Giovani e missioni: tra aspettative e realtà

“ sarò nel posto giusto?”

“ avrò veramente capito il significato di missione?” “ non conosco nessuno, farò amicizia?”
Queste sono solo alcune delle domande che mi sono posta non appena ho premuto il tasto invia del mio messaggio di conferma della mia partecipazione al corso giovani e missione.
Sono Giulia e ho sempre desiderato partire per una missione, ho sempre sognato l’Africa e ho sempre sentito dentro di me una grande energia ogniqualvolta si parlasse di tutto ciò. Sono venuta a conoscenza di questa opportunità tramite alcuni amici che lo avevano frequentato qualche anno fa. Ho iniziato questo corso un freddo Venerdì di Novembre, dopo le prime presentazioni ci è stato chiesto quali fossero le nostre aspettative relative al corso.
Ero abbastanza agitata, spaventata di non essere all’altezza e di aspettarmi cose diverse dagli altri. Ti svelo un segreto: RILASSATI, non esistono aspettative sbagliate o giuste, non esistono risposte corrette e risposte errate, esistono semplicemente le TUE aspettative e soprattutto, nessuno ti giudica.

Questo corso è un viaggio dentro di te che ti permette semplicemente di capire se partire è la tua strada,
se il tuo grande desiderio può portare frutto buono. Durante questi fine settimana ho potuto sperimentare l’amicizia, la condivisione e l’ascolto. Ho potuto in più occasioni dialogare con persone che hanno fatto scelte di vita completamente opposte alle mie, confrontarsi è stato bellissimo e molto arricchente. Inoltre questo corso mi ha permesso di far crescere il mio rapporto con Lui. Nella frenesia della vita quotidiana è raro che io riesca a trovar molto tempo da dedicare a Dio.
Alla fine del ciclo di incontri, dopo essersi confrontati, i frati consegnano ai partecipanti al corso un mandato. Per quanto riguarda la mia esperienza posso dire che è stato il primo momento reale in cui ho sentito concretizzarsi qualcosa che prima era solo un sogno, un’ ipotesi, insomma qualcosa di lontano da me. In quel momento guardi i tuoi compagni di corso, di avventura e puoi leggere nei loro occhi la tua stessa agitazione, le tue stesse speranze, i tuoi stessi pensieri. Io sono stata “ affidata” alla missione in Uganda. Fino a quel giorno non sapevo quasi nulla di questa terra meravigliosa e ora, a distanza di qualche mese posso dire che è diventato uno dei miei posti del cuore.

Un grazie speciale ai frati che hanno saputo gestire questo corso in maniera meravigliosa, un grazie ad Adriana che è stata una nonna, una cuoca ed una roccia. ( che poi e diciamocelo, pizze buone come le sue difficilmente se ne trovano.. per non parlare delle zuppe calde che di inverno scaldano corpo e mente)

Un ringraziamento anche ai miei compagni di avventura e soprattutto a Chiara: mia compagna di missione in Uganda.
Il ringraziamento più grande però va a Lui, senza il quale nulla sarebbe possibile.

Giulia.

“Il Figlio di Dio si è fatto nostra Via e questa,

con la parola e l’esempio,

ci mostrò e indicò il nostro beato padre Francesco”

santa Chiara d’Assisi

Da qualche mese è online il nuovo sito internet ufficiale della Federazione S.Chiara dei Monasteri delle Clarisse di Umbria, Sardegna e Trentino. La Federazione comprende in realtà altri monasteri sparsi in Italia e all’estero: Attimis in Friuli, Firenze e Lucca in Toscana, Scigliano in Calabria, Cademario in Svizzera, Gerusalemme in Terra Santa.

In particolar modo vi segnaliamo la sezione con le iniziative per GIOVANI dove è possibile trovare date per Ritiri, incontri, momenti di preghiera…

 

 

 

Hic. Qui. Quante volte rimbomba questa parola in Terra Santa: in ogni luogo a ricordarci qualche grande avvenimento e farci scoprire una parte di noi. Hic, qui, il Signore ha fatto qualcosa per me. Hic, qui, il Signore ha compiuto qualcosa dentro me.

Un pellegrinaggio, si sa, è metafora della vita. Ci si mette in cammino perché è un’esperienza che coinvolge tutto di te, magari in cerca di risposte a qualcosa che si sta vivendo, magari per imparare qualcosa, uscire da sé stessi ed entrare in qualcosa di più grande. Il mio cammino personale era cominciato un po’ di tempo prima, in cerca di risposte a qualche tempesta improvvisa che in breve tempo aveva devastato tutte le mie sicurezze, tutte le mie certezze che credevo di essermi costruito negli anni, lasciandomi deluso dalla vita, dagli affetti, dall’amore, dalla famiglia. Una serie di avvenimenti che mi avevano lasciato in eredità un cuore di pietra, freddo, insensibile, apatico. Ma per mia fortuna non ho mai smesso di interrogare il Signore di tutte quelle croci che mi sembravano così ingiuste e così, di fronte alle difficoltà, mi ha detto di ripartire verso le profondità… ecco che è arrivata, come un dono grande, la proposta della Terra Santa.

Sentivo dire dai frati che si va in Terra Santa per ricevere un cuore di carne, cioè imparare ad amare come Lui ci ama. Chiedevano: ma tu il cuore di carne lo vuoi veramente o stai comodo col tuo cuore di pietra? Ero davvero sfiduciato e, forse, spaventato… Eppure, sentivo forte dentro di me il desiderio di partire. Come se Dio mi stesse chiamando là, per fare verità, là forse avrei trovato qualche spiegazione; come se le mille tempeste che erano arrivate all’improvviso nella mia vita dovessero condurmi là, per vedere di persona tutto ciò che Dio aveva fatto e preparato per me.

Sono salito a Gerusalemme per poter entrare nel Suo Santo Sepolcro, toccare il fondo e uscirne rinato. Per concludere questo percorso nelle profondità di me stesso. Sono arrivato a Gerusalemme, dopo la mia piccola Via Dolorosa, per risorgere, per crescere. Sono andato là per tornare a credere nell’amore. Per tornare non più frammentato, non più insipido. Sono andato là intenzionato ad offrirgli quel mio cuore ferito, indurito, spaventato. Per chiedergli di accoglierlo e donarmene uno di carne, pulsante, pur con le cicatrici. Sono salito a Gerusalemme per rendere grazie al Signore per essersi inventato ogni modo per condurmi a Lui e per la vita nuova che già mi dona.

Prima di partire avevo paura di non essere pronto a un viaggio di questa portata, paura che non sarei stato in grado di provare abbastanza emozioni, di cogliere tutto. Che ci vuoi fare, la mia mente vorrebbe sempre calcolare tutto, poverina… Non è ancora abituata al fatto che Dio non fa mancare nulla.

E infatti là il Signore mi ha fatto sperimentare mille emozioni, tutte quelle che l’uomo è in grado di provare nella sua umanità e spiritualità. Là ha stimolato ogni mio senso, ogni mia capacità di venire a contatto con il mondo esterno e con il mio mondo interno. Mille colori, mille profumi, mille sguardi, sorrisi, volti. Culture e costumi diversi, etnie diverse, fedi, età, storie diverse. Ma la stessa terra, la stessa umanità. La stessa ricerca di un qualcosa di alto, di potente, di totalizzante. Mille contraddizioni, mille conflitti, mille tensioni. Eppure una bellezza misteriosa avvolge quel fazzoletto di terra e la città di Gerusalemme. Il suo fascino assale completamente: veramente santa è quella città. Un crogiolo di anime riunite al centro del mondo. Ti rendi conto di quanto sia vasto il mondo e la cosa meravigliosa è che ne fai parte anche tu, io! In quella realtà complessa e affascinante ogni posto ha qualcosa di speciale. Abbiamo un Dio che ci vizia alla bellezza, alla grandezza. Viene la tentazione di rimanere lì, a contemplare quei luoghi santi, di non discendere più, come gli apostoli sul Tabor, stupefatti di cotanta bellezza. Tutto profuma di Dio. Il paesaggio trasuda immensità. E ti senti amato nella tua piccolezza. Come rimanere indifferenti, ad esempio, a Nazareth, dove tutto ha avuto inizio? Di fronte alla casa di Maria, il posto in cui Dio, grazie al Sì di una ragazzina, ha deciso di entrare nella storia dell’uomo e farne una storia di salvezza? Che mistero, che umiltà, che potenza. Come rimanere impassibili nel deserto, luogo non di solitudine, ma di compagnia perfetta, intima con Dio, dove ci parla diretto al cuore? E poi Betlemme, da cui Dio accorcia definitivamente le distanze dall’uomo. Noi che ci emozioniamo davanti alle case natali dei personaggi illustri, come non emozionarsi davanti al luogo natio della persona che più ci ha amato al mondo donandoci la sua vita? Come non sentire i battiti a mille in quella grotta? E proprio da lì, a Betlemme, in Palestina, nel posto a me più inimmaginabile, mi è capitato anche di dover fare un colloquio via Skype (e essere preso!) per un posto di lavoro che tanto sognavo. Come non sentirsi inondato di gratitudine il cuore? Le parole non bastano a descrivere la grazia di quei luoghi.

Ma il luogo che più mi rimane nel cuore, il mio santuario, è il Lago di Tiberiade (Lc 5, 1-11). Sono rimasto affascinato dalla figura di Pietro, uomo del fallimento. Proprio nel momento del suo fallimento entra Gesù: non lo consola dopo la pesca andata male, ma dice di riprovare, di gettare nuovamente le reti. Non obbedire ai tuoi fallimenti, obbedisci alla proposta di Dio. Nelle delusioni, nelle debolezze, non disperare: Dio è alla riva che ti aspetta. Rimane certo la fatica, ma nel cuore non c’è più l’amarezza. Gesù non ti chiede di fare cose che non sai fare, di cui non sei capace. Ti chiede solo di farle con la consapevolezza, d’ora in poi, che Lui è con te. Quelle tempeste non le ha mandate a caso. Povero e ingenuo me, quando volevo capire nel frastuono. Mi ha fatto fallire per avvicinarmi a Lui, come ha fatto con Pietro; ha fatto in modo che in me si creasse una spaccatura per entrare nel mio cuore e donarmi una gioia nuova, ancor più piena. Allora impari a rileggere la tua vita e a domandarti: a quale amore più grande mi sta chiamando Dio? Dove mi sta chiedendo di gettare nuovamente le reti? L’importante è avere fiducia.

Veramente santo è quel viaggio. Là, in quella Terra, ho veduto l’amore di Dio per l’uomo, per me; ho capito cosa desidera da ogni uomo, quale vuole sia la sua missione verso l’altro. Mi ha fatto vedere che l’amore può vincere, mi ha mostrato che veramente sono amato e che grandi cose in me può fare il Signore. Davvero è stato un viaggio pieno di vita. E la cosa buffa è che tutto ruota intorno a un sepolcro, una tomba. Vuota! Sconvolgente. Arrivi nel luogo culmine di tutta la religione cristiana, al Suo Sepolcro, e nello spaesamento più totale realizzi che veramente il Signore non è più lì. Nel posto in cui più pensi di trovarlo, di sentirlo, Lui non c’è. Cristo è risorto, è veramente risorto! E capisci allora che non si risorge se salti la tua croce: non può esistere Pasqua senza Venerdì Santo. Se hai il coraggio di andare oltre il calvario e di entrare nel tuo sepolcro scoprirai che è vuoto. Non c’è più sconfitta, solo vita. Da quel Sepolcro mi sento rinato, da quel Sepolcro ho dato senso e compimento alle mie croci. E le benedico quelle croci, perché senza di esse la mia conoscenza dell’amore vero sarebbe limitata. Quanto mi hanno fatto crescere quelle croci! E quanto bene hanno fatto alla mia fede. Dal buio più totale di un annetto fa al sorriso gioioso che niente e nessuno riesce a togliermi adesso. Sono entrato a Gerusalemme col desiderio di essere guarito, desideroso di mangiare la mia Pasqua, il mio cambiamento, con il Signore. Credo di esserne uscito dalla porta di chi ha rimparato a credere nell’amore, dopo le ferite e le delusioni familiari e affettive, perché ha veduto l’amore vero.

Ma la parte più difficile, come sempre, è il ritorno al quotidiano, nella mia Galilea. Sono tornato a casa con tante domande, forse più di quante ne avevo prima di partire, e qualche dubbio su cui far discernimento. Troppo amore mi ha confuso le idee. E quando arriva l’amore di Dio ti senti trafiggere il cuore. Come fai a tacere l’amore che ti ha salvato? Dio non cancella mai i tuoi sogni, li amplifica. Finora non ci avevo capito niente.  Spero di riuscire ad emanare la luce propria che scaturisce da chi Lo ha incontrato e che profumi di vita, portando gioia ovunque sia con un sorriso da risorto sulle labbra. Perché questo sono: un risorto in Lui. E getterò nuovamente la rete, fosse anche a destra o nella maniera più assurda che mi indicherà, fiducioso che il raccolto sarà abbondante. Possa essere il mio obiettivo quotidiano quello di far diventare il suolo che calpesto ogni giorno terra santa, perché hic, qui, sia il Vangelo. Affido a Dio la mia giovane vita: che io sappia ascoltare e fare la sua Volontà senza paura. Perché dopo aver sperimentato tanta pienezza non ci si può più fare sconti, non ci si può più accontentare del superfluo e si deve avere il coraggio, quando necessario, di dirsi “tutto qui?” per poi prendere il largo, verso orizzonti più alti. Non mi resta che continuare il cammino e vedere: sarà bello scoprire cosa si è inventato per farmi strumento del Suo amore.

Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. (Sal 136)

Sabino

Sono due occhi e un volto a salvarti.

Gli occhi che hanno salvato me sono neri, hanno la dolcezza profonda di un velluto, e ridono, buoni e mansueti. Ridono come non ho mai visto ridere nessuno, né niente. Hanno la luce di una fiducia che straripa, e brillano di una gioia che rapisce e incanta. E che commuove.

Ad Assisi la Grazia si è rivelata a me come in un colpo di fulmine, negli occhi una ragazza emiliana.

Mi hanno accolta, smarrita – io ero morta, e non lo sapevo – al mio arrivo, nei corridoi della Domus. Eravamo cinque in camera, ma lei era stata messa lì per me. Aveva un dono per me, lei era una Parola di Dio per me: è stato chiaro dal primo istante, e lo ha confermato solo l’ultimo giorno, raccontandomi nel sorriso, un attimo prima di salutarci, la storia dell’Amore che dalla morte l’aveva portata alla vita. Intanto, era stato l’Amore stesso a prendermi per mano, e a mostrarmi la gabbia – la tomba – dentro la quale mi ero rinchiusa da sola. E l’Amore ha iniziato a tirare fuori anche me.

Perché di Amore si tratta, sempre, e l’Amore – che è il nome che Dio vuole per sé – lo sapeva che nessun altro linguaggio io avrei compreso, e quindi con l’amore mi ha incantata per portarmi alla vita. È stato un amore a parlarmi di Assisi. Un amore piccolo, umano e sbagliato, dal quale mi ero lasciata fare un male enorme: gliel’ho permesso io, di trattarmi come se fossi niente, perché io niente credevo di essere. Eppure – che fantasia che ha il Signore – è stato quell’amore a senso unico a mettere in me la curiosità di Lui. Tante e tante volte, da sempre, l’annuncio di questo Amore grande aveva cercato ogni strada per raggiungermi, io lo vedevo, ma sempre gli ero sfuggita, perché pretendevo caparbia di potercela fare da me, di salvarmi da sola. E nessuno si salva da solo. Il Signore ha cercato di dirmelo in ogni modo: alla fine me lo ha fatto dire da un uomo che io amavo, non riamata. E allora, per amore, ho creduto. Lui mi ha lasciata, ovviamente – è la storia più vecchia del mondo – ma non è per la delusione che ho cercato aiuto in Assisi, non era il miracolo che volevo: ero sola, sì, ma il seme di questa curiosità si era scavato un posto nel buio in cui annaspavo, e pur credendomi pazza ho deciso di partire per quel posto dove l’uomo al quale elemosinavo un amore che non voleva darmi diceva di volermi portare. Non mi ci ha portata: mi ha portata in vacanza, e mi ha lasciata lì. Di punto in bianco, come Teseo con Arianna. Con le ossa rotte e il cuore a pezzi, ho però seguito la strada che diceva di voler dividere con me, e ora so che lui era la persona sbagliata, ma questa era la strada giusta. E sono così felice di aver preso questa gigantesca batosta, è stata la mia fortuna.

Ero persa, mi ero persa: ero in alto mare e stavo per affogare. Mi tremavano perfino gli occhi, mi tremava la voce, non riuscivo a sostenere la vita, non volevo farlo, mi nascondevo anche a me stessa, murandomi viva dentro una tomba. Al buio, e ferma, da mesi: non lavoravo più, non uscivo più, non volevo nessuno, né niente. Non so cosa stessi aspettando, forse che la morte passasse a prendermi, confermandomi finalmente che io a niente servivo. Ora so che un nemico, dentro, mi stava consumando le ossa. Banchettava di me. Non stavo vivendo, avevo abdicato alla regalità che appartiene a ciascuno perché ognuno è figlio di Re: avevo rinunciato alla mia eredità, convinta di non meritarla, e mi ero rinchiusa, letteralmente, da viva in una bara. Fuori la vita, fuori ogni tentativo, fuori tutti. La prigioniera ero io. E anche l’aguzzino.

Ho chiesto amore dove non c’era, ho mendicato vita a chi non voleva darmene, ho sepolto i miei talenti e la mia bellezza vivendo da esule, bestemmiando le benedizioni che io ho. Avevo bisogno di una sveglia potente, e l’ho avuta: appena arrivata al corso, la prima Parola annunciata, parlava di me. Mi ha accolta il Vangelo della Samaritana: una donna sfiduciata e persa, oppressa dal peso di aver fallito nell’amore, e quindi nella vita. Una donna che si nasconde, per vergogna e per tristezza. È il Signore della Vita a cercarla, cerca proprio lei, esce di strada per trovarla, fa un giro assurdo, in un tempo sbagliato, con la scusa non credibile di cercare acqua nel deserto, Lui che è il padrone dell’acqua viva. Lo stupore commosso e grato della straniera toccata dalla grazia e dalla speranza è stato il mio. Mai ho pianto tanto, e mai ho riso tanto, come durante i cinque giorni del corso Vocazionale. Ogni cosa, ora lo so, era stata pensata per me. Tutto ciò che era stato storto nella mia vita, e incompleto, e insufficiente, è stato ordinato perché da quel ceppo morto tornasse a nascere la vita. Ogni deviazione è diventata strada maestra, ogni ferita un’occasione: Lui non ha bisogno di fare nuove cose, preferisce fare nuove tutte le cose.

 

E no, nessuna magia è successa: nessuno pensi che con un passaggio in Porziuncola si possano trovare d’incanto le cose che mancano nelle vite di ognuno. Non ci sono contratti a tempo indeterminato tra quelle mura, né mariti, né mogli, né case, né posti fissi, né figli, né pane, né lauree: perché trovare quello che è in nostro potere trovare spetta a noi e al nostro impegno.
Ora sono in cammino, non posso nemmeno dire di aver imparato ad amarmi la metà di quanto Lui mi ama, né di aver messo ordine in tutti i casini che ho nella testa e nel cuore, ma finalmente so che se anche anche cadessi cento volte – e cadrò – il sorriso benevolo di un Padre mi tenderà la mano perché io torni a stare dritta sulle mie gambe. E a correre, perché se posso, devo farlo. In quei pochi metri quadrati di pietra c’è il Perdono, e c’è la strada verso la Vita. C’è davvero.

 

Amelia

Dal sito www.missioniassisi.it , riportiamo l’esperienza di Alessandra, che dopo il corso GIOVANI E MISSIONE, ha vissuto un’esperienza in terra di missione in Uganda

Lo scorso marzo, insieme ad Ilaria, dopo il corso Giovani e Missione, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda, nel progetto francescano di Giorgio e Marta – Ewe Mama: una scuola per bambini disabili ed un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Ricordo ancora il primo giorno di servizio: lingua e cultura differente, poca dimestichezza con il mondo della disabilità, timore e ansia da prestazione alle stelle (caratteristica tipica della nostra società del fare, ma decisamente amplificata nel popolo veneto)!

Poi, la perla di Marta: “L’importante è che voi stiate! Lasciatevi stupire dalla loro bellezza!”

Quanta Verità nelle sue parole! Una scena fra tutte: Timothy, un bambino autistico, che mi indica la porta, urlando, perché aprissi alla sua compagna Elizabeth, rimasta chiusa fuori dall’aula. Lui solo, che nella confusione, si era accorto che la maniglia si stesse muovendo!

Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.

Perché i bambini usano lo stupore. Non complicano le cose, le accolgono così come sono. Sono capaci di andare all’essenziale. E l’essenziale, per questi bambini, sei tu e il tuo stare con loro. Vivono dell’amore che puoi donargli in quel momento. Solo questo conta. Solo questo gli basta. Noi adulti, invece, le cose le abbiamo complicate. Abbiamo perso la capacità di restare umani, di accoglierci nelle nostre fragilità e incoerenze. Abbiamo perso la semplicità del cuore.

E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.

Chi è un ricco? Chi non ha bisogno.

Finché non riprendiamo confidenza con il fatto che noi siamo innanzitutto bisogno, e quindi tutti poveri, allora non potremmo nemmeno accogliere il regno di Dio nella nostra vita.

Ed io per anni mi sono considerata giusta, idealizzandomi davanti a Dio e a me stessa.

Per me, la missione è stata un bagno di umiltà, un entrare nelle ferite più profonde e mai riconciliate, per imparare ad abbracciarle; un accettare di sbagliare e lasciarsi portare sulle spalle dalla Misericordia; un accorgermi di essere donna spirituale e donna carnale, e finalmente dirmi che vado bene così!

L’augurio che mi faccio, quotidianamente da quando sono rientrata, è questo: “Concedimi, o Dio, un cuore lungimirante come quello dei bambini, un cuore capace di scorgere il potenziale di bene, di bello e di vero che gli sta dinnanzi”.

Alessandra

Ciao,

sono Domenico ho 22 anni è sono nato in un quartiere molto conosciuto a Palermo, Brancaccio.

 

Ecco, per chi non lo sapesse, Brancaccio, negli anni 90 era uno dei centri dell’attività mafiosa, dell’epoca. Tra l’altro si dice che è un quartiere con un’alta densità mafiosa.

La mia fortuna è quella di avere una famiglia unità e che mi vuole bene. Una famiglia che non mi ha fatto mancare nulla, dall’amore alle cose materiali, dal cellulare nuovo alle vacanze estive, che mi ha permesso di andare avanti con gli studi.

Tutto quello che un ragazzo possa desiderare io l’avevo e sicuramente non mi potevo lamentare, ma mancava qualcosa..

Rileggendo tutto  all’indietro  quello che facevo era soltanto per scappare!

Scappare da quel quartiere che mi aveva dato la vita e che mi vedeva crescere, ma che io non conoscevo, che avevo quasi “paura” di conoscere fino in fondo, e che nemmeno avevo bisogno di conoscere, visto che avevo già tanto.

Tra le tante cose che i miei genitori  mi hanno trasmesso c’è anche la “fede”.

Qualcosa cambia quando un giorno fui invitato ad un incontro in parrocchia,  quella sera mi fu lanciata una parola: CAMMINARE..

Camminare sulle strade di quel quartiere che allontanavo dalla mia vita, perché con me non c’entrava niente. Quel quartiere che mi aveva visto nascere, ma di cui io non volevo essere figlio.

Beh, questa parola mi sconvolse, provai a lasciarla perdere ma tornava sempre. Allora decisi di provarla a  mettere in pratica, come?

Grazie ad un gruppetto di ragazzi che conoscevo dalla parrocchia e che avevano delle magliettine con una scritta strana in inglese “I care”. Loro per primi mi hanno fatto camminare per quelle vie, sporche e brutte, ma piene di bambini, anche loro sporchi e “vastasi”, ma bellissimi, con degli occhi e sorrisi che ti penetrano.

Don Pino Puglisi, diceva “DIO CI AMA, SEMPRE TRAMITE QUALCUNO”, ecco bene, io in quei bimbi ho scoperto un Dio che mi ama e che mi aspettava proprio a casa mia, proprio per farmi essere, con i miei limiti,  quel qualcuno con cui amare gli altri.

Brancaccio, la casa da dove scappavo, è diventata la mia vita, mi ritrovo oggi a spendermi e viverla  perché mi ha regalato qualcosa di meraviglioso, qualcosa di cui non riesco più a fare a meno.

L’incontro con Cristo mi ha aiutato a vedere tutto con occhi nuovi, occhi con qui riesco a vedere e fare cose nuove, ma anche cose che facevo prima ma a cui adesso do una visione diversa.

Questo incontro mi ha stravolto la vita piano piano, e non è una storia tranquilla, ma una storia fatta da alti e bassi ed è lì che Lui si è fatto presente per accompagnarmi anche quando io ho rallentato la corsa e avevo difficoltà a ripartire.

Quello che voglio lasciare a te che stai leggendo, è la stessa parola che hanno lanciato a me: CAMMINARE.

Prova a camminare in quello che non ti piace, nelle tue ferite, perché tra tutte quelle brutture scorgerai qualcosa di meraviglioso, che è l’amore di Dio.

Domenico

Lo scorso marzo, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda ( dopo l’esperienza di Giovani e Missione), nel progetto francescano di Giorgio e Marta, Ewe Mama, che prevede una scuola per bambini disabili e un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Sono partita con un po’ di insicurezza, con il pensiero di non essere all’altezza dei compiti che mi avrebbero affidato e con il timore di non riuscire a entrare in una relazione profonda con i bambini, così diversi da me per cultura e situazioni di vita. Fin dai primi giorni però mi sono accorta come queste preoccupazioni fossero veramente vane: non mi veniva chiesto nient’altro se non essere me stessa fino in fondo. Mi sono ritrovata a essere Ilaria, senza maschere e sovrastrutture, e questi piccoli mi hanno fatto capire l’importanza delle cose semplici e autentiche.

Dal primo giorno sono rimasta colpita e affascinata dall’Amore che traspariva da questi bambini, che, pur avendo poco, riuscivano a donarsi attenzioni e sostegno l’un l’altro; l’aiuto reciproco e le cure verso i più bisognosi venivano prima di tutto dai bambini stessi. Con il passare del tempo ho capito che, più che essere io quella che donavo, erano loro che donavano a me vita e verità.

Sono partita con il desiderio di fare esperienza di Dio e di conoscerLo in maniera più profonda e posso affermare che questi bambini sono espressione del Suo volto. Si fa esperienza di Dio attraverso i bambini della scuola per disabili e le bambine dell’orfanotrofio, che davvero rappresentano i “piccoli”, gli ultimi, inconsapevoli della preziosità che donano; attraverso i loro sorrisi e i loro occhi, nell’amore che cercano e che danno. Ho compreso con più facilità le parole della Serva di Dio Chiara Corbella, la quale afferma che “l’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare”. In questo mese, sono stata testimone di come solo l’Amore resta e conta: non si è amati per quello che si fa o per le nostre abilità, si è amati per quello che si è. I nostri limiti e le nostre debolezze diventano davvero luogo privilegiato per l’incontro con Dio.

Ho fatto esperienza di Dio non solo attraverso i bambini, ma anche attraverso i volontari con i quali ho condiviso questo tempo: ognuno di loro mi ha donato qualcosa di unico. La condivisione dell’esperienza con dei fratelli ha reso queste settimane più belle, perché è vero che le fatiche, se condivise, diventano più leggere e la gioia si moltiplica.

Quando penso alla missione penso a come raffiguri davvero un piccolo grande pezzo del regno dei cieli, che è simile al lievito o al granellino di senapa che, se seminato, si arricchisce. Prima di partire, mai avrei potuto immaginare la ricchezza e la bellezza che mi sono portata a casa. Grazie a Giorgio e Marta, che si dedicano anima e corpo a questo progetto, desiderosi di fare la volontà di Dio e fiduciosi nella Sua Provvidenza. La loro fiducia nell’amore e nel progetto di Dio per loro rappresenta per me un esempio grande di come i figli si abbandonano con fede nelle mani del Padre.

Sono tornata con la consapevolezza che si può continuare a vivere la missione anche a casa e che è possibile trovare il volto di Dio in ogni persona che incontriamo sul nostro cammino. Grazie a questa missione, ho fatto esperienza di come Dio agisce nella nostra vita, nonostante i nostri limiti e i nostri dubbi; l’unica cosa di cui necessita è il nostro “sì”, la nostra fiducia nel fatto che Lui conosce ciò di cui abbiamo davvero bisogno e ci resta accanto sempre, passo dopo passo.

Ilaria

Quando mi è stata proposta l’esperienza della missione ho accettato senza sapere bene cosa sarei andato a fare a San Martino Buon Albergo. Conoscevo già i frati e il loro modo di fare, di coinvolgere le persone, mi aspettavo sì tanta festa, ma ho scoperto in quei dieci giorni la gioia di portare Cristo agli altri; non me stesso o le mie parole, non la mia esperienza o le mie convinzioni, ho imparato che anche solo la presenza, un sorriso, anche solo ascoltare nel silenzio le sofferenze di una persona che si apre a te, tutto questo può essere strumento meraviglioso nelle mani di Dio.
Innanzitutto mi ha sorpreso sapere che saremmo stati ospitati nelle case di alcune famiglie di San Martino, non me l’aspettavo e non è scontato aprire la propria casa ad un estraneo, ho ricevuto un’accoglienza che difficilmente potrò ripagare!
I primi giorni sono serviti soprattutto ad entrare in fraternità con le persone che mi hanno accompagnato, i frati, le suore e gli altri ragazzi della missione; questo mi ha ricordato che ogni persona è tempio di Dio, ha una storia, delle sofferenze e una complessità che non può essere banalizzata. Ho capito che non ero lì per insegnare qualcosa a qualcuno, nè per comportarmi come un amante fugace, che ti parla di Dio, ti rapisce il cuore per un momento e poi ti lascia con l’amaro in bocca quando se ne va.
“Il missionario non deve convincere, ma far vedere, non deve spiegare Gesù ma mostrarlo attraverso la propria vita, perchè è molto più forte l’attrazione, il fascino generato da una vita in Cristo rispetto al senso logico che possono avere certe argomentazioni.”
Su queste parole ho potuto incontrare le persone di San Martino, lasciando agire lo Spirito Santo piuttosto che preoccuparmi di avere la risposta pronta o quella giusta. Più che un fare la missione si è rivelata per essere un lasciar fare, permettendo alla parola e allo Spirito di guidarmi, non solo nell’incontro con gli altri ma anche nel mio percorso personale di crescita e nella relazione con il Signore.
Questa missione mi ha riavvicinato molto alle persone, ad un amore che ha scelto di dare tutto, di essere coinvolto e compassionevole, e mi ha aiutato a vedere la bellezza nell’altro, anche all’interno di un mondo frenetico in cui non ho mai tempo neanche di pensare a me stesso. Da questa esperienza porto
a casa un insegnamento importante, quello di non sentirsi protagonisti dell’evangelizzazione e di rimettere ogni azione nelle mani del Signore.

Giacomo

Sono arrivata al corso vocazionale di San Francesco senza avere idea di quello che avremmo fatto, era la mia prima esperienza con i frati. Sapevo solo di essere lì perché volevo fare chiarezza riguardo a ciò che desideravo dalla mia vita, sicura quasi al 100% che il corso non avrebbe fatto altro che confermare e rafforzare i sogni che già avevo e che speravo avrebbero, una volta realizzati, tappato quella sensazione di vuoto che da anni sentivo nel cuore. Ogni volta che la mia vita frenetica si fermava per un attimo mi chiudevo nella tristezza, mi sembrava di star sprecando il mio tempo, come se mi mancasse qualcosa di essenziale al quale però non riuscivo a dare un nome. Il primo giorno di corso lo passai cercando di conoscere gli altri ragazzi e tentando di non farmi demoralizzare dall’ambiente sconosciuto, ero anche piuttosto tranquilla: dato che vengo da una famiglia cristiana credevo di sapere già tutto il necessario su Dio e sulla fede. Superbamente pensavo di avere già la verità in tasca e non credetti a Padre Francesco quando ci disse di fare tesoro dell’esperienza che stavamo per vivere, di non sprecarla, perché per molte persone passate di lì la vita si può dividere in prima e dopo il vocazionale, in prima e dopo l’incontro con Dio. Ma che voleva che succedesse? pensavo. Io Dio già lo conoscevo. E invece non era così. Il secondo giorno fu terribile, i frati hanno la capacità di mostrarti e, se ancora non capisci, sbatterti in faccia, verità che ti pugnalano con la loro semplicità e chiarezza e che ti rendono consapevole della cecità in cui stai vivendo. Mi sentivo ribaltata dentro fuori, misi tutto in discussione,mi sembrava di aver sempre riposto fiducia in un credo che in realtà non mi apparteneva per nulla questo perché quel giorno mi fu detto “Dio ti ama, tu sei prezioso per lui”. Non che fosse la prima volta che sentivo quelle parole, ma la verità era che non ci avevo mai creduto. Io quell’amore forte non l’avevo mai sentito, invece i frati e le suore ce ne parlavano come se fosse una cosa vera, percepibile. Quel giorno scoprii che forse Dio non lo conoscevo proprio così bene come sostenevo, anzi compresi di non aver capito nulla del suo messaggio, da un lato desideravo imparare a conoscerlo, dall’altro ero spaventata dall’idea di dover iniziare da zero un nuovo cammino di fede, sentivo che se avessi scelto di approfondire la mia relazione con il Signore sarei poi andata fino in fondo e la mia pigrizia si ribellava, pareva dirmi “Tieni la testa bassa e torna alla vita di prima, è meglio così, è più semplice”. Per fortuna Dio non ha rinunciato a me nonostante la mia testa dura. Il sentir ripetere l’annuncio di amore di Cristo mi faceva bene, sapeva di speranza; finalmente, catechesi dopo catechesi, silenzio dopo silenzio, iniziai ad intravedere un barlume di quello che cercavo. Ancora però ero legata a quello che ero prima, a quei vizi con i quali avevo cercato, invano, di chiudere il vuoto che sentivo. Fu solo grazie al sacramento della riconciliazione che riuscii a lasciar andare tutte le mie debolezze e i miei errori, questo solo dopo averli riconosciuti come tali. Da troppo ormai scusavo a me stessa ogni cosa, tentando di tenere la coscienza apposto. Durante quella confessione dissi a Dio tutto, tutto, tutto, come non avevo mai fatto prima, non volevo più quella roba dentro di me. Certo non fu senza dolore, ma provai un dolore buono, liberante. Il Signore pareva dirmi “Ok, ora si riparte insieme”.

‘Ecco, il seminatore uscì a seminare’ (Mt 13,3) ‘Una parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono’ (Mt 13,7)

Dio mi aveva estratto una dopo l’altra tutte quelle spine che dentro di me lo soffocavano e che io avevo, fino a quel momento, fatto crescere con cura. Piano piano, nei giorni seguenti, grazie anche al confronto con molte persone meravigliose, mi accorsi che più accettavo di lasciare spazio a Dio dentro il mio cuore, di lasciarmi coinvolgere dalle sue parole di amore donato invece che restarvi indifferente, più quel vuoto che per anni mi aveva assorbita spariva e al suo posto il sorriso sulle mie labbra cresceva. Capii anche che non solo fino a quel momento avevo rifiutato l’amore di Dio, ma che questo atteggiamento mi aveva portato a rifiutare anche l’amore delle persone a me più vicine. Senza mai chiedere aiuto a nessuno e convinta di essere forte abbastanza, mi stavo annullando. Il Signore invece mi voleva guarire e lo faceva anche attraverso lo sguardo del Cristo del crocifisso di San Damiano che spesso avevamo di fronte. Non potevo fare a meno di guardarlo e quando percepivo ancora pigrizia e angoscia osservavo quegli occhi dolci, di una dolcezza ancora tutta da scoprire e scordavo le mie incertezze. Un altro dono grande che Dio mi ha fatto è stato darmi la capacità di portare a casa ciò che avevo scoperto ad  Assisi, alla fine del corso ero terrorizzata dall’idea che una volta a casa avrei scordato tutto, non avrei sentito più niente, che il vuoto mi avrebbe ripresa; ma non è stato così, Gesù mi sta accompagnando passo dopo passo alla riscoperta di un Dio donato e alla scoperta del progetto d’amore che ha preparato per me, c’è ancora una strada lunghissima da percorrere, ma si cammina nella gioia!

Michela

Zaino in spalla, biglietti alla mano. Si riparte oggi come un anno fa ma con una motivazione diversa. Fare memoria durante il viaggio di cosa successe in marcia l’anno scorso mi aiuta ad avere il cuore ancora più grato dei doni ricevuti, per poter mettermi al servizio. Chissà cosa mi aspetta! Sarà duro e faticoso, ma anche pieno di Luce, la stessa che ho visto negli occhi dei guastatori durante la mia marcia. Sono stati proprio quegli occhi così luminosi a spingermi e ad accompagnarmi verso il cammino di bellezza di quest’anno fino ad arrivare a guastare. Mi dicevo che la fatica, il poco sonno, le tante persone non avrebbero potuto impaurirmi e distogliermi dal desiderio di ringraziare.

Fin dal primo giorno di marcia abbiamo lavorato e sudato, e ben presto abbiamo imparato a far diventare il servizio preghiera. Perché abbiamo scoperto che da un piccolo sì, detto con il cuore e con le opere Dio avrebbe potuto fare grandi cose, perché nulla è impossibile a Dio.
La sveglia presto, le corse, gli imprevisti non ci hanno fermati perché Dio era con noi e sapevamo che solo in Lui avremmo avuto la forza per fare.
Dio è fedele in qualsiasi momento: quando stavo per cedere alla stanchezza, alla preoccupazione dell’imprevisto Lui si mostrava attraverso l’arrivo dei marciatori, la parola o un gesto di un fratello guastatore, quasi a dirmi “non temere”, ” io sono con te”.
Il momento migliore era l’arrivo dei marciatori in cui tutta la stanchezza veniva azzerata. Si ripartiva da capo con una nuova energia, pronti al servizio del fratello assetato, sudato e stanco che ti chiede solamente di essere dissetato e incontrato nelle proprie fatiche.
Guastare è stato fare una marcia parallela a quella dei marciatori che però mi ha permesso di vivere e gustare in pienezza e con una consapevolezza nuova la mia marcia. Con il cuore traboccante di gratitudine e di benedizione ho apprezzato tutte le piccole attenzioni che i guastatori hanno avuto nei miei confronti da marciatrice.
Da un passo oltre me, le fatiche e le paure a vivere un nome nuovo che Dio mi ha donato. Ho potuto scoprire un po’ alla volta durante i dieci giorni grazie alla Parola abbondante fattasi carne nella fraternità. Sentirsi amati e benedetti da Dio e dai fratelli per quello che sì è, per come si è e per quel poco che si fa è stata una grazia. Senza i guastatori miei fratelli in Cristo non sarei mai riuscita ad annullare le non-parole e i non-nomi e dare spazio al nome nuovo che Dio ha scelto per me. Non posso non ringraziare il Signore per tutto ciò.

Martina