Quando mi è stato proposto di fare il corso vocazionale sono rimasta impietrita, ero spaventata da questa parola: vocazione. Dopo molti tentennamenti mi sono iscritta al corso e lì ho scoperto che la parola vocazione richiama all’amore e alla gioia, con la consapevolezza di avere un Padre misericordioso che quotidianamente rinnova la sua promessa di fedeltà. Una volta finito il corso la necessità di restituire la bellezza ricevuta si faceva in me sempre più ardente e così ho deciso di andare a fare servizio al corso vocazionale della Settimana Santa. Sono arrivata un po’ di corsa, presa dal lavoro e dalle situazioni del mio quotidiano, ma una volta giunta ad Assisi e consegnate in Porziuncola tutte queste preoccupazioni, sentivo di avere il cuore pronto per questa esperienza. Fare servizio per me ha significato vedere negli occhi dei ragazzi e le ragazze del corso la Sara di qualche tempo fa, con tutti i dubbi e le incertezze, con la bellezza ricevuta dalle catechesi e dai compagni di viaggio. Ho visto nel viso di ognuno il volto del Signore. Si è soliti dire che quando fai servizio poi alla fine sono gli altri a servire te e, so che può sembrare un luogo comune, ma è proprio così. Ogni momento passato a fare azioni per e con gli altri è stato un dono di Dio, che con la sua pazienza mi ha aiutata a comprendere la ricchezza che c’è negli occhi di chi viene servito. Questo servizio al corso vocazionale è avvenuto in concomitanza della Settimana Santa e credo di non poter essere più grata di così perché Dio mi hai portata nella terra di Francesco per farmi vivere la Pasqua. Ho condiviso con i miei fratelli e le mie sorelle nello Spirito la bellezza del Triduo pasquale, dell’attesa e della gioia incommensurabile del Signore risorto per noi, alleluia! Ho sperimentato la purezza di un Padre che ha dato la sua vita per noi figli, così amati e guardati da lui. Ogni giorno mi approcciavo al servizio sempre più consapevole che le mie difese e le mie paure si stavano abbassando per lasciare spazio ai mei desideri più profondi di felicità. La parola che mi ha accompagnato nei giorni di servizio è una frase molto semplice che Simone dice al Signore nel Vangelo di Luca, “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Quel “ma” a metà frase è stato per me un passaggio obbligato, come se ci fosse un prima e un dopo, come se avessi deciso di dire anche io quel “ma” e di abbandonarmi completamente tra le braccia del Padre, come se sapessi che in quel “ma” c’era la chiave di volta per uscire dal silenzio del sabato per trovare finalmente la gioia della domenica di Pasqua. Questa parola ha segnato per me un prima e un dopo nel servizio, da un cuore che si era un po’ indurito ad uno che invece ardeva d’amore ed era pronto ad accogliere l’altro.

Ai ragazzi che hanno svolto il servizio con me non posso che dire un grande grazie, ho trovato dei fratelli con cui condividere momenti irripetibili. A te che hai seguito il corso riservo una parola di ringraziamento, nel tuo sguardo ho visto serenità, stanchezza, a volte timore e soprattutto tanta gioia, grazie perché il Signore mi ha concesso di conoscerti, di servirti e di poter pregare per te.

 

«Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Sono queste le parole dolcissime che il Signore ha scelto per sigillare la mia esperienza al Corso Vocazionale del 26-31 dicembre. Uno stupendo quanto inatteso regalo di Natale che Lui aveva preparato per me, proprio nel momento in cui ne avevo maggiormente bisogno. Sono nato ed ho sempre vissuto ad Assisi, pertanto avevo molte volte sentito parlare della realtà del Sog e dei vari corsi tenuti dai frati. Tuttavia, non avevo mai sentito l’esigenza di parteciparvi, convinto che non si addicessero poi tanto al mio percorso di fede. Eppure era da tempo che sentivo la mia vita spirituale inaridirsi, avvitarsi su sé stessa, diventare triste e incapace di portare frutto per me e per gli altri. E mentre mi dimenavo tra i miei mille impegni e mi confondevo tra tante scelte professionali e di vita, il Signore ha permesso che mi potessi fermare per ascoltare la sua voce. La voce di un Padre che non desidera dei servi pronti ad obbedire ad ogni suo comando, ma dei figli che sappiano godere del suo amore, che siano capaci di gridare “aiuto!” per costringerlo a prendersi cura di loro. Un Padre che lotta affinché i desideri più profondi del mio cuore si realizzino, che combatte al mio fianco per la mia felicità. Un Dio che mi ha creato e che è contento che io sia qui, in questo mondo, che lui ha immaginato proprio con me dentro.  Riascoltare queste verità, all’apparenza così banali ma in realtà così profonde, ha avuto un effetto liberante dentro di me. Senza accorgermene, negli ultimi anni avevo smesso di percepire l’amore di Dio per la mia vita. Ero probabilmente troppo assorto nei miei schemi religiosi, credevo di aver ormai colto l’essenziale della vita cristiana e cercavo di camminare su questo sentiero, intento a non deviare mai, a fare le cose “giuste”, convinto che nel compiere i precetti avrei trovato quell’acqua per saziare la mia sete di vita. Tutto ciò però non sta avvenendo, ed era una triste verità che non riuscivo ad ammettere. Il mio cuore ha iniziato a riposarsi solamente quando ha avvertito che non ero io a dover fare qualcosa per Dio, ma Lui che stava aspettando di fare qualcosa per me, ma io non gli davo il permesso, ero troppo concentrato su me stesso, sul comprendere cosa il Signore volesse da me per realizzarmi come cristiano, come persona capace di dare la vita per l’altro. Piano piano vedevo aprirsi una nuova prospettiva: Dio mi stava chiamando a lasciarmi amare per quello che realmente ero. Dovevo lasciar cadere quella maschera da “bravo ragazzo” che spesso indosso nei rapporti con gli altri e che stavo usando anche con Dio. Dovevo darmi il permesso di gridare a Lui con tutto il cuore, di amarmi anche nei lati più oscuri della mia personalità, nelle ferite della mia storia, nei miei fallimenti. Dovevo gettargli in faccia il calderone di rabbia ribollente che stavo covando da anni, ma che non potevo tirar fuori per “salvare la faccia”, per continuarmi a dire che “va tutto bene”, trattenendo il grido di dolore dal più profondo del cuore. Ho scoperto che potevo anche ribellarmi a Dio. Anzi, che lui proprio non aspettava altro perché voleva donarmi il suo conforto. E così è stato. Non appena mi sono dato il permesso di provare anche i sentimenti che stavo reprimendo con sdegno, ho sentito la grazia dello Spirito scendere dentro di me per consolare il mio cuore con una serenità che non provavo da molto tempo. Ho iniziato pertanto a mettere da parte quell’idea di Dio che mi ero costruito con il mio moralismo, con le regole da rispettare e le aspettative da compiere, per far posto alla sua vera immagine, quella del Cristo crocifisso. Quella di un uomo che sceglie di consegnare la sua vita nient’altro che per amore della mia. Stavo provando finalmente il sapore dolce di una liberazione. Potevo azzittire il giudice interno che continuava a puntarmi il dito da anni, perché ero contento di essere mancante. E Cristo mi stava aspettando proprio lì. Perché Lui cerca i malati e i peccatori, e non serve a nulla nascondersi dietro le solite maschere. Nella sua misericordia è venuto a stanarmi, a ricordarmi che sono un suo figlio amato, facendomi nascere un profondo desiderio di godere pienamente di questo immenso amore. Lo ha fatto attraverso l’abbondante e intensa predicazione dei frati e delle suore, fatta di parole ma soprattutto di volti gioiosi. E soprattutto lo ha fatto attraverso una stupenda esperienza di fraternità, insieme ad altri ragazzi e ragazze provenienti da ogni parte d’Italia, con il loro carico di storie mai banali. E lo ha continuato a fare una volta tornato a casa, nella vita concreta di tutti i giorni, donandomi – finalmente! – la gioia di rimanere al mio posto, di apprezzare le attività del quotidiano, senza sognare “fughe ai tropici” e senza volgere lo sguardo al passato con nostalgia. Credo che questo sia per me un nuovo inizio nel mio rapporto con Dio e spero di poter scoprire sempre più il suo sguardo d’amore mentre mi contempla come sua creatura. Senza cercare di rinchiuderlo nelle mie prigioni mentali, ma rimanendo aperto alla sua sempre sorprendente novità. Perché senza dubbio Lui vuole stare insieme a me per condurmi alla realizzazione dei miei desideri più profondi, e vorrà mostrarmi nel cammino un progetto d’amore, un terreno in cui la mia vita possa essere autentica e fiorire. Sarebbe proprio un peccato, in effetti, disperdere questo immenso tesoro in avventure di piccolo cabotaggio, sconfitti dalla paura di spiegare le vele verso il mare aperto per seguire la propria, personalissima rotta. Perché ognuno di noi è un pezzo unico nel puzzle della creazione ed io mi sento una gran voglia di “incastrarmi” in quest’opera meravigliosa.

Alessandro

Sono due occhi e un volto a salvarti.

Gli occhi che hanno salvato me sono neri, hanno la dolcezza profonda di un velluto, e ridono, buoni e mansueti. Ridono come non ho mai visto ridere nessuno, né niente. Hanno la luce di una fiducia che straripa, e brillano di una gioia che rapisce e incanta. E che commuove.

Ad Assisi la Grazia si è rivelata a me come in un colpo di fulmine, negli occhi una ragazza emiliana.

Mi hanno accolta, smarrita – io ero morta, e non lo sapevo – al mio arrivo, nei corridoi della Domus. Eravamo cinque in camera, ma lei era stata messa lì per me. Aveva un dono per me, lei era una Parola di Dio per me: è stato chiaro dal primo istante, e lo ha confermato solo l’ultimo giorno, raccontandomi nel sorriso, un attimo prima di salutarci, la storia dell’Amore che dalla morte l’aveva portata alla vita. Intanto, era stato l’Amore stesso a prendermi per mano, e a mostrarmi la gabbia – la tomba – dentro la quale mi ero rinchiusa da sola. E l’Amore ha iniziato a tirare fuori anche me.

Perché di Amore si tratta, sempre, e l’Amore – che è il nome che Dio vuole per sé – lo sapeva che nessun altro linguaggio io avrei compreso, e quindi con l’amore mi ha incantata per portarmi alla vita. È stato un amore a parlarmi di Assisi. Un amore piccolo, umano e sbagliato, dal quale mi ero lasciata fare un male enorme: gliel’ho permesso io, di trattarmi come se fossi niente, perché io niente credevo di essere. Eppure – che fantasia che ha il Signore – è stato quell’amore a senso unico a mettere in me la curiosità di Lui. Tante e tante volte, da sempre, l’annuncio di questo Amore grande aveva cercato ogni strada per raggiungermi, io lo vedevo, ma sempre gli ero sfuggita, perché pretendevo caparbia di potercela fare da me, di salvarmi da sola. E nessuno si salva da solo. Il Signore ha cercato di dirmelo in ogni modo: alla fine me lo ha fatto dire da un uomo che io amavo, non riamata. E allora, per amore, ho creduto. Lui mi ha lasciata, ovviamente – è la storia più vecchia del mondo – ma non è per la delusione che ho cercato aiuto in Assisi, non era il miracolo che volevo: ero sola, sì, ma il seme di questa curiosità si era scavato un posto nel buio in cui annaspavo, e pur credendomi pazza ho deciso di partire per quel posto dove l’uomo al quale elemosinavo un amore che non voleva darmi diceva di volermi portare. Non mi ci ha portata: mi ha portata in vacanza, e mi ha lasciata lì. Di punto in bianco, come Teseo con Arianna. Con le ossa rotte e il cuore a pezzi, ho però seguito la strada che diceva di voler dividere con me, e ora so che lui era la persona sbagliata, ma questa era la strada giusta. E sono così felice di aver preso questa gigantesca batosta, è stata la mia fortuna.

Ero persa, mi ero persa: ero in alto mare e stavo per affogare. Mi tremavano perfino gli occhi, mi tremava la voce, non riuscivo a sostenere la vita, non volevo farlo, mi nascondevo anche a me stessa, murandomi viva dentro una tomba. Al buio, e ferma, da mesi: non lavoravo più, non uscivo più, non volevo nessuno, né niente. Non so cosa stessi aspettando, forse che la morte passasse a prendermi, confermandomi finalmente che io a niente servivo. Ora so che un nemico, dentro, mi stava consumando le ossa. Banchettava di me. Non stavo vivendo, avevo abdicato alla regalità che appartiene a ciascuno perché ognuno è figlio di Re: avevo rinunciato alla mia eredità, convinta di non meritarla, e mi ero rinchiusa, letteralmente, da viva in una bara. Fuori la vita, fuori ogni tentativo, fuori tutti. La prigioniera ero io. E anche l’aguzzino.

Ho chiesto amore dove non c’era, ho mendicato vita a chi non voleva darmene, ho sepolto i miei talenti e la mia bellezza vivendo da esule, bestemmiando le benedizioni che io ho. Avevo bisogno di una sveglia potente, e l’ho avuta: appena arrivata al corso, la prima Parola annunciata, parlava di me. Mi ha accolta il Vangelo della Samaritana: una donna sfiduciata e persa, oppressa dal peso di aver fallito nell’amore, e quindi nella vita. Una donna che si nasconde, per vergogna e per tristezza. È il Signore della Vita a cercarla, cerca proprio lei, esce di strada per trovarla, fa un giro assurdo, in un tempo sbagliato, con la scusa non credibile di cercare acqua nel deserto, Lui che è il padrone dell’acqua viva. Lo stupore commosso e grato della straniera toccata dalla grazia e dalla speranza è stato il mio. Mai ho pianto tanto, e mai ho riso tanto, come durante i cinque giorni del corso Vocazionale. Ogni cosa, ora lo so, era stata pensata per me. Tutto ciò che era stato storto nella mia vita, e incompleto, e insufficiente, è stato ordinato perché da quel ceppo morto tornasse a nascere la vita. Ogni deviazione è diventata strada maestra, ogni ferita un’occasione: Lui non ha bisogno di fare nuove cose, preferisce fare nuove tutte le cose.

 

E no, nessuna magia è successa: nessuno pensi che con un passaggio in Porziuncola si possano trovare d’incanto le cose che mancano nelle vite di ognuno. Non ci sono contratti a tempo indeterminato tra quelle mura, né mariti, né mogli, né case, né posti fissi, né figli, né pane, né lauree: perché trovare quello che è in nostro potere trovare spetta a noi e al nostro impegno.
Ora sono in cammino, non posso nemmeno dire di aver imparato ad amarmi la metà di quanto Lui mi ama, né di aver messo ordine in tutti i casini che ho nella testa e nel cuore, ma finalmente so che se anche anche cadessi cento volte – e cadrò – il sorriso benevolo di un Padre mi tenderà la mano perché io torni a stare dritta sulle mie gambe. E a correre, perché se posso, devo farlo. In quei pochi metri quadrati di pietra c’è il Perdono, e c’è la strada verso la Vita. C’è davvero.

 

Amelia

Sono arrivata al corso vocazionale di San Francesco senza avere idea di quello che avremmo fatto, era la mia prima esperienza con i frati. Sapevo solo di essere lì perché volevo fare chiarezza riguardo a ciò che desideravo dalla mia vita, sicura quasi al 100% che il corso non avrebbe fatto altro che confermare e rafforzare i sogni che già avevo e che speravo avrebbero, una volta realizzati, tappato quella sensazione di vuoto che da anni sentivo nel cuore. Ogni volta che la mia vita frenetica si fermava per un attimo mi chiudevo nella tristezza, mi sembrava di star sprecando il mio tempo, come se mi mancasse qualcosa di essenziale al quale però non riuscivo a dare un nome. Il primo giorno di corso lo passai cercando di conoscere gli altri ragazzi e tentando di non farmi demoralizzare dall’ambiente sconosciuto, ero anche piuttosto tranquilla: dato che vengo da una famiglia cristiana credevo di sapere già tutto il necessario su Dio e sulla fede. Superbamente pensavo di avere già la verità in tasca e non credetti a Padre Francesco quando ci disse di fare tesoro dell’esperienza che stavamo per vivere, di non sprecarla, perché per molte persone passate di lì la vita si può dividere in prima e dopo il vocazionale, in prima e dopo l’incontro con Dio. Ma che voleva che succedesse? pensavo. Io Dio già lo conoscevo. E invece non era così. Il secondo giorno fu terribile, i frati hanno la capacità di mostrarti e, se ancora non capisci, sbatterti in faccia, verità che ti pugnalano con la loro semplicità e chiarezza e che ti rendono consapevole della cecità in cui stai vivendo. Mi sentivo ribaltata dentro fuori, misi tutto in discussione,mi sembrava di aver sempre riposto fiducia in un credo che in realtà non mi apparteneva per nulla questo perché quel giorno mi fu detto “Dio ti ama, tu sei prezioso per lui”. Non che fosse la prima volta che sentivo quelle parole, ma la verità era che non ci avevo mai creduto. Io quell’amore forte non l’avevo mai sentito, invece i frati e le suore ce ne parlavano come se fosse una cosa vera, percepibile. Quel giorno scoprii che forse Dio non lo conoscevo proprio così bene come sostenevo, anzi compresi di non aver capito nulla del suo messaggio, da un lato desideravo imparare a conoscerlo, dall’altro ero spaventata dall’idea di dover iniziare da zero un nuovo cammino di fede, sentivo che se avessi scelto di approfondire la mia relazione con il Signore sarei poi andata fino in fondo e la mia pigrizia si ribellava, pareva dirmi “Tieni la testa bassa e torna alla vita di prima, è meglio così, è più semplice”. Per fortuna Dio non ha rinunciato a me nonostante la mia testa dura. Il sentir ripetere l’annuncio di amore di Cristo mi faceva bene, sapeva di speranza; finalmente, catechesi dopo catechesi, silenzio dopo silenzio, iniziai ad intravedere un barlume di quello che cercavo. Ancora però ero legata a quello che ero prima, a quei vizi con i quali avevo cercato, invano, di chiudere il vuoto che sentivo. Fu solo grazie al sacramento della riconciliazione che riuscii a lasciar andare tutte le mie debolezze e i miei errori, questo solo dopo averli riconosciuti come tali. Da troppo ormai scusavo a me stessa ogni cosa, tentando di tenere la coscienza apposto. Durante quella confessione dissi a Dio tutto, tutto, tutto, come non avevo mai fatto prima, non volevo più quella roba dentro di me. Certo non fu senza dolore, ma provai un dolore buono, liberante. Il Signore pareva dirmi “Ok, ora si riparte insieme”.

‘Ecco, il seminatore uscì a seminare’ (Mt 13,3) ‘Una parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono’ (Mt 13,7)

Dio mi aveva estratto una dopo l’altra tutte quelle spine che dentro di me lo soffocavano e che io avevo, fino a quel momento, fatto crescere con cura. Piano piano, nei giorni seguenti, grazie anche al confronto con molte persone meravigliose, mi accorsi che più accettavo di lasciare spazio a Dio dentro il mio cuore, di lasciarmi coinvolgere dalle sue parole di amore donato invece che restarvi indifferente, più quel vuoto che per anni mi aveva assorbita spariva e al suo posto il sorriso sulle mie labbra cresceva. Capii anche che non solo fino a quel momento avevo rifiutato l’amore di Dio, ma che questo atteggiamento mi aveva portato a rifiutare anche l’amore delle persone a me più vicine. Senza mai chiedere aiuto a nessuno e convinta di essere forte abbastanza, mi stavo annullando. Il Signore invece mi voleva guarire e lo faceva anche attraverso lo sguardo del Cristo del crocifisso di San Damiano che spesso avevamo di fronte. Non potevo fare a meno di guardarlo e quando percepivo ancora pigrizia e angoscia osservavo quegli occhi dolci, di una dolcezza ancora tutta da scoprire e scordavo le mie incertezze. Un altro dono grande che Dio mi ha fatto è stato darmi la capacità di portare a casa ciò che avevo scoperto ad  Assisi, alla fine del corso ero terrorizzata dall’idea che una volta a casa avrei scordato tutto, non avrei sentito più niente, che il vuoto mi avrebbe ripresa; ma non è stato così, Gesù mi sta accompagnando passo dopo passo alla riscoperta di un Dio donato e alla scoperta del progetto d’amore che ha preparato per me, c’è ancora una strada lunghissima da percorrere, ma si cammina nella gioia!

Michela

Carissimi fratelli e sorelle, sono sr. Rosa Maria Chiara. Insieme alle mie sorelle del Monastero Santa Chiara di Paganica, un paesino alle falde del Gran Sasso nella provincia di L’aquila, vi portiamo l’augurio di San Francesco e Santa Chiara: il Signore vi dia pace!

Mi è stata chiesta una testimonianza e sono ben felice di parlarvi della fedeltà di Dio, del Suo amore misericordioso, comprendendo che quanto Egli ha pensato per me da sempre, lo ha realizzato nell’oggi della mia vita, in questo essere figlia di Santa Chiara. Come molti di voi, anche io studiavo, avevo un fidanzato, facevo sport. Tutto nella mia vita procedeva con quella normalità del “così fan tutti”; avevo tutto, o meglio, pensavo di avere tutto. Eppure il mio cuore era inquieto, cos’era che mancava? Il Signore si servì proprio di questo ragazzo per propormi di conoscerlo più a fondo attraverso gli studi teologici: questa fu la prima chiamata.

Andavo scoprendo il volto di un Dio fino ad allora sconosciuto e mi andavo sempre più innamorando della Sua bellezza. “Com’è possibile – mi dicevo – Dio ci ama a tal punto da morire in croce per noi!”.

Il mio cuore e i miei occhi si andavano trasformando: guardavo questa mia storia d’amore e la scoprivo così povera, perché senza Dio. Provavo a coinvolgere il mio ragazzo, ma Dio era per lui un intruso, anzi un antagonista, che lo minacciava perché io stavo cambiando. Comprendevo che questa vita, preziosa perché dono di Dio, era una sola, un’altra possibilità non ci sarebbe stata; e in questa vita, Dio ci chiama a ricevere il suo amore, e a spenderla per Lui. E poi tanta gratuità di Dio allargava il mio cuore e cullavo il desiderio di potermi spendere per i miei fratelli, andare in missione.

Decisi di lasciare questo ragazzo, perché con lui non potevo condividere tutto questo: Dio non era al primo posto. Conobbi i frati, e questo fu un altro incontro importante, perché attraverso loro incontrai San Francesco. Li guardavo, mi dicevo: “Questi sono sempre contenti, ma perché? Com’è possibile essere attratti tanto da Dio da lasciare tutto, farsi poveri per seguirlo?” Questo mistero era tanto affascinante, ma anche tremendo.

Con i frati ho imparato a pregare le lodi e i vespri, preghiera che mi metteva in comunione con Dio. Lasciavo lo studio per questo appuntamento con Dio tanto atteso e desiderato. Fu proprio durante questa preghiera, che il Signore rompeva i miei schemi sicuri, di essere sposa di un uomo, madre di qualche figlio e missionaria in qualche terra.

Cosa vuoi che faccia, Signore? Qual è questo progetto che tu hai pensato per me da sempre? Ho paura che tu mi possa chiedere quello che non conosco, ma ho fiducia, voglio abbandonarmi, perché sei tu il regista della mia vita, il Tuo amore mi guidi”.

Cominciai a pregare sempre di più, e nel mio cuore inquieto c’era una preghiera che risuonava continua: mostrami Signore la tua via.

In questo periodo, i frati mi invitarono ad Assisi per accompagnare degli adolescenti ad un corso e fu lì, durante il sacramento della riconciliazione, che il Signore purificò il mio sguardo e il mio cuore per vedere il suo progetto: “Segui me, percorri la stessa via tracciata da Chiara d’Assisi, lascia tutto, sii povera e ti farò ricca di me, dammi tutto il tuo cuore, il tuo corpo, e realizzerò io il progetto che ho su di te. Ti farò mia sposa, ti farò madre di una moltitudine di genti e ti manderò per il mondo intero, per mezzo dello strumento povero della preghiera. Sarò io stesso mani che accarezzano, sollevano, curano, gambe che camminano per annunciare il Vangelo. Tu sii cuore che pulsa d’amore per dare vita all’intero corpo che è la Chiesa”.

In Porziuncola, dopo aver abbandonato ogni resistenza, ho pronunciato il mio sì al Suo progetto. “Sì, sono piccola, è vero, ma questa non è opera mia, è opera Tua, Tu compirai in me questa promessa. Voglio amarti come Chiara, darti tutto, con cuore povero e libero”.

Per quel piccolo sì che la sua stessa grazia pronunciò in me, il Signore inondò il mio cuore di tanta gioia e tanta pace che compresi perché Francesco veniva chiamato pazzo: solo i pazzi, coloro che escono fuori schema, possono seguire Dio. Con la Parola, che confermava i miei passi, l’Eucarestia che nutriva il mio cammino e rendeva sempre più vero l’incontro con Gesù, il confronto con il Padre spirituale, il Signore mi donò la fraternità, le mie sorelle di Paganica, a condividere con loro il progetto di amarlo.

Non sono mai stata così libera come in clausura, perché davvero la preghiera è l’anima del mondo, che si irradia a partire dal piccolo chiostro del monastero.

Come in Maria, il Signore moltiplica la vita dentro e intorno a noi, in quanti si accostano alla grata, ed è incontro profondo con le persone, le loro storie, le loro sofferenze, e quando andiamo in coro, sia l’alba o il cuore della notte, le sorelle povere innalzano il loro canto: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le chiese del mondo, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Ti presentiamo Signore le gioie e le sofferenze di ogni uomo; benedici, salva tutti, e accogli il desiderio di felicità che grida nel cuore di ogni uomo, perché quando l’uomo vuole essere felice, è Te, Signore, che sta cercando.

La nostra avventura di clarisse a Paganica è stata attraversata dal violento terremoto del 6 aprile 2009 che con la distruzione della città dell’Aquila ha distrutto anche il nostro Monastero. Nel crollo è morta la nostra cara Madre Maria Gemma. La sua vita è stata come il chicco di grano che caduto in terra muore per portare molto frutto. Noi siamo rimaste miracolosamente vive.

Nella perdita di ogni cosa siamo entrate nel cuore del nostro essere Sorelle Povere perché le uniche cosa che ci sono rimaste sono state quelle  più preziose: Dio, la nostra sola ricchezza, la fraternità e l’aiuto dei fratelli che si sono fatti e si fanno mani e cuore della Provvidenza di Dio che si prende cura di noi ogni giorno. Il Signore ci ha preparato una casa dono di una raccolta pubblica fatta da tanti, nel piccolo Monastero di legno dove ancora attualmente viviamo in attesa di rientrare in Monastero a conclusione dei lavori di ricostruzione. Qui continuiamo a innalzare la nostra preghiera per tutti, ad accogliere quanti bussano alla porta del Monastero in cerca di silenzio e di ascolto e a costruire, insieme con Cristo, la speranza.

A voi tutti  buon cammino! Siate certi che la nostra preghiera accompagna fin d’ora i vostri passi, i vostri sogni di felicità, Il vostro desiderio di amore, perché possiate comprendere che il solo che può realizzare le vostre aspirazioni più profonde è Cristo, Signore nostro.

 

Ciao cari fratelli, guardate le stelle, le stiamo guardando anche noi.

Puntate in alto, puntate in Dio, lì ci ritroviamo.

San Francesco e Santa Chiara vi benedicano!

 

Sr. Rosa Maria Chiara

clarissa

“Questo è il luogo che Dio ha scelto per te, questo è il tempo pensato per te”, sono le parole del canto che mi ha accompagnato durante il corso vocazionale, parole che riprendono un po’ il vangelo di Giovanni quando Gesù dice “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16) … ecco, è esattamente questo che mi ha fatto sperimentare il Signore durante quei giorni di grazia ad Assisi. Come un innamorato fa la prima mossa e anticipa la sua amata, così Gesù, nella sua infinita Misericordia, mi aveva già scelta e invitata proprio lì, in quel luogo e in quel tempo, per incontrarmi e parlare al mio cuore, e il mio semplice, forse anche incosciente ma sicuramente ispirato, “SI” è stato l’inizio della mia “resurrezione”.

“QUESTO è IL LUOGO”, “QUESTO E IL TEMPO”: Sono arrivata ad Assisi, su consiglio del mio fidanzato, con il cuore appesantito e “frantumato” che da tanto desiderava trovare un luogo lontano dalla quotidianità e un tempo  da poter dedicare solo e soltanto all’ascolto del Signore… “QUESTO É IL SOGNO CHE HA FATTO SU TE”: ecco, il mio cuore da tempo aveva anche smesso di sognare e di credere nel Dio dell’impossibile, si era ormai accontentato della mediocrità, arreso di fronte ai miei limiti e non credeva più che il Signore potesse aver preparato “grandi cose” per me e che fosse suo desiderio, pima ancora che mio, donarmi una vita piena e abbondante.

Portavo nel cuore tante domande e desideri, tra tutti quello di comprendere il progetto di Dio nella mia vita e quel “Signore cosa vuoi che io faccia?” di San Francesco risuonava forte dentro di me, ma ancora più forte risuonava la risposta di Gesù: “Francesco –Fiorenza- va e ripara la mia casa, che come vedi è tutta in rovina.”

Era chiaro per me che il Signore mi chiedesse innanzitutto di partire dal mio cuore, la sua “casa”, che in quel momento “era tutta in rovina”. A conferma di questo i frati non facevano altro che sottolineare che il punto di partenza per la realizzazione della vocazione è “FARE CENTRO NELLA PROPRIA IDENTITA’”, motivo per cui mi ero rassegnata al fatto che fosse arrivato il momento di affrontare questo capitolo… Niente di più complicato per una come me che cercava in tutti i modi di non andare in profondità per paura di guardare a sé stessa…!

Il più grande dei macigni che appesantivano il mio cuore era infatti “il mio io”, la mia identità. Ero affetta da una profonda disistima che unita ai tanti complessi di inferiorità e sommata agli ultimi “fallimenti” nel lavoro, mi accecava completamente… Ma i soccorsi non hanno tardato ad arrivare: la Parola di Dio che è stata meravigliosamente annunciata e sviscerata dai frati, ha finalmente aperto e portato luce nelle stanze più buie del mio cuore.

Quanta potenza è racchiusa nella Parola di Dio che illumina, libera, consola, guarisce e fa nuove tutte le cose!

Così, come la samaritana al pozzo, anch’io mi sono lasciata incontrare da Gesù in quello che era uno dei momenti meno belli della mia vita e mi sono lasciata dissetare e guarire dalla sua Acqua Viva che ha riportato pace, gioia e speranza nel mio cuore.

Il primo frutto del corso è stato il riconciliarmi con me stessa: ho imparato e iniziato ad amarmi! Questo mi ha permesso di guardare alla mia vita con occhi diversi e di benedire il Signore per la mia storia, per i miei pregi e difetti, successi e fallimenti e soprattutto per la crisi che stavo vivendo perché era stata l’occasione per riprendere il cammino.

Ho scoperto poi che “Dio è alleato dei miei sogni” e con rinnovata fiducia nella sua bontà e fedeltà ho imparato a credere nel progetto grande che Lui ha per me e che va ben oltre i miei pensieri e le mie possibilità umane!

Ho ricevuto tantissimo in soli 6 giorni di corso vocazionale, ad ogni insegnamento la Parola di Dio mi stupiva con qualcosa di nuovo, mi leggeva dentro e intanto operava in me… ma sono certa che “il meglio deve ancora venire!”

Sono tornata a casa da “risorta”, come il Gesù del crocifisso di San Damiano, dritta e in piedi e non più ripiegata su me stessa, con occhi nuovi e benedicenti e soprattutto con un cuore nuovo, “riparato” e libero, che, come la samaritana, desidera “ANDARE E ANNUNCIARE CHE IN DIO TUTTO E POSSIBILE E CHE NULLA CI PUO VINCERE, PERCHE HO UDITO LE SUE PAROLE, PERCHE HO VEDUTO LA MIA VITA CAMBIARE, PERCHE’ HO VISTO L’AMORE VINCERE, SI HO VISTO L’AMORE VINCERE!!!” (Dal canto “Tutto è possibile” – Nuovi Orizzonti)

Fiorenza

Ero confuso ed è arrivato l’Amore, ero stanco ed è arrivato l’Amore, ero assetato ed è arrivato l’Amore. Cercavo un dove, cercavo una strada e sono stato preso per mano dall’Amore.

Il corso vocazionale è stato lasciarmi indicare chi è davvero Dio. Al corso vocazionale le mie idee, le mie formalità, le mie paure hanno ceduto, la mia sete è stata saziata, come dice Gesù alla Samaritana: “…chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv4, 13-14).
Dal corso vocazionale tutto è cambiato; la forma, l’apparenza, ciò che gli altri pensano, non è più determinante; quello che conta per me è l’Amore. L’Amore si è riacceso e ha dato vita a tutto, nella quotidianità, nelle difficoltà, nella sofferenza, nel servizio, passo dopo passo e sbaglio dopo sbaglio; il mio cuore è ricolmo di amore, batte per la vita.
Dal corso vocazionale le mie giornate sono sempre le stesse, ma il centro è tornato al suo posto; ogni azione, ogni relazione, ha acquistato il suo valore più profondo, perché mi sono riscoperto figlio amato, atteso, pensato, di un Padre che ama follemente; che sempre mi chiama e sempre mi aspetta, che soffre ogni volta che mi allontano da lui, ma sempre è pronto ad accogliermi e ripartire da capo. Non un padre fiscale, non un padre che vuole chissà cosa da me, ma un Padre che mi ama così come sono! E mi chiede solo di essere riconosciuto come Padre, Colui che mi ha dato la vita! Soffre, perché io senza Lui non ho vita, mi perdo in piccolezze, in banalità, mi accontento e non vivo; Lui è la vita, la pienezza, il respiro; è in Lui che tutto prende senso, è in Lui soltanto che io posso vivere!
Allora mi sono risuonate le parole di San Francesco: “Non più figlio di Pietro Di Bernardone ma Padre nostro che sei nei cieli!”, che libertà che gioia nel dire queste parole! Sono finalmente io.
Questo nella mia vita di tutti i giorni si è riversato e si riversa in ogni ambito. Prima vivevo il fidanzamento in secondo piano rispetto al servizio ai poveri, invece adesso lo vivo e voglio viverlo appieno, perché lì passerà la mia risposta a questo Amore. Nell’ultimo periodo il servizio che svolgo all’interno di una struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII, era vuoto e molto stancante, mentre ora nasce tutto da un Amore più grande di Dio per me, che mi nutre e che spero di trasmettere servendo; anche la fraternità e l’amicizia si sono rinnovate, vivendole con meno possesso e più verità.
Insomma esteriormente magari è cambiato poco, i numeri e gli impegni sono più o meno gli stessi, ma dentro è cambiato tutto, tutto ha preso vita. Credo che ogni giovane dovrebbe avere la possibilità di vivere il corso vocazionale, ogni giovane dovrebbe darsi questa opportunità; spero di essere sempre più strumento e tramite perché tutti possano abbracciare questo Amore sconfinato.

Tobia