di scadenza. Francesco prega, parla con il Crocifisso dagli occhi stupendamente aperti perché è Vivo, è vittorioso sulla morte: parla e si intrattiene come con un amico, entra in dialogo! Non si concepisce più uomo che basta a se stesso, non si concepisce più come un uomo che và verso se stesso, il suo progetto: inizio del brano è la chiave di un vero cammino vocazionale à “smise di adorare se stesso!”.

Qui accada l’evento: dagli occhi impauriti del lebbroso, dal volto dell’uomo in rovina, agli occhi e il volto di Gesù! Cosa c’è in un colpo d’occhio?! Cosa si racchiude in un attimo! Cos’è una scintilla che fa nascere un incendio! Cos’è un contagio di luce e di bellezza! È iniziata in Francesco l’unica cosa necessaria per entrare nella vocazione e missione: un dialogo intimo, personale, profondo. Come per Saulo. Questo dialogo è un evento di Grazia e di libertà che trasforma dal di dentrocosì l’uomo impara a vivere all’altezza dei suoi desideriDio alleato dei tuoi desideri si….ma te li dilata sulle Sue misure! “Francesco vuoi essere cavaliere? Ti faccio diventare cavaliere, l’araldo del Re dei Re. È troppo poco quello che sogni da innamorato: io ti faccio conoscere e percorrere la via dell’amore”.

Il contenuto delle parole del Crocifisso dagli occhi aperti: Francesco non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela. Il contenuto della vocazione e missione di Francesco sono le ferite dell’umanità, la salvezza dell’uomo, la passione per l’umanità perduta, le macerie! La casa di Dio è il dolore dell’uomo; abita il tempio santo che è ogni persona. “Francesco ma non vedi? Cosa vedono i tuoi occhi? Hai iniziato ad accorgerti del lebbroso: ecco la mia casa che crolla è da restaurare. Come sto facendo con te, tu fai con loro”.

Lui dirà semplicemente: lo farò volentieri. Che dono….stare volentieri nella tua vocazione e missione dove è brillata la scintilla tra la Grazia di Dio e il desiderio profondo, muovendo la libera decisione. Di 2 occhi e un volto ti innamori perché ti ha preso il cuore! Ecco la vocazione. Il cuore di Fra si struggeva come ferito al ricordo della passione del Signore. Il dolore dell’uomo, le ferite del mondo restano, sono roveti che bruciano e non finiscono mai per chiamarti fuori da te, per spenderti nell’amore che costa, non solo dispiacerti.

La bellezza dei santi sta nel fatto che sono stati se stessi in quel momento. L’imitazione più alta dei santi è la loro originalità cioè la loro non imitabilità, cioè non sono imitabili.  Come se ci dicessero: “Fate come noi: non imitateci!”; cioè non ripetete solo il già visto ma partite dal già visto per essere nuovi, unici, originali. Aprite strade, provateci e avrete la Forza dall’alto: la Grazia di Dio non ammette indugi (S. Ambrogio).

Domanda: Sai stare davanti a Dio in verità e libertà? Cosa cercano i tuoi occhi? Sono ancora puntati su di te? Dai, cerca i Suoi occhi e parlatevi, chiaritevi!

 

Atti 12, 1-11

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. E l’angelo a lui: «Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Avvolgiti il mantello, e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva infatti di avere una visione. Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si dileguò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei».

 

Questa sera vi incontriamo all’altare secentesco di S. Pietro in Vincoli realizzato nella nostra Basilica di Santa Maria della Porziuncola da un giovane collaboratore del Bernini. Uscendo dalla porta laterale della Porziuncola, una volta ricevuto il Perdono, rigenerato dal grembo della Misericordia di Dio, l’uomo perdonato si trova davanti l’altare che rappresenta l’apostolo Pietro liberato miracolosamente dal carcere da parte dell’Angelo di Dio (CFR foto altare): il sacramento della confessione continua l’opera di liberazione dal male.

Pietro davanti alla folla, dopo essere stato investito dalla Pentecoste, esce allo scoperto, sulla piazza e si gioca la vita, si compromette con la storia: comincia a donare la vita per il Vangelo! Lo aveva già fatto ma in modo sempre trattenuto, sotto scacco dalla paura, grandi slanci e veloci tradimenti: ma arriva il momento di fare i conti con il male che ingabbia. La vita a volte ti fa questo servizio: ti mette alle strette e occorre lasciarti salvare e liberare dall’Amore di Dio per te. Tu non potrai mai fare nulla per convincere Dio a non amarti: arrenditi davanti a questo verità! O ti innamori della verità o farai l’amore con ogni vizio!

Pietro in Atti 3 guarisce lo storpio con la potenza del Nome Gesù, guarisce con ciò che ha nel cuore, la Persona di Gesù. E annuncia con franchezza ciò che ha visto e ascoltato. Per questo andrà in carcere, ben tre volte.

In Atti 12 è la 3° volta che Pietro si trova in carcere. C’è un luogo dove è chiaro che la forza non conta: il carcere. Anzi, spesso diventa rabbia e poi violenza. Per esempio quando cerchi di fare qualcosa con le tue forze, vincere un vizio o superare una paura, quando sperimenti il fallimento ti arrabbi e diventi violento, e spesso ne fanno le spese gli altri. In carcere serve la mitezza. Finite le tue possibilità, cominciano quelle di Dio! Pietro viene portato in carcere, condotto in un luogo profondo. Accettare di farsi condurre in profondità da ciò che accade. Non vivere superficialmente. Il carcere è il sepolcro di Pietro, dove Pietro diventa sempre più cristiano; per diventare cristiano occorre imparare a morire, occorre entrare in un sepolcro. In un luogo dove non c’è via d’uscita. E lasciare che qualcun altro ti ridoni la vita. Pietro viene arrestato nei giorni di Pasqua. Le Pasque che vivi ti formano cristiano. Ciò che ti forma non sono i corsi che fai o i libri o lo studio o le esperienze, ma le Pasque che passi, i sepolcri che accetti di attraversare. Cabasillas, riferito al Battesimo, diceva che “veniamo come versati in uno stampo”. La Pasqua libera dall’essere sformato, senza forma, o con tante forme: Pietro ha sempre più la forma di Gesù! Come Francesco di Assisi: non solo il saio a forma di croce ma la sua stessa carne con le Stimmate. Avere la forma del Vangelo…quale bellezza.

In carcere Pietro si rende conto che non è vero che è forte. La grazia che Pietro accoglie è quella di non scappare, non cerca di evadere (le evasioni per far passare il tempo); non tenta di trovare un modo per salvarsi la pelle, ma dorme. Il sonno è la cosa, nella vita, più simile alla morte …perché è il momento della nostra vita dove siamo più deboli. Pietro entra nella paura più grande, quella di morire, fa i conti con la sua debolezza. Accetta che non ce la fa. Quando sono debole allora sono forte, dice Paolo (2Cor 12,7-10), la forza arriva dall’alto, quando smetto di usare la mia forza e mi apro alla forza di un altro.

3 passaggi secondo Solov’ev:

  1. Rifiutare il male che non è fuori di noi, è in noi stessi: il problema non è la realtà ma il cuore, quello che abbiamo dentro non quello che c’è fuori di noi. Quanta fatica per cambiare la realtà per poi accorgersi che il problema non è fuori di noi ma è dal nostro cuore che escono pensieri malvagi
  2. Lo sforzo, provarci e qui accorgersi dell’impotenza della nostra buona volontà. Chissà quanti in attesa della “fase 2 ..3” abbiamo fatto la lista dei buoni propositi, delle cose che “adesso ho capito, delle cose che “adesso cambio” e forse ci siamo già accorti che non basta: da solo non ce la fai
  3. In noi sorge la necessità di cercare un’altra volontà che non solo voglia il bene, ma pure lo possegga e dunque possa comunicare anche a noi la forza del bene. Una tale volontà esiste, e prima che noi la rintracciamo, essa ci ha già trovato.

Questa forza Pietro la riceve “dall’alto”, la forza del bene e possiamo soltanto riceverla. La vittoria dipende non da quello che hai, ma da quello che sei disposto a ricevere. Se pensi di avere tanto, riceverai poco. Se pensi di non avere nulla riceverai tutto. L’uomo non raggiunge veramente se stesso tramite ciò che fa, bensì tramite ciò che riceve. Non si può divenire integralmente uomini fuorché venendo amati, lasciandosi amare (Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo).

Arriva un Angelo che non lo fa scappare in fretta, ma lo fa vestire con calma: uscire dalla paura che ti tiene in carcere attraverso l’obbedienza. Per uscire dalle tue prigioni-paure occorre fidarti di quello che un altro ti dice. Una volta uscito Pietro si rende conto di essere libero; davvero Pietro vive nella scia del Maestro.

Ma il segreto di questo brano è nel v. 5: Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per Lui. La Forza dall’alto arriva grazie all’intercessione, alla preghiera e offerta dei fratelli che forse non vedrai mai, ma davanti a Dio tengono alzate le mani come Mosè per le battaglie dell’uomo di ogni tempo! Questo segreto dell’amore gratuito ha conquistato il cuore di Francesco e Chiara perché hanno scoperto che il sogno di Dio è la fraternità!

 

Leggenda dei tre compagni

FF1398

Tra Perugia e Assisi si erano riaccese le ostilità, durante le quali Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili. Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro Uno dei compagni allora gli disse che era matto a fare l’allegrone in carcere. Francesco ribatté con voce vibrata: “Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”. Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto. Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia.

 

Come sapete lui esercitava il mestiere del padre, ed era dedito ad una vita da spendaccione. Tuttavia era da tutti amato perché sempre gioviale, cordiale, generoso…

In quel tempo c’era la guerra tra Assisi e Perugia e Francesco, da bravo giovane baldanzoso vi partecipa: inizia ad avere un motivo per cui combattere. Non è solo il figlio che deve portare avanti l’azienda del padre, che deve conservare l’immagine della famiglia… ma Francesco sta mettendo le fondamenta della sua storia: che passa dall’iniziare a giocarsi per qualcosa. Allora il carcere non diventa il luogo che ha l’ultima parola sul santo. È piuttosto un luogo di passaggio, uno snodo importante, come un grembo, come la Porziuncola, dove si entra in una maniera e si esce diversamente, vieni rifatto.

Per usare un’immagine, il carcere per Francesco è come un seme che viene piantato a terra, sotto 10 cm di terra, e per venire alla luce ha bisogno di fare certi passaggi, ma quello che viene alla luce non è il seme, è qualcosa di nuovo. Ed i primi passi verso la comprensione della sua identità e missione Francesco li muove nella solitudine. Spesso si ritirava in una grotta, sui monti di Assisi, lasciando fuori l’amico, perché era impaziente di “impadronirsi del tesoro”. Ma nessuno sapeva cosa facesse, tranne Dio solo. Perciò quando usciva dalla grotta, all’amico appariva mutato in un altro uomo (FF 1409).

Ma come sai c’è grande differenza tra solitudine e isolamento. La solitudine fa parte della tua vita, anzi devono esserci degli spazi interiori dove entri solo tu, altrimenti ti ritroverai un cuore piazza dove abitano tutti e non conosci nessuno. Chi si conosce, cioè chi sa stare con sé stesso, saprà anche donarsi all’altro. L’isolamento invece è il tentativo di nascondersi dal mondo e dalle relazioni. L’isolato non incontrerà mai nessuno, non sa innamorarsi, l’isolamento è il contrario della relazione.

Il cammino di questa sera riguarda:

  1. Quale forza dall’alto ci occorre per non perdere noi stessi quando capitano i momenti di carcere, di solitudine? Cioè, nel nostro cammino personale, come possiamo andare oltre il fallimento?
  2. Come ripristinare il gusto della libertà? 3 chiavi.

L’episodio del carcere è da collocare dentro i fallimenti di Francesco. La delusione del fallimento porta sempre con sé la domanda: ma allora ho sbagliato tutto? Era solo un’illusione? Allora come si esce dal fallimento? C’è un episodio del vangelo, quando Gesù al Giordano si fa battezzare mettendosi in fila, in mezzo ai peccatori, in mezzo a chi capiva che da solo non ce la faceva. Cristo non si separa da te e dai tuoi fallimenti, ma si mette in fila. E quando vede questo, i cieli si aprono e il Padre apre bocca: “Questi è il figlio mio l’amato”. L’umanità peccatrice, fallita, delusa è già amata da Dio: Gesù Cristo lo trovi lì in fila, non nella Sky priority. Allora questo può essere un punto nuovo di partenza che libera il cuore dall’ansia di prestazione: ogni cammino non parte da quanto sono bravo per meritare l’amore di Dio, si parte dal dono di Dio per me. Dio mi ama già anche se ho fallito. Francesco ti direbbe: Quanto vale un uomo? Tanto quanto vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Cioè? La vita di Gesù Cristo. Questa è la forza dall’alto che permette di non perdere noi stessi anche quando restiamo imprigionati nei fallimenti: ricordarci che Dio ci ama già!

E poi ci sono tre chiavi che Francesco ci consegna che aprono 3 porte. 3 chiavi che aprono 3 porte: ogni porta è un passaggio per la libertà.

“Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili… Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono. Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto”

 La prima chiave apre la porta che va: Dal combattere gli altri alla cura degli altri:

Da una parte c’è chi decide delle vite degli altri e dall’altra c’è chi decide di curare le vite.

  • Chi combatte gli altri starà sempre nella categoria: giusto. Ed il giusto non può essere un caso sospetto di fallimento, il giusto non finisce in carcere. Il giusto può permettersi di s-cordare il compagno di prigionia perché lui non sbaglia. Se vi ricordate in Lc7, Gesù a casa di Simone il fariseo, il giusto. Ad un certo punto entra una donna, di nota fama in quella città, iniziò a bagnare di lacrime i piedi di Gesù, a baciarli e a cospargerli di profumo. Nella casa troviamo il puro e l’impuro, il giusto che si fa giustizia e la donna che deve essere giustiziata dai giusti. E Gesù a Simone, che osservava tutti i precetti: sai perché gli sono perdonati i peccati? Perché ha molto amato.
  • Francesco in quel carcere comprende che può permettersi di non essere tra i giusti e può continuare ad amare come sapeva fare, “continua ad essere amico” e lo ri-corda, lo porta al cuore… era signorile, gioviale, non cancella la sua storia solo per un fallimento. Francesco perciò ri-corda il compagno di prigionia, cioè lo riporta al cuore.

“Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro”

 Dalla lamentela alla letizia:

  • La lamentela che cos’è? È una brutta bestia ed ha una figlia che si chiama rancore. È la lettura triste della realtà: quando, quello che doveva essere il tuo piedistallo, la possibilità di emergere… diventa la tua condanna. La lamentela incattivisce. Prigioniero-captivus: noi ci incattiviamo quando siamo prigionieri di qualcosa: quando pretendiamo che l’altro debba farci felice, prigionieri di una mentalità vecchia, modi di stare nella vita che non portano frutto…
  • La letizia invece è la forma nuova di gioia: passa dal rifiuto, dal fallimento, al sentirsi amati nonostante tutto. È conosciuto l’episodio della perfetta letizia: quando Francesco stanco, d’inverno, bussa alla porta del convento e i frati cosa gli rispondono? Vattene, noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te. E Francesco: se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questa è la vera letizia. In quella notte, stanco tornando da Perugia, Francesco sperimenta un’altra volta la fatica della fragilità. Quando sei denudato di tutto, anche dei tuoi compagni, del rispetto, sei è costretto ancora a verificare qual è la logica che guida il suo cuore. Allora se la lamentela è imparentata col rancore, la letizia è compagna della gratitudine.

“Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”

Dal già visto alla visione:

  • Quando siamo intasati dalla fretta tutto sembra già visto, lo stesso quando abbiamo l’ansia di prestazioni, di obbiettivi da raggiungere (come i prigionieri di Perugia) … non ci stupiamo più. Perché ci siamo abituati ad essere avari. L’avaro impedisce a Dio di fare cose nuove con la tua vita? Egli non accetta di lasciare qualcosa e resta prigioniero del suo progetto.
  • La visione invece è una domanda: secondo voi che cosa diventerò io nella vita? Francesco si vede già fuori dal carcere. Non sa cosa diventerà ma ha allargato l’orizzonte dal carcere al mondo. Francesco dirà questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore, quando ascolterà il vangelo del mandato degli apostoli: di andare per il mondo a predicare. Francesco quando sente la parola mondo si attiva, esplodono i confini e parte. Francesco colloca già i suoi desideri fuori. L’uomo senza orizzonte si ammala di claustrofobia.

Tre chiavi che usa Francesco per non rimanere prigioniero: la cura del fratello, la letizia e la visione. E nel momento in cui diventiamo liberi da…siamo tenuti a scegliere di…

Francesco, tornato a casa dal carcere parte per Spoleto…si accende il desiderio di diventare cavaliere. Allora c’è un’eredità che il santo ci lascia: l’ultima parola sulla nostra vita non è il carcere, il fallimento, non è la lamentela, che non viviamo per una vita mediocre e pigra, ma per una novità. Francesco, il vangelo non ti invitano a ritirarti in isolamento ma ti sfidano, ti consegnano un orizzonte molto più ampio del tuo.

Don Oscar Romero, vescovo del Salvador, ucciso mentre celebrava l’eucarestia diceva: Cristo è il vero liberatore che non distrugge ma rifà. Come il vasaio che riutilizza la stessa creta, e rifà qualcosa di bello, ma con la stessa.

La forza dall’alto che arriva da Gesù Cristo ci libera dalla prigionia della vita bloccata, piccola, versione Bignami, semplificata, dove l’imperativo è non osare e ci restituisce una vita nuova.

Da cosa ti ha liberato il Signore e continua a liberarti? Quale desiderio ti porta fuori dai confini che rendono “claustrofobico”? Dove puoi trovare la vera gioia, la letizia, quella che permette di ringraziare Dio nonostante tutto?