Carissimi buon anno a tutti!

Sono passati pochi giorni dalla bellisima festa di Capodanno passata insieme ma il ricordo dei bei momenti vissuti insieme arricchiscono i pensieri della giornata!

Il Signore è grande e lo manifesta ogni volta che gli concediamo un pezzo della nostra terra, della nostra quotidianità, per abitarla.

La festa di Capodanno è stata vissuta proprio così: cercando di lasciare a Dio lo spazio giusto per poter abitare il nostro tempo. Nell’ascolto, nella festa e nella preghiera.

Con l’augurio che ciascuno di noi possa diventare abitazione bella e gradita a Dio, la nostra fraternità del SOG vi augura un felice 2018.

Alleghiamo il video della catechesi e della messa di capodanno con alcune foto.

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!
Siamo Luca e Laura della comunità Papa Giovanni XXIII e desideriamo condividere con voi in questa testimonianza, la  nostra vita e la nostra vocazione! Così, come le parole lo consentono.

Già nell’adolescenza e negli anni a venire, siamo stati rapiti dal grande desiderio di sprecare la nostra vita amando di amore inutile, investendo tempo e forze su chi veniva scartato dal mondo, abbracciando l’emarginato maleodorante, facendo spazio ai bambini abbandonati.

Siamo stati cresciuti dalle nostre parrocchie, nutriti da centinaia di catechesi e da mille eucarestie, allenati alla vita di oratorio come alle veglie di preghiera di fronte al Santissimo. Il desiderio di consumare la nostra vita per gli altri, di sacrificare le nostre esistenze per dare senso all’esistenza dei più poveri, ha fatto la cova nei nostri cuori. E quando io e Laura ci siamo innamorati, in modo naturale è sgusciato in noi il dono della condivisione. Ci siamo sposati poveri per poter stare con i poveri. Abbiamo cambiato rotta andando contro tutti i programmi che altri avevano fatto su di noi. Ci avevano pensati avvocato, hostess, assistente sociale, notaio…con il coraggio della Fede noi invece abbiamo obbedito a Dio che bisbigliava il suo progetto d’amore nei nostri cuori. Abbiamo trasgredito nell’amore alle regole del vivere secondo le logiche di massa, ripetendo quello che tutti fanno. Abbiamo avuto il coraggio di essere noi stessi, sfigati, ma noi stessi; fragili, ma noi stessi; inadeguati, ma amati da Dio sopra ogni cosa. Ci siamo abbandonati a quel progetto d’amore molto più grande delle nostre forze e che a noi sembrava poco chiaro, impossibile, irrealizzabile perché ci vedevamo incapaci a realizzarlo…e invece con Dio facciamo cose grandi!

Tanti anni della nostra vita vissuti in casa famiglia in cui io e la mia sposa, dal primo giorno del nostro matrimonio, viviamo senza turni, ne’ ferie, ne’ stipendio, condividendo la nostra vita ogni giorno in modo oblativo, senza nessun compenso personale, con i più piccoli che il Signore ci ha voluto affidare vivendo con loro 24/24h, ogni giorno dell’anno. Abbiamo fatto spazio a bambini soli, a storie di dolore, a persone emarginate, a bimbi piccoli disabili gravi, anime spente alla vita a seguito della solitudine e dell’abbandono, che hanno ritrovato il gusto della vita grazie all’abbraccio di un papà e di una mamma. Vent’anni vissuti ad essere mamma e papà non solo dei figli biologici, ma anche di figli che non abbiamo generato nella carne, ma che realmente, possiamo dire, abbiamo generato “nello Spirito”, come dono inaspettato della vita. Una vera famiglia di 15 persone dove oltre alle nostre due figlie biologiche viviamo con altri figli in affidamento: Agnese di 4 anni abbandonata in ospedale per la sua gravissima malattia congenita, un ragazzo in carrozzina da 20 anni, un ragazzo non vedente dalla nascita e altri figli in affidamento con non da circa 15 anni.

In verità il povero non ti si presenta mai come dono e nessuno ci ha sottoposto come “dono d’amore” la relazione psico-sociale di un minore in stato di abbandono o la procedura di adottabilità aperta d’urgenza dal Tribunale per i Minorenni. Non sembrava un “dono” l’urgenza di liberare il minore da un ambiente di vita pericoloso o da un ospedale che gli aveva fatto da casa per molti anni della sua vita solo perché il suo handicap grave aveva così allarmato i suoi genitori da sottoporlo, non solo al dolore della sua menomazione, ma anche alla violenza dell’abbandono. Il più delle volte avremmo rischiato di sbattere contro una relazione sociale, una procedura standard, un protocollo sanitario. Ma forte e decisa è risalita in noi due sposi la scelta di riconoscere l’utente che l’assistente sociale ci accompagnava fino alla soglia della porta di casa, come figlio non appena avesse attraversato quella soglia; ciò che per il mondo, al di là della soglia del portone della nostra casa, era un problema, per noi, attraversato quel mattone, sarebbe stato già figlio, vero dono “a prescindere”.

I figli che abbiamo accolto in questi anni, in modi diversi, hanno testimoniato un unico vero disagio come se dicessero: “io non ci sono in questa vita”. Abbiamo accolto bambini “fermi”, assenti alla vita, vere e proprie anime spente che restavano assenti da tutto ciò che girava attorno a loro. Era come se non fossero interessati, o si fossero così spaventati di vedere cose che non avrebbero dovuto vedere o di sentire cose che nessun bambino avrebbe dovuto sentire, al punto che avevano preferito uscire fuori dal gioco della vita. All’età di 2/3 anni li mettevamo sul divano seduti e dopo un’ora li ritrovavamo sul divano seduti nella stessa posizione. Ugualmente, sebbene in modo completamente opposto, abbiamo accolto minori così irrequieti e iperattivi, che diversamente urlavano lo stesso disagio: la vita mi ha fatto vedere scene che non posso portare ne’ sopportare!

L’assenza dalla vita non è un male curabile con la somministrazione di un farmaco o di una mistura portentosa, ma diventa uno stato di fondo dell’interiorità e della personalità che annulla gli impulsi vitali. Avevamo fatto passare la soglia di casa a persone “incapaci alla vita”. Avevano messo il piede già sul secondo mattone e già significava “appartenenza”, “relazione significativa”, già volevamo dire: “Vieni, sei Figlio!”

Nessuna competenza pre-acquisita, nessun titolo di merito, ma il solo matrimonio e una buona vita familiare, avrebbe combattuto il malessere profondo di quel “dono” incapace alla vita.

Le vite dei nostri figli più fragili non sono vite inutili, né sprecate, ma chiamate alla vocazione più alta che si possa pensare, a redimere le vite sbandate che non trovano più il coraggio di fare il male quando incontrano la grandezza del bene di una vita crocifissa e innocente. Viviamo in casa con uomini che hanno vissuto 20, 30 anni di galera e li abbiamo visti convertiti dalla tenerezza della nostra piccola creatura disabile, incapace di vedere, di mangiare e, per gli ultimi anni della sua vita, anche di respirare da solo. Abbiamo visto mani rugose, tatuate, con le dita monche e sfregiate segnate da una storia di violenza e di rabbia che maldestramente diventano docili in ogni carezza sulle guance liscissime di nostro figlio. Viviamo con ragazze che hanno battuto la strada, costrette a prostituirsi da un racket violento e che ora sono salve e che piangono di fronte al candore dei giorni di vita di Giuseppino che ha vissuto tutta la sua esistenza tra un lettino e una carrozzina, riempiendo le stanze della nostra casa con la purezza e l’innocenza della sua debolezza.. Quale vocazione più alta crediamo noi di assolvere con le nostre vite forti e incrollabili?

 

Luca e Laura

Comunità Papa Giovanni XXIII

Casa famiglia “Fuori le Mura”

Assisi

 

Lo sposalizio

Tra gli entusiasmi della festa

E lo spumeggiare dell’allegria

Celebra la “liturgia dei corpi”

Di due innamorati

Che desiderano spezzare la loro vita

E i loro stessi corpi

A servizio l’uno dell’altra.

Gli sposi sono ministri di questo rito

Ogni giorno della loro ferialità.

E come il pane spezzato

emana una fragranza incontenibile,

e come il corpo di Cristo spezzato

effonde il suo Spirito,

Così i corpi spezzati degli sposi

diffondono la fragranza della fecondità.

Fa freddo, è ancora buio e la fioca luce dei lampioni illumina l’insegna che domina la piazza: ”Stazione di Savigliano”. Sono solo le 7.30 del mattino e intorno a me il silenzio, la solitudine, l’eco dei miei passi. Sono ancora mezzo addormentato, assorto nei pensieri del primo mattino, un po’ rallentato….ma ad un tratto, come all’improvviso, sento il rumore di un treno in lontananza, una frenata, le porte dei vagoni che si aprono…e di colpo mi appare un fiume di ragazzi e ragazze che si riversano sulla banchina. Un frastuono di voci, saluti, un turbine di sguardi, qualcuno cammina, qualcuno corre…tutto scorre. Mi fermo un attimo a guardarli, perso, smarrito, affascinato, impotente….sono tantissimi, sono bellissimi. “Non ce la faremo mai”, penso, sono troppi, troppo di corsa, troppo di fretta….aveva davvero ragione quando i frati mi dicevano “In questa settimana di missione vi chiederemo l’impossibile”!

Mi risveglio, non c’è tempo da perdere, ora o mai più…mi faccio coraggio e stringendo nella mano destra il Tau che penzola sul petto e nella sinistra il volantino della missione, mi dirigo a passo spedito verso quella ragazza. “Ciao sono Matteo!  Hai già saputo cosa succederà questa settimana? E’ una grande occasione sai, serate di incontri per i giovani al teatro, parrocchia di S. Giovanni, chiesa aperta, frati, suore, Gesù, incontri, teatro, questa sera, vuoi, tu, provaci, noi, fidati, Assisi, incontri, serate, teatro…..”.  Alzo lo sguardo…la ragazza è già andata via. “Bene penso”…”Signore tu mi mandi fin qua missionario per annunciare la gioia e la bellezza di averti conosciuto e chi mi fai incontrare alla stazione?? Una ragazza che neanche mi ascolta….bella ricompensa, grazie davvero!!” Sono sconsolato, sconfitto, deluso, guardo la punta delle mie scarpe….davvero questa volta ci state chiedendo di fare “cose impossibili” …non ce la faccio, non riesco, non so come comportarmi…è impossibile!! Sono ancora assorto in questi pensieri, quando ad un tratto sento una mano che mi afferra, mi giro, ed è una ragazza missionaria come me, mi guarda sorridendo e mi dice: “Allora come è andata?!” “Male”, penso,….ma mentre le rispondo noto il suo sguardo…è sorridente, è felice! Allora capisco…ecco cosa mi manca: la gioia, il sorriso, lo sguardo! Riparto con entusiasmo e mi butto a capofitto tra i ragazzi alla stazione…ne incontro tanti insieme a tante storie. Incontro una ragazza preoccupata per la verifica di storia in seconda ora ed un’altra che va a lezione di violino. “Allora verrete? Ci vediamo questa sera in teatro?” “Si, no, ma, forse”….non importa…è stato bello conoscersi!! Sorrido, sono felice.

“Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: seguimi” (Mc 10, 21)…ecco…è tutto riassunto qui dentro, ecco l’essenza del nostro essere missionari, niente di più: l’ amore del Padre che attraverso lo sguardo di Gesù passa e si fissa sulle persone che incontra. Allora anche io, anche io voglio guardare come te Gesù, amare come te Gesù, dire come te Gesù. Ma come posso guardare? Come posso amare? Cosa posso dire? “Lasciati guardare, lasciati amare, lasciati benedire….e Io sarò con te…sarò nel tuo cuore, sulle tue labbra, nel tuo sorriso”. E’ stata questa per me la scoperta più bella: mettere da parte i miei protagonismi, le mie idee, il mio fare, il mio voler essere missionario di successo, per fare spazio a Te Signore, che in me e attraverso me guardi, ami, benedici. E’ bello accorgersi come uno sguardo possa fare la differenza, è bello accorgersi che non conta innanzitutto quello che dici, ma quello che sei, che non contano le tue capacità di persuasione, ma la contagiosità e la sorgente del tuo sorriso. E’ bello accorgersi che il Vangelo funziona per attrazione e non per convinzione. Quanto stupore la sera nel vedere il teatro pieno di quei ragazzi che erano alla stazione, che erano nelle piazze, che erano nelle scuole. Quanto stupore nel vedere la coda interminabile di giovani desiderosi di baciare e abbracciare il crocefisso. Davvero tu Signore compi prodigi, davvero tu ci guidi, ci sostieni e ci accompagni….perché  “se il Signore non costruisce la città, invano si affaticano i costruttori”. (Sal 126) E mi sorprendi, mi stupisci ed è questo stesso stupore che è per me il segno più evidente della Tua presenza. Quanta Bellezza in questo stupore….quanta Bellezza in questi incontri! E allora grazie perché ci sei, grazie perché fai cose grandi, grazie perché doni a tutti il tuo amore. Senza di Te tutto questo non sarebbe possibile…solo grazie a Te questa “missione impossibile” è diventata possibile. Grazie perché da oggi inizia la nostra missione nella vita di ogni giorno, nella quale “andremo e annunceremo che in Lui tutto è possibile”!!

 

Matteo

“Questo è il luogo che Dio ha scelto per te, questo è il tempo pensato per te”, sono le parole del canto che mi ha accompagnato durante il corso vocazionale, parole che riprendono un po’ il vangelo di Giovanni quando Gesù dice “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16) … ecco, è esattamente questo che mi ha fatto sperimentare il Signore durante quei giorni di grazia ad Assisi. Come un innamorato fa la prima mossa e anticipa la sua amata, così Gesù, nella sua infinita Misericordia, mi aveva già scelta e invitata proprio lì, in quel luogo e in quel tempo, per incontrarmi e parlare al mio cuore, e il mio semplice, forse anche incosciente ma sicuramente ispirato, “SI” è stato l’inizio della mia “resurrezione”.

“QUESTO è IL LUOGO”, “QUESTO E IL TEMPO”: Sono arrivata ad Assisi, su consiglio del mio fidanzato, con il cuore appesantito e “frantumato” che da tanto desiderava trovare un luogo lontano dalla quotidianità e un tempo  da poter dedicare solo e soltanto all’ascolto del Signore… “QUESTO É IL SOGNO CHE HA FATTO SU TE”: ecco, il mio cuore da tempo aveva anche smesso di sognare e di credere nel Dio dell’impossibile, si era ormai accontentato della mediocrità, arreso di fronte ai miei limiti e non credeva più che il Signore potesse aver preparato “grandi cose” per me e che fosse suo desiderio, pima ancora che mio, donarmi una vita piena e abbondante.

Portavo nel cuore tante domande e desideri, tra tutti quello di comprendere il progetto di Dio nella mia vita e quel “Signore cosa vuoi che io faccia?” di San Francesco risuonava forte dentro di me, ma ancora più forte risuonava la risposta di Gesù: “Francesco –Fiorenza- va e ripara la mia casa, che come vedi è tutta in rovina.”

Era chiaro per me che il Signore mi chiedesse innanzitutto di partire dal mio cuore, la sua “casa”, che in quel momento “era tutta in rovina”. A conferma di questo i frati non facevano altro che sottolineare che il punto di partenza per la realizzazione della vocazione è “FARE CENTRO NELLA PROPRIA IDENTITA’”, motivo per cui mi ero rassegnata al fatto che fosse arrivato il momento di affrontare questo capitolo… Niente di più complicato per una come me che cercava in tutti i modi di non andare in profondità per paura di guardare a sé stessa…!

Il più grande dei macigni che appesantivano il mio cuore era infatti “il mio io”, la mia identità. Ero affetta da una profonda disistima che unita ai tanti complessi di inferiorità e sommata agli ultimi “fallimenti” nel lavoro, mi accecava completamente… Ma i soccorsi non hanno tardato ad arrivare: la Parola di Dio che è stata meravigliosamente annunciata e sviscerata dai frati, ha finalmente aperto e portato luce nelle stanze più buie del mio cuore.

Quanta potenza è racchiusa nella Parola di Dio che illumina, libera, consola, guarisce e fa nuove tutte le cose!

Così, come la samaritana al pozzo, anch’io mi sono lasciata incontrare da Gesù in quello che era uno dei momenti meno belli della mia vita e mi sono lasciata dissetare e guarire dalla sua Acqua Viva che ha riportato pace, gioia e speranza nel mio cuore.

Il primo frutto del corso è stato il riconciliarmi con me stessa: ho imparato e iniziato ad amarmi! Questo mi ha permesso di guardare alla mia vita con occhi diversi e di benedire il Signore per la mia storia, per i miei pregi e difetti, successi e fallimenti e soprattutto per la crisi che stavo vivendo perché era stata l’occasione per riprendere il cammino.

Ho scoperto poi che “Dio è alleato dei miei sogni” e con rinnovata fiducia nella sua bontà e fedeltà ho imparato a credere nel progetto grande che Lui ha per me e che va ben oltre i miei pensieri e le mie possibilità umane!

Ho ricevuto tantissimo in soli 6 giorni di corso vocazionale, ad ogni insegnamento la Parola di Dio mi stupiva con qualcosa di nuovo, mi leggeva dentro e intanto operava in me… ma sono certa che “il meglio deve ancora venire!”

Sono tornata a casa da “risorta”, come il Gesù del crocifisso di San Damiano, dritta e in piedi e non più ripiegata su me stessa, con occhi nuovi e benedicenti e soprattutto con un cuore nuovo, “riparato” e libero, che, come la samaritana, desidera “ANDARE E ANNUNCIARE CHE IN DIO TUTTO E POSSIBILE E CHE NULLA CI PUO VINCERE, PERCHE HO UDITO LE SUE PAROLE, PERCHE HO VEDUTO LA MIA VITA CAMBIARE, PERCHE’ HO VISTO L’AMORE VINCERE, SI HO VISTO L’AMORE VINCERE!!!” (Dal canto “Tutto è possibile” – Nuovi Orizzonti)

Fiorenza

Una cosa che ho imparato nel cammino è che Dio dona “una misura buona, pigiata, colma e traboccante” (Lc 6, 38). Basta che guardo le mie ultime tre estati per accorgermene. Tre estati fa, fidandomi di un volto sorridente stampato sulla copertina di un libro, arrivo per la prima volta ad Assisi, pieno di dubbi e di una fede improntata su un Dio che comanda dall’alto le sue piccole formichine, ma i frati sono bravissimi a spogliarmi di questo, presentandomi coi loro sorrisi e il loro amore un Dio che non è lontano ma è lì, affianco a me, pronto a ripetermi in ogni momento “Ti amo”. Due estati fa mi arrendo finalmente a questo amore traboccante, lascio le mie certezze e inizio a cercare di camminare con Lui, senza lasciarmi fermare dalle mie debolezze. L’estate scorsa, la marcia diventa il luogo dove incontro Dio nella preghiera che si fa cammino, sento il suo Amore nei fratelli e nelle catechesi, ed è per me un dono grande, che mi fa saltare di gioia nonostante lo zaino che pesa sulle spalle.

E arriva quest’estate. Accetto con gioia di fare il servizio alla marcia perché Dio mi ha donato tanto, voglio riconsegnargli qualcosa. Ma Lui non è sazio, vuole donarmi ancora di più, vuole andare ancora oltre, vuole portarmi a saltare nel vuoto. E così mi spoglia di ogni mia idea di servizio che mi ero fatto prima, mi insegna a offrire tutto ciò che faccio e a metterlo nelle Sue mani, perché mi accorgo che nelle mie mani ha tutto una dimensione umana, ma io non sono lì per questa dimensione piccola e limitata. Metto tutto nelle Sue mani, perché Lui può andare oltre, può fare cose grandi che io nemmeno posso immaginare. Me ne accorgo guardando i marciatori, che sono ogni giorno più belli, ogni giorno più felici. Potevo io donare una Gioia così grande a tutti loro? No, io no, ma Lui sì! Mi insegna a lavare i piedi, a mettermi in gioco giorno dopo giorno, ma soprattutto mi insegna a farmeli lavare, sempre attraverso i marciatori, perché io dovrei servire loro, ma quando il servizio diviene pesante, quando la stanchezza è tanta, è guardando i volti dei marciatori che trovo nuova forza. Dovrei essere al loro servizio, e invece sono loro che stanno servendo me.

E il 2 agosto, arrivo in Porziuncola, Si entra tutti in quella piccola chiesina, un gruppetto alla volta. Prima i marciatori, poi i guastatori. E a veder entrare tutti i marciatori, ed entrando noi guastatori, un gruppo strambo di fratelli che abbiam provato a servire con quei cinque pani e due pesci che abbiamo, capisco che devo nuovamente mettere tutto nelle mani di Dio, il vero guastatore, l’unico che può continuare a lavare i piedi a ognuno di noi giorno dopo giorno. E quant’è bello uscire dalla Porziuncola sapendo che siamo nelle Sue mani!

Spogliarsi e offrire tutto a Dio, quant’è difficile. Sono attaccato alle mie idee, al mio volermi salvare da solo. Il servizio alla marcia per me è stato accorgermi di questo e cercare di mettermi tutto nelle Sue mani, perché farlo è veramente andare a vendere tutti i propri beni per acquistare il tesoro nascosto nel campo, la perla di grande valore di fronte a cui tutte le altre sono poca cosa.

 

Enrico

Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo (Qo 3,11)…ed è proprio vero se ripenso che io questa marcia ero sicuro di non poterla fare, ma Lui aveva già deciso che la mia marcia dovesse essere proprio questa, e così è stato.

È col cuore pieno di gratitudine che sono arrivato a Passignano sul Trasimeno pronto per questa esperienza, ma soprattutto carico di tante aspettative: domande che avrebbero dovuto trovare una risposta ed intuizioni che avrebbero dovuto ricevere conferme, perché ho imparato a puntare alto con Dio, mosso dalla certezza che scommettendo con Lui c’è solo da vincere.

Uno dei momenti di svolta è arrivato già al terzo giorno, quando in un momento di silenzio e di sosta fisica, nella piena consapevolezza della fatica che i muscoli iniziavano ad accusare, mi sono accorto che c’era un muscolo di cui non mi stavo preoccupando credendolo già allenato, il cuore.

Ho percepito che anche il cuore aveva iniziato la sua marcia, ma che lo stavo lasciando indietro nonostante fosse proprio lui il motore del mio camminare. Mi sono fermato e nel silenzio di quel pomeriggio l’ho sentito rivelarmi il motivo per cui stavamo compiendo ogni passo: la meta. Da quel momento sapevo perché marciavo, perché c’era la Porziuncola da raggiungere ed è stato il sentirmi chiamato a quella destinazione che mi ha spinto ogni giorno a proseguire il viaggio con tutte le sue gioie e le sue difficoltà.

Ma ad una meta così importante ci si arriva preparati, ed era forse questo il significato di un pellegrinaggio così lungo: giungere a destinazione pronti a ricevere tutta la grazia che in cielo Qualcuno stava disponendo per noi.

E così insieme ad altri 270 marciatori abbiamo camminato verso Assisi interrogandoci sui nostri desideri, quelli veri, belli e alti. Abbiamo tutti dei desideri, quelli per cui ci svegliamo ogni mattina e affrontiamo la vita, quelli che ci fanno sospirare, desideri che ci parlano e danno significato alle nostre giornate: sono questi i desideri autentici, quelli che ci spingono oltre i nostri progettini, e che ci impauriscono perché ci oltrepassano e ci trascendono. Sono i desideri che non sanno troppo di umano, ma totalmente radicati nell’umanità fanno sì che ogni nostra azione possa parlare non solo di noi, ma di un Altro che è Amore, sono quei desideri che costano fatica ma che fanno innamorare perché sanno di divino. Ho capito che vale la pena spendersi per questi desideri che arricchiscono la vita di pienezza.

Ma questi desideri esigono una attento lavoro di ricerca e uno sguardo sincero su se stessi per scovarli e farli emergere, e soprattutto il coraggio poi di riconoscerli e accettarli come propri.

Un’esperienza edificante che ho vissuto durante quei giorni è stata la purificazione dei miei desideri; dopo averli scoperti, essi spesso portano con sé delle impurità che derivano dallo sguardo spesso chiuso, egoistico e moralista che abbiamo sul mondo, su noi stessi, sugli altri e su Dio. Sguardo che va rinnovato chiedendo il dono di poter guardare così come il Creatore guarda ogni sua creatura: ci si scopre allora così profondamente amati, voluti e desiderati che ogni prospettiva viene rivista sotto una luce diversa. Provando ad assumere questo nuovo sguardo su di me, mi sono riconosciuto figlio amato oltre ogni modo, desiderato tanto da essere stato pensato dal nulla per esistere, voluto tanto che l’eternità senza di me non sarebbe potuta essere.

Queste consapevolezze mi hanno permesso di scoprirmi più bello di quanto io mi vedessi, non per merito mio ma perché con tanta bellezza mi sono sentito guardato da colui che mi ha creato. Ho compreso che non ho il diritto di disprezzarmi nei miei errori e nelle mie cadute, ma ho anzi il dovere di prendermi cura di me quanto sbaglio, di consolarmi, perché a prescindere dalle mie mancanze io sono già amato per quello che sono, perché io non sono i miei errori o il mio passato o ancora quello che il mondo vuole che io sia, io sono desiderio desiderato che non aspetta altro se non di compiersi.

Questo nuovo sguardo è arrivato al momento giusto, durante i giorni che precedevano la festa del perdono di Assisi. Finalmente questa parola, perdono, assumeva nuovi significati. Ho imparato un nuovo modo di chiedere il perdono dei miei peccati, non come prima perché non ero riuscito a rispettare un insieme di norme che mi rendevano meno degno dell’Amore di Dio, ma perdono per non aver creduto fino in fondo alla mia bellezza che veniva tutta da Lui, per averla sciupata, per non essermi radicalmente affidato alle Sue mani di Padre e per essermi giudicato troppo severamente.

Ma la festa è stata anche scoprire che questo perdono non solo potevo riceverlo ma che potevo pure darlo, a me stesso e a chi non ero ancora riuscito a perdonare. Lo sguardo di Dio posato su di me mi ha donato di vedermi creatura fallibile ma, a prescindere dalle mie azioni, amabile e mi ha dato il dono di ampliare questo sguardo su altre persone che da sempre ho giudicato troppo severamente ma che ho guardato per la prima volta proprio come mi ero guardato io poco prima: fallibili, ma profondamente amabili anche solo per il fatto di esserci.

Ho imparato che perdonare è liberarsi di un peso eccessivo di cui il mio sguardo giudicatore mi aveva caricato, e che si opponeva alla mia autenticità; bastava solo amarsi e amare un po’ di più, ma mi è diventato possibile solo dopo questa forte esperienza di Amore ricevuto da un Altro che è Dio

 

Siamo esseri amati e fatti per amare, che per strada si complicano e si perdono nei pensieri e nei ragionamenti che scaturiscono da uno sguardo basso e ripiegato su se stessi. Basta solo guardare in alto, cambiare prospettiva e fare un passo oltre noi stessi per affidarci a un Padre che sta aspettando che i nostri occhi si levino a Lui, per restituirci uno cuore trasfigurato che sappia battere ad un ritmo divino che è melodia d’Amore, perché in fondo amare è una cosa semplice.

 

Gabriele

L’importante è starci.

Parti come quando non sai cosa ti aspetta, scettico e con la paura di rimanere deluso, non sai cosa aspettarti, ma ormai un atteggiamento rodato e ben radicato nel tempo ti insegna di non farti false aspettative così da non rimanere deluso.

Così è stato per me, almeno all’inizio, ricordo ancora i primi tre giorni, dove l’unica domanda che mi rimbombava nella testa era “Ma cosa ci sei venuto a fare?”.

Poi ti parla, si perché non so se lo sapete, Lui parla, siamo noi che non sappiamo ascoltare, spesso pensiamo che ci parli coi nostri pensieri, così ci pieghiamo in introspezioni infinite dentro noi stessi, mai cosa più sbagliata…

Lui è concreto, parla, mediante le persone che ti stanno intorno, non si stanca mai di parlarti, fino a che tu non ti stanchi di non ascoltarLo.

Così ha fatto con me, finché un giorno col morale a terra, perso nei miei pensieri, dalla persona che meno mi aspettavo, mi parla: “Iacopo come stai? Ti vedo pensieroso, tutto bene? Non pensare troppo, anzi non pensare proprio, stacci. Anche se ora non senti niente, non è come ti aspetti, te stacci, non ti preoccupare, la grazia di Dio, durante la marcia, agisce, al di la di quello che si sente. Ricorda non è un caso se sei qui, ficcatelo in testa.”

Ci sto, cammino e ascolto le storie delle persone intorno a me, le loro parole, le catechesi dei frati, la lettura della parola e poi cammino, fatico ed insisto, insisto e fatico.

A parole certe cose si spiegano veramente male, ma io ho trascorso gran parte della mia vita a progettare, a vivere di pregiudizi e sogni di altri, immagini di felicità preconfezionate, con la certezza di dover seguire lo stesso iter dei miei genitori o dei miei amici, con la continua paura di non riuscire ad amare veramente un altra persona con tutto me stesso ed a fare una famiglia.

Oggi quello che ho capito è che non avevo capito niente ed il bello è che quando lo capisci ridi e piangi insieme, cosa veramente difficile per un uomo, fare due cose insieme, ma vi assicuro che ridi e piangi e ti senti leggero e libero.

Nella marcia non solo riesco ad ascoltarlo ma mi spiega nella vita dove ho mancato, mi coccola, mi abbraccia, mi soffia sulla faccia se ho caldo, mi spinge se lo zaino pesa, mi disseta, mi lascia riflettere su quanto mi ha detto ed appena i vecchi pensieri rischiano di ripartire, mi da un nocchino e comincia nuovamente a parlarmi, mi spiega che “non è tardi, ma è tempo per uscire dal sepolcro e buttarti, le paure, i pensieri ed i sensi di colpa, non te ne preoccupare, lasciali a me, a te non servono”.

Arrivi alla Porziuncola, è Lui lo sa che un po’ di paura ancora ce l’hai, che tremi all’idea di attraversare quella porta, abbandonare il sepolcro, paura che non cambi niente sia tutto un illusione, allora Lui che fa? Non si entra soli in Porziuncola, per quattro, così entro scortato da una suora a destra ed una a sinistra, ed un prete Koreano, credo, che non si sa mai, nell’incertezza meglio uno in più che uno in meno.

Oggi non cammino più ma camminiamo.

Jacopo

“Voglio mandarvi tutti in paradiso”. Accompagnati da questa frase di Francesco d’Assisi alla Porziuncola, centinaia di giovani dai 16 ai 33 anni provenienti da tutta Italia, si sono ritrovati in questi giorni per il Giubileo dei Giovani. Nell’ottavo Centenario del Perdono d’Assisi, un appuntamento importante per tanti giovani: specchiarsi nella Bellezza di Dio e, ripartendo dal perdono, costruire una vita bella!

Il tema che li ha guidati in questo cammino verso la felicità, la pienezza della vita, il Paradiso, è stato quello della Santità, ovvero della bellezza!

Dopo il saluto del Custode della Porziuncola, i circa 500 giovani, hanno vissuto un primo momento liturgico, inizio di un viaggio scandito dai segni dell’acqua del battesimo, che ci rende figli, dalla Parola, che arriva a noi dalla Porziuncola e che apre orizzonti nuovi, e dal Crocifisso di San Damiano icona del più bello tra i figli dell’uomo.

Riscoprire il senso del termine bellezza e come questa sia spesso ferita o peggio ancora ci venga rubata. “L’infelicità è un comportamento travestito di felicità” ma la chiamata è ad una felicità vera, senza maschere!

Vogliamo adesso proporre la catechesi iniziale del Giubileo, sulla “bellezza ferita”. Spesso la nostra bellezza è ferita, sciupata a causa di tutta una serie di cose che la minacciano. Il cammino proposto vuole prendere in considerazione sette nemici della bellezza affinché, scoperto l’inganno che sta dietro ognuno di loro, passando per il perdono di Dio, possa risuonare forte in noi l’appello di Dio alla bellezza: “siate santi”!

La catechesi si è conclusa con un breve video che vi proponiamo integralmente…

Questa bellezza, feriale e semplice, è stata contemplata a partire dal racconto fattoci da TRE TESTIMONI DELLA SANTITA’, ovvero tre persone che hanno avuto l’opportunità di vivere al fianco di santi.

Nella sua testimonianza sul marito, Lia, moglie del medico di Perugia venerabile dal 2017, Vittorio Trancanelli, ha ribadito l’importanza del tempo, che non si può “perdere” perché non ci appartiene, ma che va vissuto in pienezza, la pienezza dell’amore.

 

Fr. Iarek, è il terzo frate di una comunità missionaria in Perù, dove hanno trovato il martirio i suoi due confratelli fr. Miguel e fr. Zbigniew, due Frati Minori Conventuali uccisi nel 1991 dai guerriglieri di Sendero Luminoso; e ha raccontato l’esperienza di vita fraterna con i due confratelli uccisi per, come dice lui, “aver rubato i cuori della gente”, ovvero, “svegliato le coscienze” di quella povera gente.

 

 

Infine suor Carolina, ha raccontato la sua vita spesa nel servizio al fianco di don Pino Puglisi a Brancaccio, quartiere in cui il “parrino” ha dato la vita per “strappare” all’ignoranza i giovani. L’immagine di uomo e sacerdote tracciata è quella di un uomo semplice che ha fatto del suo servizio all’altare un trampolino di lancio verso la gente.

I giovani hanno avuto poi la possibilità di porre delle domande, tempo fecondo di confronto che ha fatto emergere la bellezza che portano nel cuore.

 

Il secondo momento della giornata di Sabato si è svolto nella Basilica di S.Chiara, ad Assisi. Aiutati da p. Jean Paul Hernandez SJ, i giovani hanno contemplato la bellezza artistica dell’icona del Crocifisso che parlò a Francesco e successivamente hanno sostato per qualche minuto in preghiera, lasciandosi guardare dal Dio che ci ha creato e ci vede belli.

 

Il ritorno in Porziuncola è stato vissuto come pellegrinaggio a piedi, ad attendere i ragazzi, Gesù, adorato nel Santissimo Sacramento. L’adorazione, animata da p.Graziano Malgeri, è stata uno dei momenti più forti; portare a Dio i “pesi”, il peccato, affinché liberati, possiamo vivere da figli.

La bellezza vista nei santi, è quotidiana, feriale e questa è stata per i tanti giovani la buona notizia: la bellezza è possibile, la santità è per tutti. Siccome è nella ferialità che costruita, l’ultima catechesi è stata dedicata a come costruire la bellezza una volta tornati a casa.

È stato proposto un cammino sulle virtù quali abito della santità…

Le Virtù Teologali – fede, speranza e carità – doni di Dio ricevuti ma che vanno custoditi e fatti fruttificare…

Le Virtù Cardinali – prudenza, fortezza, giustizia e temperanza –  i cardini per aprire la porta della Vita Eterna. Quattro strumenti che siamo chiamati ad usare per “entrare” nella pienezza della vita.

 

La celebrazione conclusiva, presieduta da p. Giuseppe Buffon, è stata il momento per l’ultimo gesto simbolico, quello del passaggio in Porziuncola. Varcare la “porta della vita eterna” è stato per i tanti giovani l’inizio di una vita nuova, l’inizio di una santità possibile…

 

È in Gerusalemme la sua dimora, la sua abitazione in Sion. (Sal 75).

 

 

Dal 19 al 28 maggio la nostra fraternità del SOG ha visitato i luoghi santi della terra di Gesù. Insieme ad una sessantina di giovani, siamo partiti verso la Terra Santa per ripercorrere le strade e i luoghi dove Lui è passato. L’intero pellegrinaggio è parso quasi un ritorno a casa, poiché nulla di quella terra benedetta, è estraneo alla nostra storia. Lì, dove Dio ha deciso di posare la sua gloria, abbiamo fatto esperienza di trovarci dinanzi al quinto vangelo, fatto dalla terra e dal cielo che hanno ospitato il figlio di Dio. Ci hanno accompagnato le parole e i gesti di Gesù, rivissuti nei luoghi in cui Lui li aveva inaugurati, dalla Galilea alla Giudea, sempre accompagnati dalla scrittura che guidava il nostro pellegrinaggio.

La terra d’Israele è stata la porzione di mondo scelta da Dio per incarnarsi in questa storia ed eliminare ogni distanza tra Lui e l’uomo. Per questo, il nostro metterci in cammino verso la terra di Gesù è stato l’incontro con Dio nel luogo di cui Lui ha detto “Lì porro il mio nome” (1Re 8,29)!

Il pellegrinaggio in Terra Santa è perciò unico e indimenticabile perché legge le profondità della nostra identità: se vogliamo capire cosa è la fede dobbiamo raccontare il suo percorso (Lumen Fidei, 8).

Giungo in questi luoghi che Tu hai riempito di Te una volta per sempre . . . O luogo! Quante volte, quante volte ti sei trasformato prima che da Suo divenissi mio! Quando Egli ti riempì la prima volta, non eri ancora nessun luogo esteriore, eri soltanto il grembo di sua Madre. Oh, sapere che le pietre su cui cammino a Nazaret sono le stesse che il suo piede toccava quando era ancora Lei il Tuo luogo, unico al mondo. Incontrarti attraverso una pietra che fu toccata dal piede di Tua Madre! O luogo, luogo di Terra Santa  quale spazio occupi in me! Perciò non posso calpestarti con i miei passi, debbo inginocchiarmi. E così attestare oggi che tu sei stato un luogo d’incontro. Io m’inginocchio e metto così il mio sigillo. Resterai qui col mio sigillo resterai, resterai e io ti porterò con me, ti trasformerò dentro di me in un luogo di nuova testimonianza. Io parto come un testimone che renderà la sua testimonianza attraverso i secoli. (K. Wojtyla, Opere letterarie).

Eccomi qui, rientrata dalla marcia notturna ad Assisi, gli 8500 passi con Francesco.
Abbiamo percorso il tragitto compiuto dal corpo di Francesco per vivere l’esperienza del perdono e della misericordia di Dio. 
Siamo partiti dalla Porziuncola, passati per San Damiano e arrivati, nel cuore della notte, al Sacro Convento.
Alla Porziuncola la catechesi inizia così: “Ricorda.. il tuo NOME è per te il primo gesto di misericordia”. Guardo velocemente in internet, il frate mi ha incuriosita, e leggo: Michela, chi è come Dio… Cosa?! Il mio nome contiene il massimo della misericordia! 
La catechesi prosegue e una domanda in particolare mi fa riflettere: Cosa vuoi portare questa sera a San Francesco? Ah… Io che pensavo di andargli a chiedere qualcosa.. devo portargli qualcosa.. simpatici i miei cari frati!
Iniziamo il cammino e guarda un po’, piove a dirotto! Sorrido e partiamo…
Tra una chiacchiera e l’altra con la mia compagna d’ombrello, risate con le amiche, scarpe e zaino inzuppati, a tratti penso tra me e me e sento che la fatica si fa lieve, la pioggia non è più fastidiosa e poi… sono ad Assisi nei giorni che precedono la morte di Francesco… è bellissimo.
San Francesco ha la capacità di smuovere dentro di me qualcosa di grande, e soprattutto di portarmi sulla strada giusta.. è così che camminando mi chiedo: Michi con chi stai rischiando nella vita? Dov’è il tuo amore? 
Se il peccato è stato il tuo punto di partenza, come potevi pensare che ti andasse tutto bene? 
Un passo dopo l’altro e arriviamo a San Damiano dov’è stata preparata per noi una rappresentazione teatrale. All’inizio dell’Ordine, quando Francesco dimorava a Rivotorto, una notte, mentre tutti riposavano, un frate gridò: Muoio!
Aveva molta fame, si era convertito da poco e affliggeva troppo il suo corpo. Così Francesco, dopo aver riunito gli altri frati per mangiare tutti assieme, disse: “Il Signore preferisce la misericordia al sacrificio”.
Una chiave di lettura interessante. Il Signore mi chiede più misericordia che sacrifici. Mi chiede di guardare la miseria dell’altro e di averne compassione.
Quando riprendiamo la marcia lo facciamo in silenzio, con una candela in mano… mi faccio seria, sono bagnata fradicia, voglio arrivare al Sacro Convento per incontrare San Francesco e per portargli qualcosa!
Penso a tutte le volte che non ho perdonato, penso all’odio e al rancore che ho sempre provato verso chi mi ha ferita.
Penso a Gesù che mi chiede misericordia e fede. Fede che è certezza, che è il contrario di paura. 
“Fede” che sta nella parola “fedeltà”… la fedeltà di Dio verso di me.
Così per una volta decido di rischiare: Rischio nella fede! 
Sono pronta a mettermi in cammino per seguire Gesù, per farmi guidare da lui… e per vedere ogni giorno gelsi sradicarsi e piantarsi in mare.
Michela