Dal sito www.missioniassisi.it , riportiamo l’esperienza di Alessandra, che dopo il corso GIOVANI E MISSIONE, ha vissuto un’esperienza in terra di missione in Uganda

Lo scorso marzo, insieme ad Ilaria, dopo il corso Giovani e Missione, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda, nel progetto francescano di Giorgio e Marta – Ewe Mama: una scuola per bambini disabili ed un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Ricordo ancora il primo giorno di servizio: lingua e cultura differente, poca dimestichezza con il mondo della disabilità, timore e ansia da prestazione alle stelle (caratteristica tipica della nostra società del fare, ma decisamente amplificata nel popolo veneto)!

Poi, la perla di Marta: “L’importante è che voi stiate! Lasciatevi stupire dalla loro bellezza!”

Quanta Verità nelle sue parole! Una scena fra tutte: Timothy, un bambino autistico, che mi indica la porta, urlando, perché aprissi alla sua compagna Elizabeth, rimasta chiusa fuori dall’aula. Lui solo, che nella confusione, si era accorto che la maniglia si stesse muovendo!

Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.

Perché i bambini usano lo stupore. Non complicano le cose, le accolgono così come sono. Sono capaci di andare all’essenziale. E l’essenziale, per questi bambini, sei tu e il tuo stare con loro. Vivono dell’amore che puoi donargli in quel momento. Solo questo conta. Solo questo gli basta. Noi adulti, invece, le cose le abbiamo complicate. Abbiamo perso la capacità di restare umani, di accoglierci nelle nostre fragilità e incoerenze. Abbiamo perso la semplicità del cuore.

E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.

Chi è un ricco? Chi non ha bisogno.

Finché non riprendiamo confidenza con il fatto che noi siamo innanzitutto bisogno, e quindi tutti poveri, allora non potremmo nemmeno accogliere il regno di Dio nella nostra vita.

Ed io per anni mi sono considerata giusta, idealizzandomi davanti a Dio e a me stessa.

Per me, la missione è stata un bagno di umiltà, un entrare nelle ferite più profonde e mai riconciliate, per imparare ad abbracciarle; un accettare di sbagliare e lasciarsi portare sulle spalle dalla Misericordia; un accorgermi di essere donna spirituale e donna carnale, e finalmente dirmi che vado bene così!

L’augurio che mi faccio, quotidianamente da quando sono rientrata, è questo: “Concedimi, o Dio, un cuore lungimirante come quello dei bambini, un cuore capace di scorgere il potenziale di bene, di bello e di vero che gli sta dinnanzi”.

Alessandra

Ciao,

sono Domenico ho 22 anni è sono nato in un quartiere molto conosciuto a Palermo, Brancaccio.

 

Ecco, per chi non lo sapesse, Brancaccio, negli anni 90 era uno dei centri dell’attività mafiosa, dell’epoca. Tra l’altro si dice che è un quartiere con un’alta densità mafiosa.

La mia fortuna è quella di avere una famiglia unità e che mi vuole bene. Una famiglia che non mi ha fatto mancare nulla, dall’amore alle cose materiali, dal cellulare nuovo alle vacanze estive, che mi ha permesso di andare avanti con gli studi.

Tutto quello che un ragazzo possa desiderare io l’avevo e sicuramente non mi potevo lamentare, ma mancava qualcosa..

Rileggendo tutto  all’indietro  quello che facevo era soltanto per scappare!

Scappare da quel quartiere che mi aveva dato la vita e che mi vedeva crescere, ma che io non conoscevo, che avevo quasi “paura” di conoscere fino in fondo, e che nemmeno avevo bisogno di conoscere, visto che avevo già tanto.

Tra le tante cose che i miei genitori  mi hanno trasmesso c’è anche la “fede”.

Qualcosa cambia quando un giorno fui invitato ad un incontro in parrocchia,  quella sera mi fu lanciata una parola: CAMMINARE..

Camminare sulle strade di quel quartiere che allontanavo dalla mia vita, perché con me non c’entrava niente. Quel quartiere che mi aveva visto nascere, ma di cui io non volevo essere figlio.

Beh, questa parola mi sconvolse, provai a lasciarla perdere ma tornava sempre. Allora decisi di provarla a  mettere in pratica, come?

Grazie ad un gruppetto di ragazzi che conoscevo dalla parrocchia e che avevano delle magliettine con una scritta strana in inglese “I care”. Loro per primi mi hanno fatto camminare per quelle vie, sporche e brutte, ma piene di bambini, anche loro sporchi e “vastasi”, ma bellissimi, con degli occhi e sorrisi che ti penetrano.

Don Pino Puglisi, diceva “DIO CI AMA, SEMPRE TRAMITE QUALCUNO”, ecco bene, io in quei bimbi ho scoperto un Dio che mi ama e che mi aspettava proprio a casa mia, proprio per farmi essere, con i miei limiti,  quel qualcuno con cui amare gli altri.

Brancaccio, la casa da dove scappavo, è diventata la mia vita, mi ritrovo oggi a spendermi e viverla  perché mi ha regalato qualcosa di meraviglioso, qualcosa di cui non riesco più a fare a meno.

L’incontro con Cristo mi ha aiutato a vedere tutto con occhi nuovi, occhi con qui riesco a vedere e fare cose nuove, ma anche cose che facevo prima ma a cui adesso do una visione diversa.

Questo incontro mi ha stravolto la vita piano piano, e non è una storia tranquilla, ma una storia fatta da alti e bassi ed è lì che Lui si è fatto presente per accompagnarmi anche quando io ho rallentato la corsa e avevo difficoltà a ripartire.

Quello che voglio lasciare a te che stai leggendo, è la stessa parola che hanno lanciato a me: CAMMINARE.

Prova a camminare in quello che non ti piace, nelle tue ferite, perché tra tutte quelle brutture scorgerai qualcosa di meraviglioso, che è l’amore di Dio.

Domenico

Lo scorso marzo, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda ( dopo l’esperienza di Giovani e Missione), nel progetto francescano di Giorgio e Marta, Ewe Mama, che prevede una scuola per bambini disabili e un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Sono partita con un po’ di insicurezza, con il pensiero di non essere all’altezza dei compiti che mi avrebbero affidato e con il timore di non riuscire a entrare in una relazione profonda con i bambini, così diversi da me per cultura e situazioni di vita. Fin dai primi giorni però mi sono accorta come queste preoccupazioni fossero veramente vane: non mi veniva chiesto nient’altro se non essere me stessa fino in fondo. Mi sono ritrovata a essere Ilaria, senza maschere e sovrastrutture, e questi piccoli mi hanno fatto capire l’importanza delle cose semplici e autentiche.

Dal primo giorno sono rimasta colpita e affascinata dall’Amore che traspariva da questi bambini, che, pur avendo poco, riuscivano a donarsi attenzioni e sostegno l’un l’altro; l’aiuto reciproco e le cure verso i più bisognosi venivano prima di tutto dai bambini stessi. Con il passare del tempo ho capito che, più che essere io quella che donavo, erano loro che donavano a me vita e verità.

Sono partita con il desiderio di fare esperienza di Dio e di conoscerLo in maniera più profonda e posso affermare che questi bambini sono espressione del Suo volto. Si fa esperienza di Dio attraverso i bambini della scuola per disabili e le bambine dell’orfanotrofio, che davvero rappresentano i “piccoli”, gli ultimi, inconsapevoli della preziosità che donano; attraverso i loro sorrisi e i loro occhi, nell’amore che cercano e che danno. Ho compreso con più facilità le parole della Serva di Dio Chiara Corbella, la quale afferma che “l’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare”. In questo mese, sono stata testimone di come solo l’Amore resta e conta: non si è amati per quello che si fa o per le nostre abilità, si è amati per quello che si è. I nostri limiti e le nostre debolezze diventano davvero luogo privilegiato per l’incontro con Dio.

Ho fatto esperienza di Dio non solo attraverso i bambini, ma anche attraverso i volontari con i quali ho condiviso questo tempo: ognuno di loro mi ha donato qualcosa di unico. La condivisione dell’esperienza con dei fratelli ha reso queste settimane più belle, perché è vero che le fatiche, se condivise, diventano più leggere e la gioia si moltiplica.

Quando penso alla missione penso a come raffiguri davvero un piccolo grande pezzo del regno dei cieli, che è simile al lievito o al granellino di senapa che, se seminato, si arricchisce. Prima di partire, mai avrei potuto immaginare la ricchezza e la bellezza che mi sono portata a casa. Grazie a Giorgio e Marta, che si dedicano anima e corpo a questo progetto, desiderosi di fare la volontà di Dio e fiduciosi nella Sua Provvidenza. La loro fiducia nell’amore e nel progetto di Dio per loro rappresenta per me un esempio grande di come i figli si abbandonano con fede nelle mani del Padre.

Sono tornata con la consapevolezza che si può continuare a vivere la missione anche a casa e che è possibile trovare il volto di Dio in ogni persona che incontriamo sul nostro cammino. Grazie a questa missione, ho fatto esperienza di come Dio agisce nella nostra vita, nonostante i nostri limiti e i nostri dubbi; l’unica cosa di cui necessita è il nostro “sì”, la nostra fiducia nel fatto che Lui conosce ciò di cui abbiamo davvero bisogno e ci resta accanto sempre, passo dopo passo.

Ilaria

Quando mi è stata proposta l’esperienza della missione ho accettato senza sapere bene cosa sarei andato a fare a San Martino Buon Albergo. Conoscevo già i frati e il loro modo di fare, di coinvolgere le persone, mi aspettavo sì tanta festa, ma ho scoperto in quei dieci giorni la gioia di portare Cristo agli altri; non me stesso o le mie parole, non la mia esperienza o le mie convinzioni, ho imparato che anche solo la presenza, un sorriso, anche solo ascoltare nel silenzio le sofferenze di una persona che si apre a te, tutto questo può essere strumento meraviglioso nelle mani di Dio.
Innanzitutto mi ha sorpreso sapere che saremmo stati ospitati nelle case di alcune famiglie di San Martino, non me l’aspettavo e non è scontato aprire la propria casa ad un estraneo, ho ricevuto un’accoglienza che difficilmente potrò ripagare!
I primi giorni sono serviti soprattutto ad entrare in fraternità con le persone che mi hanno accompagnato, i frati, le suore e gli altri ragazzi della missione; questo mi ha ricordato che ogni persona è tempio di Dio, ha una storia, delle sofferenze e una complessità che non può essere banalizzata. Ho capito che non ero lì per insegnare qualcosa a qualcuno, nè per comportarmi come un amante fugace, che ti parla di Dio, ti rapisce il cuore per un momento e poi ti lascia con l’amaro in bocca quando se ne va.
“Il missionario non deve convincere, ma far vedere, non deve spiegare Gesù ma mostrarlo attraverso la propria vita, perchè è molto più forte l’attrazione, il fascino generato da una vita in Cristo rispetto al senso logico che possono avere certe argomentazioni.”
Su queste parole ho potuto incontrare le persone di San Martino, lasciando agire lo Spirito Santo piuttosto che preoccuparmi di avere la risposta pronta o quella giusta. Più che un fare la missione si è rivelata per essere un lasciar fare, permettendo alla parola e allo Spirito di guidarmi, non solo nell’incontro con gli altri ma anche nel mio percorso personale di crescita e nella relazione con il Signore.
Questa missione mi ha riavvicinato molto alle persone, ad un amore che ha scelto di dare tutto, di essere coinvolto e compassionevole, e mi ha aiutato a vedere la bellezza nell’altro, anche all’interno di un mondo frenetico in cui non ho mai tempo neanche di pensare a me stesso. Da questa esperienza porto
a casa un insegnamento importante, quello di non sentirsi protagonisti dell’evangelizzazione e di rimettere ogni azione nelle mani del Signore.

Giacomo

Sono arrivata al corso vocazionale di San Francesco senza avere idea di quello che avremmo fatto, era la mia prima esperienza con i frati. Sapevo solo di essere lì perché volevo fare chiarezza riguardo a ciò che desideravo dalla mia vita, sicura quasi al 100% che il corso non avrebbe fatto altro che confermare e rafforzare i sogni che già avevo e che speravo avrebbero, una volta realizzati, tappato quella sensazione di vuoto che da anni sentivo nel cuore. Ogni volta che la mia vita frenetica si fermava per un attimo mi chiudevo nella tristezza, mi sembrava di star sprecando il mio tempo, come se mi mancasse qualcosa di essenziale al quale però non riuscivo a dare un nome. Il primo giorno di corso lo passai cercando di conoscere gli altri ragazzi e tentando di non farmi demoralizzare dall’ambiente sconosciuto, ero anche piuttosto tranquilla: dato che vengo da una famiglia cristiana credevo di sapere già tutto il necessario su Dio e sulla fede. Superbamente pensavo di avere già la verità in tasca e non credetti a Padre Francesco quando ci disse di fare tesoro dell’esperienza che stavamo per vivere, di non sprecarla, perché per molte persone passate di lì la vita si può dividere in prima e dopo il vocazionale, in prima e dopo l’incontro con Dio. Ma che voleva che succedesse? pensavo. Io Dio già lo conoscevo. E invece non era così. Il secondo giorno fu terribile, i frati hanno la capacità di mostrarti e, se ancora non capisci, sbatterti in faccia, verità che ti pugnalano con la loro semplicità e chiarezza e che ti rendono consapevole della cecità in cui stai vivendo. Mi sentivo ribaltata dentro fuori, misi tutto in discussione,mi sembrava di aver sempre riposto fiducia in un credo che in realtà non mi apparteneva per nulla questo perché quel giorno mi fu detto “Dio ti ama, tu sei prezioso per lui”. Non che fosse la prima volta che sentivo quelle parole, ma la verità era che non ci avevo mai creduto. Io quell’amore forte non l’avevo mai sentito, invece i frati e le suore ce ne parlavano come se fosse una cosa vera, percepibile. Quel giorno scoprii che forse Dio non lo conoscevo proprio così bene come sostenevo, anzi compresi di non aver capito nulla del suo messaggio, da un lato desideravo imparare a conoscerlo, dall’altro ero spaventata dall’idea di dover iniziare da zero un nuovo cammino di fede, sentivo che se avessi scelto di approfondire la mia relazione con il Signore sarei poi andata fino in fondo e la mia pigrizia si ribellava, pareva dirmi “Tieni la testa bassa e torna alla vita di prima, è meglio così, è più semplice”. Per fortuna Dio non ha rinunciato a me nonostante la mia testa dura. Il sentir ripetere l’annuncio di amore di Cristo mi faceva bene, sapeva di speranza; finalmente, catechesi dopo catechesi, silenzio dopo silenzio, iniziai ad intravedere un barlume di quello che cercavo. Ancora però ero legata a quello che ero prima, a quei vizi con i quali avevo cercato, invano, di chiudere il vuoto che sentivo. Fu solo grazie al sacramento della riconciliazione che riuscii a lasciar andare tutte le mie debolezze e i miei errori, questo solo dopo averli riconosciuti come tali. Da troppo ormai scusavo a me stessa ogni cosa, tentando di tenere la coscienza apposto. Durante quella confessione dissi a Dio tutto, tutto, tutto, come non avevo mai fatto prima, non volevo più quella roba dentro di me. Certo non fu senza dolore, ma provai un dolore buono, liberante. Il Signore pareva dirmi “Ok, ora si riparte insieme”.

‘Ecco, il seminatore uscì a seminare’ (Mt 13,3) ‘Una parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono’ (Mt 13,7)

Dio mi aveva estratto una dopo l’altra tutte quelle spine che dentro di me lo soffocavano e che io avevo, fino a quel momento, fatto crescere con cura. Piano piano, nei giorni seguenti, grazie anche al confronto con molte persone meravigliose, mi accorsi che più accettavo di lasciare spazio a Dio dentro il mio cuore, di lasciarmi coinvolgere dalle sue parole di amore donato invece che restarvi indifferente, più quel vuoto che per anni mi aveva assorbita spariva e al suo posto il sorriso sulle mie labbra cresceva. Capii anche che non solo fino a quel momento avevo rifiutato l’amore di Dio, ma che questo atteggiamento mi aveva portato a rifiutare anche l’amore delle persone a me più vicine. Senza mai chiedere aiuto a nessuno e convinta di essere forte abbastanza, mi stavo annullando. Il Signore invece mi voleva guarire e lo faceva anche attraverso lo sguardo del Cristo del crocifisso di San Damiano che spesso avevamo di fronte. Non potevo fare a meno di guardarlo e quando percepivo ancora pigrizia e angoscia osservavo quegli occhi dolci, di una dolcezza ancora tutta da scoprire e scordavo le mie incertezze. Un altro dono grande che Dio mi ha fatto è stato darmi la capacità di portare a casa ciò che avevo scoperto ad  Assisi, alla fine del corso ero terrorizzata dall’idea che una volta a casa avrei scordato tutto, non avrei sentito più niente, che il vuoto mi avrebbe ripresa; ma non è stato così, Gesù mi sta accompagnando passo dopo passo alla riscoperta di un Dio donato e alla scoperta del progetto d’amore che ha preparato per me, c’è ancora una strada lunghissima da percorrere, ma si cammina nella gioia!

Michela

Zaino in spalla, biglietti alla mano. Si riparte oggi come un anno fa ma con una motivazione diversa. Fare memoria durante il viaggio di cosa successe in marcia l’anno scorso mi aiuta ad avere il cuore ancora più grato dei doni ricevuti, per poter mettermi al servizio. Chissà cosa mi aspetta! Sarà duro e faticoso, ma anche pieno di Luce, la stessa che ho visto negli occhi dei guastatori durante la mia marcia. Sono stati proprio quegli occhi così luminosi a spingermi e ad accompagnarmi verso il cammino di bellezza di quest’anno fino ad arrivare a guastare. Mi dicevo che la fatica, il poco sonno, le tante persone non avrebbero potuto impaurirmi e distogliermi dal desiderio di ringraziare.

Fin dal primo giorno di marcia abbiamo lavorato e sudato, e ben presto abbiamo imparato a far diventare il servizio preghiera. Perché abbiamo scoperto che da un piccolo sì, detto con il cuore e con le opere Dio avrebbe potuto fare grandi cose, perché nulla è impossibile a Dio.
La sveglia presto, le corse, gli imprevisti non ci hanno fermati perché Dio era con noi e sapevamo che solo in Lui avremmo avuto la forza per fare.
Dio è fedele in qualsiasi momento: quando stavo per cedere alla stanchezza, alla preoccupazione dell’imprevisto Lui si mostrava attraverso l’arrivo dei marciatori, la parola o un gesto di un fratello guastatore, quasi a dirmi “non temere”, ” io sono con te”.
Il momento migliore era l’arrivo dei marciatori in cui tutta la stanchezza veniva azzerata. Si ripartiva da capo con una nuova energia, pronti al servizio del fratello assetato, sudato e stanco che ti chiede solamente di essere dissetato e incontrato nelle proprie fatiche.
Guastare è stato fare una marcia parallela a quella dei marciatori che però mi ha permesso di vivere e gustare in pienezza e con una consapevolezza nuova la mia marcia. Con il cuore traboccante di gratitudine e di benedizione ho apprezzato tutte le piccole attenzioni che i guastatori hanno avuto nei miei confronti da marciatrice.
Da un passo oltre me, le fatiche e le paure a vivere un nome nuovo che Dio mi ha donato. Ho potuto scoprire un po’ alla volta durante i dieci giorni grazie alla Parola abbondante fattasi carne nella fraternità. Sentirsi amati e benedetti da Dio e dai fratelli per quello che sì è, per come si è e per quel poco che si fa è stata una grazia. Senza i guastatori miei fratelli in Cristo non sarei mai riuscita ad annullare le non-parole e i non-nomi e dare spazio al nome nuovo che Dio ha scelto per me. Non posso non ringraziare il Signore per tutto ciò.

Martina

“Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”

Quanto è difficile ammettere le proprie debolezze! Quanto è difficile dover chiedere aiuto, soprattutto a persone che non conosci, con cui stai condividendo solo un piccolo pezzo della tua storia, del tuo cammino!
Sono arrivato il 25 Luglio a Passignano sul Trasimeno, convinto che fossi assolutamente preparato a vivere l’esperienza della Marcia Francescana. Zaino professionale, medicinali per ogni evenienza, scarpette da trekking, un anno di allenamento e la convinzione che non sarebbe stata un’esperienza che avrebbe potuto mettermi in difficoltà. Fortunamente non è stato così. E “fortunatamente” perchè nelle mie debolezze, nei momenti di sconforto, quando pensavo di non farcela più, Lui mi è stato talmente vicino, mi ha mostrato una tale dolcezza e presenza che non potrò mai dimenticare.
La bellezza della marcia francescana è che, nonostante tutte le tue resistenze, ci sarà sicuramente quella giornata, quel momento, in cui abbandonando tutte i tuoi schemi, tue maschere, sei “costretto” a confrontarti con la parte di te più buia, che ti fa vergognare, che hai sempre tenuto nascosta. E questo succede nell’attimo in cui comprendi che da solo non puoi farcela, che devi chiedere aiuto a chi é in cammino con te.
Ho capito che non sarebbe stata un’esperienza facile già dal primo giorno di cammino, nella prima parte della mattinata, quella dedicata al silenzio personale. Il silenzio bisogna saperlo vivere. Bisogna lasciar lavorare la Parola dentro di te, farla entrare in profondità illuminando quelle parti di te che hai ignorato, messo da parte per troppo tempo. Durante una catechesi ci è stata posta la domanda “Vuoi guarire?” e mi sono reso conto subito che la mia risposta non era così scontata.
Ed era la domanda che mi risuonava continuamente nei momenti di silenzio, a cui non volevo né cercare né dare una risposta. Molte volte nella vita mi sono adagiato sulle mie difficoltà perchè avevo imparato a conviverci, nonostante mi facessero star male. L’idea di rompere quegli schemi che mi avevano aiutato a superare determinati momenti mi terrorizzava, quindi evitavo di pensarci, cercavo di riempire quelle ore con ogni pensiero possibile. Fortunamente il mio volere non è stato il Suo. E solo quando quel silenzio era diventato talmente assordante da diventare quasi insopportabile, sono riuscito a chiedere aiuto. Ho parlato delle mie difficoltà ai miei compagni marciatori, ai miei fratelli di cammino. Ho chiesto il loro sostegno nella preghiera per trovare il modo, il coraggio di affrontare finalmente quella domanda.
La loro risposta è stata davvero commovente. Il giorno successivo non mi hanno lasciato un attimo da solo, e mentre marciavamo, in silenzio, assolti nella meditazione, di continuo vedevo i loro occhi fissare i miei, sgranare il rosario con quel sorriso espressione di un sostegno discreto ma altrettanto reale. È grazie a loro che ho preso una delle decisioni più edificanti della mia vita: mettermi davanti al Signore con tutto me stesso, senza nascondere più niente, senza cercare di apparire perfetto ai Suoi occhi, ammettendo i miei limiti e quindi la mia umanità.
È arrivato così il giorno più atteso, quello delle confessioni, il centro dell’intera esperienza. Avevo finalmente preso la decisione di voler guarire, pronto ad accogliere qualsiasi conseguenza questa scelta avesse posto sul mio cammino. Con la testa bassa e il volto rosso, finalmente, per la prima volta, sono stato sincero davanti a quel Gesù che aveva aspettato e desiderato quel momento da quando mi aveva pensato. E così minuto dopo minuto sono riuscito a liberarmi di tutti quei macigni che avevo tenuto per me, che avevo sempre nascosto: ho finalmente permesso al Suo amore di entrare e far luce dentro di me. E le lacrime della mia sofferenza si sono trasformate subito in lacrime di gioia, quando ho capito finalmente che non potevo portare da solo quel peso, che finalmente avevo accettato di farmi aiutare da quell’amico che era sempre stato presente, che aveva sofferto con me per tutto quel periodo, che era felice molto più di me di vedere finalmente un figlio deciso a porre una pietra sopra agli errori del passato per ripartire, insieme, nella consapevolezza che il peccato non ti può definire, che gli errori commessi non possono determinare la persona che sei e che sarai.
E così il giorno dopo mi sono rimesso in cammino, e quanto ho goduto di quel silenzio. È stato come quando riscopri un rapporto, quando hai finalmente chiarito con un amico e hai abbandoato tutti quei pregiudizi che ponevano soltanto limiti sterili al vostro rapporto. E così quel silenzio insopportabile è diventato il luogo del dialogo, dove ho riscoperto la bellezza di stare con il Signore, dove finalmente potevo essere me stesso, pieno di ferite e di difetti, ma senza sentire più il bisogno di nasconderli o negarli.
E sono arrivato così in Porziuncola. Il mio cuore traboccava di gioia perchè ero consapevole che avevo lasciato lungo quei 137km un vecchio Angelo, per trovarne uno nuovo, capace di chiedere aiuto, consapevole di non essere più da solo, un Angelo rinnovato, RISORTO.

Angelo.

È giovedì 4 marzo, alzo la tapparella della mia camera e vedo il piazzale di casa mia completamente innevato. Penso subito: “Bene, oggi arrivare ad Assisi sarà un’impresa!”. La mia previsione non è stata smentita, arrivo in stazione a Modena e il treno che avrei dovuto prendere è stato cancellato causa maltempo, così come i seguenti. Dentro di me pensavo solo: “Evidentemente dietro a questo servizio c’è qualcosa di veramente grande! Bene, allora non posso mollare!”. Dopo più di 9 ore riesco ad arrivare ad Assisi e scorgendo la facciata di Santa Maria degli Angeli tutte le fatiche svaniscono in un lampo: sono finalmente arrivato!
Non sapevo ancora cosa aspettarmi da questa esperienza perché non avevo mai fatto un servizio da solo e non conoscevo gli altri ragazzi; ero un po’ spaventato ma avevo anche una gran carica.
Sentivo il bisogno di stare li, di fare un’esperienza di Dio e con Dio anche se non mi sentivo all’altezza.
Ero già stato in precedenza ad Assisi, ma solo per frequentare i corsi tenuti dal SOG e non pensavo che il servizio sarebbe stato a sua volta un altro “corso nel corso” caratterizzato da momenti di fraternità, di lettura della Parola e di condivisione.

Ho sperimentato ancora una volta il Suo amore, perché attraverso il dono del proprio tempo e delle proprie energie ti rendi conto di quanto è importante la gratuità: infondo Gesù si è donato a noi gratuitamente e tutta la sua vita è stata un servizio verso l’umanità. Sperimentare anche solo un assaggio di questa bellezza ti rende felice, amato e soprattutto ti rende figlio di Dio.
In questi giorni sono riuscito finalmente a capire le parole di Gesù quando rivolgendosi a Marta diceva: “Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola c’è bisogno”, li il Signore mi ha fatto capire di quanto sia importante passare attraverso un sepolcro per prendere la parte migliore, di quanto la Sua presenza sia veramente fondamentale per il cammino dell’uomo perché Lui non cerca servitori ma veri amici. Ho riscoperto l’importanza del dono dei fratelli: ho conosciuto infatti altri ragazzi, ognuno con la propria vita e le proprie storie, ma eravamo tutti in piena comunione. In questo tempo mi sono sentito a casa, accolto e accettato per quello che sono e non avrei mai immaginato che alla fine avrei ricevuto più di quello che ho dato.
Ho capito che amare vuol dire servire e che attraverso il servizio si può amare in modo smisurato!
Torno a casa più consapevole del fatto che lasciar fare a Lui vuol dire giocarsi la vita per un amore più grande, sconfinato ed eterno!

Joele

Tutto è incominciato ai primi di gennaio quando, un po’ per curiosità e un po’ perché sentivo il bisogno di vivere un’esperienza nuova, mi sono iscritta al corso Tu sei il sogno di Dio.
Non avevo la minima idea di cosa sarebbe stato ma ho deciso di fidarmi e provare.
Sono sempre vissuta in una famiglia molto religiosa e fin da piccola sono stata abituata a partecipare alle Funzioni domenicali. Tuttavia nell’ultimo periodo mi sentivo totalmente distaccata da quella realtà, non trovavo più senso nelle parole che ascoltavo ogni domenica.
Sono arrivata ad Assisi fragile e vulnerabile, colma di infiniti dubbi.
Qui ho ascoltato parole che mi hanno cambiata, hanno ricucito ogni singolo pezzo di me.
Ho capito che noi siamo stati creati per vivere, non per noi stessi ma per gli altri. La nostra vita, così com’è, con tutte le possibili imperfezioni in realtà è un dono per chi ci sta accanto.
Ogni giorno ascoltavo parole profonde che parlavano di me, arrivavano dritte al cuore. Ho imparato che nella vita dobbiamo puntare lo sguardo sempre in alto, sempre un po’ oltre a tutto ciò che il mondo vuole farci credere. Solo così possiamo vivere all’altezza dei nostri sogni. Ho preso consapevolezza che l’amore di Dio è immenso perché non importa quanti difetti ci portiamo dentro, Lui ci ama così come siamo perché “dalla fragilità nasce sempre bellezza.”
Quella ad Assisi per me è stata “un’ avventura” fantastica nella quale sono stata in contatto con nuove persone e mi ha insegnato quanto queste siano importanti, quanto un abbraccio, un sorriso, possano ricomporci.
Sono felice di averne preso parte perché ha sicuramente segnato un punto di svolta per me e auguro a tutti di poterla vivere.
Virginia

Carissimi fratelli e sorelle, sono sr. Rosa Maria Chiara. Insieme alle mie sorelle del Monastero Santa Chiara di Paganica, un paesino alle falde del Gran Sasso nella provincia di L’aquila, vi portiamo l’augurio di San Francesco e Santa Chiara: il Signore vi dia pace!

Mi è stata chiesta una testimonianza e sono ben felice di parlarvi della fedeltà di Dio, del Suo amore misericordioso, comprendendo che quanto Egli ha pensato per me da sempre, lo ha realizzato nell’oggi della mia vita, in questo essere figlia di Santa Chiara. Come molti di voi, anche io studiavo, avevo un fidanzato, facevo sport. Tutto nella mia vita procedeva con quella normalità del “così fan tutti”; avevo tutto, o meglio, pensavo di avere tutto. Eppure il mio cuore era inquieto, cos’era che mancava? Il Signore si servì proprio di questo ragazzo per propormi di conoscerlo più a fondo attraverso gli studi teologici: questa fu la prima chiamata.

Andavo scoprendo il volto di un Dio fino ad allora sconosciuto e mi andavo sempre più innamorando della Sua bellezza. “Com’è possibile – mi dicevo – Dio ci ama a tal punto da morire in croce per noi!”.

Il mio cuore e i miei occhi si andavano trasformando: guardavo questa mia storia d’amore e la scoprivo così povera, perché senza Dio. Provavo a coinvolgere il mio ragazzo, ma Dio era per lui un intruso, anzi un antagonista, che lo minacciava perché io stavo cambiando. Comprendevo che questa vita, preziosa perché dono di Dio, era una sola, un’altra possibilità non ci sarebbe stata; e in questa vita, Dio ci chiama a ricevere il suo amore, e a spenderla per Lui. E poi tanta gratuità di Dio allargava il mio cuore e cullavo il desiderio di potermi spendere per i miei fratelli, andare in missione.

Decisi di lasciare questo ragazzo, perché con lui non potevo condividere tutto questo: Dio non era al primo posto. Conobbi i frati, e questo fu un altro incontro importante, perché attraverso loro incontrai San Francesco. Li guardavo, mi dicevo: “Questi sono sempre contenti, ma perché? Com’è possibile essere attratti tanto da Dio da lasciare tutto, farsi poveri per seguirlo?” Questo mistero era tanto affascinante, ma anche tremendo.

Con i frati ho imparato a pregare le lodi e i vespri, preghiera che mi metteva in comunione con Dio. Lasciavo lo studio per questo appuntamento con Dio tanto atteso e desiderato. Fu proprio durante questa preghiera, che il Signore rompeva i miei schemi sicuri, di essere sposa di un uomo, madre di qualche figlio e missionaria in qualche terra.

Cosa vuoi che faccia, Signore? Qual è questo progetto che tu hai pensato per me da sempre? Ho paura che tu mi possa chiedere quello che non conosco, ma ho fiducia, voglio abbandonarmi, perché sei tu il regista della mia vita, il Tuo amore mi guidi”.

Cominciai a pregare sempre di più, e nel mio cuore inquieto c’era una preghiera che risuonava continua: mostrami Signore la tua via.

In questo periodo, i frati mi invitarono ad Assisi per accompagnare degli adolescenti ad un corso e fu lì, durante il sacramento della riconciliazione, che il Signore purificò il mio sguardo e il mio cuore per vedere il suo progetto: “Segui me, percorri la stessa via tracciata da Chiara d’Assisi, lascia tutto, sii povera e ti farò ricca di me, dammi tutto il tuo cuore, il tuo corpo, e realizzerò io il progetto che ho su di te. Ti farò mia sposa, ti farò madre di una moltitudine di genti e ti manderò per il mondo intero, per mezzo dello strumento povero della preghiera. Sarò io stesso mani che accarezzano, sollevano, curano, gambe che camminano per annunciare il Vangelo. Tu sii cuore che pulsa d’amore per dare vita all’intero corpo che è la Chiesa”.

In Porziuncola, dopo aver abbandonato ogni resistenza, ho pronunciato il mio sì al Suo progetto. “Sì, sono piccola, è vero, ma questa non è opera mia, è opera Tua, Tu compirai in me questa promessa. Voglio amarti come Chiara, darti tutto, con cuore povero e libero”.

Per quel piccolo sì che la sua stessa grazia pronunciò in me, il Signore inondò il mio cuore di tanta gioia e tanta pace che compresi perché Francesco veniva chiamato pazzo: solo i pazzi, coloro che escono fuori schema, possono seguire Dio. Con la Parola, che confermava i miei passi, l’Eucarestia che nutriva il mio cammino e rendeva sempre più vero l’incontro con Gesù, il confronto con il Padre spirituale, il Signore mi donò la fraternità, le mie sorelle di Paganica, a condividere con loro il progetto di amarlo.

Non sono mai stata così libera come in clausura, perché davvero la preghiera è l’anima del mondo, che si irradia a partire dal piccolo chiostro del monastero.

Come in Maria, il Signore moltiplica la vita dentro e intorno a noi, in quanti si accostano alla grata, ed è incontro profondo con le persone, le loro storie, le loro sofferenze, e quando andiamo in coro, sia l’alba o il cuore della notte, le sorelle povere innalzano il loro canto: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le chiese del mondo, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Ti presentiamo Signore le gioie e le sofferenze di ogni uomo; benedici, salva tutti, e accogli il desiderio di felicità che grida nel cuore di ogni uomo, perché quando l’uomo vuole essere felice, è Te, Signore, che sta cercando.

La nostra avventura di clarisse a Paganica è stata attraversata dal violento terremoto del 6 aprile 2009 che con la distruzione della città dell’Aquila ha distrutto anche il nostro Monastero. Nel crollo è morta la nostra cara Madre Maria Gemma. La sua vita è stata come il chicco di grano che caduto in terra muore per portare molto frutto. Noi siamo rimaste miracolosamente vive.

Nella perdita di ogni cosa siamo entrate nel cuore del nostro essere Sorelle Povere perché le uniche cosa che ci sono rimaste sono state quelle  più preziose: Dio, la nostra sola ricchezza, la fraternità e l’aiuto dei fratelli che si sono fatti e si fanno mani e cuore della Provvidenza di Dio che si prende cura di noi ogni giorno. Il Signore ci ha preparato una casa dono di una raccolta pubblica fatta da tanti, nel piccolo Monastero di legno dove ancora attualmente viviamo in attesa di rientrare in Monastero a conclusione dei lavori di ricostruzione. Qui continuiamo a innalzare la nostra preghiera per tutti, ad accogliere quanti bussano alla porta del Monastero in cerca di silenzio e di ascolto e a costruire, insieme con Cristo, la speranza.

A voi tutti  buon cammino! Siate certi che la nostra preghiera accompagna fin d’ora i vostri passi, i vostri sogni di felicità, Il vostro desiderio di amore, perché possiate comprendere che il solo che può realizzare le vostre aspirazioni più profonde è Cristo, Signore nostro.

 

Ciao cari fratelli, guardate le stelle, le stiamo guardando anche noi.

Puntate in alto, puntate in Dio, lì ci ritroviamo.

San Francesco e Santa Chiara vi benedicano!

 

Sr. Rosa Maria Chiara

clarissa